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«Ma io sono fiero del mio sognare, di questo eterno mio incespicare» (Francesco Guccini)
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Alberto Biraghi
16 Ottobre 1943
Roma. Al Portico D'Ottavia, in pieno Ghetto, c'è il ristorante "
Da
Gigetto". Un carciofo alla giudia, un piatto di fettuccine, un bicchiere
di vino dei Castelli: per me è il modo migliore per onorare il ricordo
delle famiglie a cui le leggi razziali nazi-fasciste inflissero
sofferenze inimmaginabili. Sessanta anni fa oggi...
Il 26 settembre del 1943 il maggiore SS Herbert Kappler pretese dalla
Comunità ebraica di Roma cinquanta chili d'oro promettendo di evitare
deportazioni. L'inganno si rivelò il 16 ottobre, con il rastrellamento
al Ghetto: 1022 romani furono deportati nei campi di sterminio di
Hitler.
Sarebbero stati molti di più se tanta gente di buona volontà non
avesse aperto le porte di casa propria agli ebrei per nasconderli,
sottraendoli al rastrellamento.
Gianfranco Fini, segretario del partito erede del fascismo (lo ricordo in pellegrinaggio a Predappio un paio d'anni fa), l'anno scorso chiese
scusa alla Comunità ebraica "a nome degli italiani".
Ma quando mai?
Gli italiani offrirono ad altri italiani ebrei una via di fuga, anche a rischio della
propria incolumità. Perché dovrebbero chiedere scusa?
Vogliono riscrivere la storia. Cancellare le loro responsabilità.
Per questo il ricordo oggi è più che mai un dovere.
L'Unità oggi come allora (unico quotidiano apertamente antifascista anche in quegli anni terribili) denuncia le vergogne di tutti i regimi.