Boxe cinese
Tutto è cominciato nel lontano 1971, quando conobbi Vittorio Z., amico, maestro,confidente e fratello maggiore per un decennio. Vittorio era cintura marrone di karate Shotokan e si allenava nella palestra Kenyukay di Luciano Panciroli in via Carcano, dove aveva organizzato un corso per gli amici. Nel 1973 mi intrigai e cominciai a seguirlo, poi mi iscrissi ai corsi regolari, con la cintura blu del 1974 cominciai a fare le prime gare, nel 1975 conseguii il primo Dan da agonista e nel 1976 il secondo Dan.
Nonostante fossi totalmente immerso nel karate tradizionale, ero incuriosito da quel po' di cultura marziale cinese che arrivava da noi, quasi esclusivamente attraverso i film di Bruce Lee, Lo Lieh, Fu Sheng e vari altri attori-guerrieri, oggi ammirati e idolatrati, all'epoca snobbati dai più. Cominciai così a ordinare negli Stati Uniti quel po' di letteratura disponibile. Ero affascinato dall'idea che attacchi e parate non si chiamavano "parata alta" o "pugno dritto", ma "ponte di perle", "doppio artiglio della tigre nera" o "il pugno del fuoco d'artificio".
Nel 1975 la Prima Signora Biraghi mi disse di avere un compagno di scuola nato a Hong Kong, Benjamin F., a cui chiesi immediatamente se conoscesse "il kung fu cinese" e lui rispose di essere un allievo anziano di Chan Hon Chung, il più grande esponente vivente della scuola della famiglia Hung, successore di Lam Sai Wing e "nipote" di del leggendario Wong Fei Hung.
Chiesi a Benjamin se fosse disponibile a insegnare e lui accettò, anzi, da quella mia proposta scoprì la possibilità di guadagnare denaro e ammirazione insegnando in varie palestre della Brianza. In realtà Benjamin aveva un po' truccato la realtà, non era allievo del maestro Chan, ma aveva imparato l'arte da suo fratello, F. Kiu, lui sì allievo anziano di Chan e campione del sud-est asiatico (uno 165 centimetri di muscoli d'acciaio). Quel che conta è che grazie a Ben intrapresi nel 1977 il primo di una lunga serie di viaggi a Hong Kong.
L'impatto con HK non fu dei più semplici. Per fare bella figura il buon Ben mi presentò come "un esperto di karate che vuole vedere come ci alleniamo in Cina", un cortese e distaccato sospetto fu il massimo a cui potevo accedere.
Ma ci voleva ben altro per smontarmi. Dopo dieci minuti mi ero tolto la camicia (HK in agosto ha temperature sui 38 stabili e un'umidità raramente inferiore al 90%) e cominciavo a imitare i gesti dei ragazzini che imparavano Mui Fa Kuen. In pochi giorni avevo scoperto gli orari in cui si allenavano gli allievi anziani, Cheung Yee Keung, Kong Pui Wai, George Yang, Hui Wing, Raymond Lau. Soprattutto avevo notato che il maestro Chan andava ogni mattina alle 5.30 andava alla casa del tè accanto al 729 di Nathan Road a fare colazione con un cha-siu-pao e una tazza di acqua calda (niente tè per lui, pribito dal medico cinese dopo l'asportazione del piccolo tumore al naso di qualche anno prima). Così ogni mattina mi alzavo alle 4.30, mi ficcavo sotto la doccia fredda per riuscire a connettere, mi fiondavo fuori dal dodicesimo piano della Chung King Mansion (un edificio cadente a Tsin Sa Tchui in cui dormitori da squattrinati erano sovrapposti a microuffici e intercapedini di scarafaggi rossi, il tutto immerso in un odore perenne di curry), mi infilavo come potevo in uno dei bus 1, 1A, 6 o 6A (rossi, all'inglese, a due piani, ancora non c'era la Mass Transit) in direzione Mong Kok e scendevo all'incrocio di Nathan Road e Mong Kok Road, a due passi dallo storico 729 dove il vecchio edificio della Hon Chung Gymnasium era stritolato tra due casermoni di marmo zeppi di banche, uffici e business.
Continuo di tanto in tanto...