Intervista a John Pilger
Ricevo e pubblico volentieri un'intervista rilasciata da
John Pilger, vincitore quest'anno del prestigioso Sophie Prize, a "Nencha", giovane giornalista, lettrice di questo blog. Il nuovo libro di Pilger è in uscita a breve.
AGENDE NASCOSTE
di Beatrice Nencha
Rompere il silenzio e portare alla ribalta dell’opinione pubblica le notizie ‘lente’. Quelle che, in genere, si prestano ad analisi di lungo respiro, prospettive storiche e geopolitiche, esperienze sul campo che vadano oltre la mera testimonianza del giornalismo cosiddetto ‘embedded’. Un termine ormai di moda per definire i reporter al seguito degli eserciti (e spesso a rimorchio della loro propaganda) dei vari governi. Questo è il credo del reporter australiano John Pilger, inviato nei quattro angoli del mondo per raccontare - per testate indipendenti come il Daily Mirror e il Guardian (in Italia i suoi articoli sono apparsi sul Manifesto e Internazionale) oltre che come documentarista per la Bbc - i conflitti che più hanno lacerato la scena mondiale: dalla Birmania a Timor Est, dal Vietnam all’Iraq fino all’Afghanistan. Testimonianze, opinioni e riflessioni preziose che Pilger ha raccolto nel suo nuovo libro ‘Hidden Agendas’ (‘Agende nascoste’, in libreria dal 24 ottobre per Fandango Libri), pubblicato in Gran Bretagna nel ’98, oltre che in un documentario intitolato “Rompere il silenzio: verità e bugie nella guerra al terrore”, dove smaschera molti dei luoghi comuni sul recente conflitto in Iraq. Mettendo a nudo la demagogia di cui sono stati imbottiti larga parte dei discorsi di George Bush e Tony Blair sino alle forme di connivenza messe in atto dai media, che più o meno coscientemente si sono lasciati relegare a mera cassa di risonanza del potere.
Pilger, come usa il buon giornalismo di reportage anglosassone, parte da un assunto concreto (le parole pronunciate da Bush e dai ‘falchi’ neoconservatori, che rimbalzano quasi identiche nelle orazioni più raffinate del premier britannico) per dimostrare - attraverso immagini anche choc e interviste raccolte sul campo o tratte dall’archivio della storia recente (come la stretta di mano tra Donald Rumsfeld e Saddam, in tempi in cui il rais era sul libro paga degli Usa, o le dichiarazioni di innocuità del tiranno sunnita rilasciate pubblicamente sia da Colin Powell che da Condoleezza Rice nel 2001) - come dietro alla teoria della ‘guerra preventiva’ si annidi un coarcevo di interessi più o meno limpidi. A partire dall’uso strumentale che l’amministrazione Bush ha fatto della tragedia dell’11 settembre, dove ancora non è stato provato, tangibilmente, alcun collegamento tra Osama Bin Laden e il dittatore iracheno o, ancora, il ritrovamento in Iraq delle famigerate armi di distruzione di massa. Nel suo viaggio, Pilger comincia dall’indagine sul terreno delle condizioni di vita nell’Afghanistan liberato: dieci miliardi di dollari spesi per le operazioni belliche, di cui appena 300 milioni impiegati per la ricostruzione del paese (soldi a malapena sufficienti per pagare gli stipendi e assicurare acqua ed elettricità alla popolazione). Risultato: l’Afghanistan è oggi una terra di nessuno dove l’acqua è contaminata, imperversa la nuova tirannia dei signori della guerra (lo stesso premier Karzai è costretto a girare con 42 guardie del corpo) e il commercio dell’oppio è tornato ad essere una fiorente business. Senza contare gli stupri e i rapimenti di donne e bambini, le prime spesso anche vittime di raccapriccianti ‘test della verginità’ da parte degli integralisti. L’occhio della telecamera si sposta poi su un’altra vergogna internazionale: la prigione di Guantanamo, a Cuba, dove in celle di due metri e mezzo per due, illuminate 24 ore su 24, sono rinchiusi migliaia di prigionieri talebani (tra cui nove cittadini europei). Definita da Amnesty International, non a caso, un ‘buco nero’, contrario a tutti i principi cardine stabiliti dalla convenzione di Ginevra. Per parlare della seconda guerra del Golfo, il reporter intervista alcuni pezzi da novanta dell’amministrazione Bush come Douglas Feith (del Dipartimento della Difesa) e John Bolton (Dipartimento di Stato). Il più delle volte ricevendone risposte ambigue, contraddittorie e, in uno dei casi, ricevendo l’invito a spegnere la telecamera. Blackout preventivo da parte di chi, messo alle strette, ha esaurito tutti gli argomenti di persuasione. Pilger, nei suoi faccia a faccia, mette in piazza gli scheletri nell’armadio dell’America puritana: dalle intrusioni indebite da parte dei servizi Usa in ben 72 Stati (dal golpe sanguinario nel Cile di Allende fino alle operazioni ‘sporche’ in Vietnam, Indonesia, Cambogia, Laos, un lungo elenco che annovera anche l’Italia della guerra fredda) alle 152 basi militari americane sparse nel mondo (che Bush sintetizza nella formula ‘dominio ad ampio spettro’), che fanno del gigante a stelle e strisce l’unica superpotenza imperialista su scala mondiale. Senza tralasciare il greggio dell’Iraq, secondo produttore al mondo, che da sempre fa gola alle grandi compagnie petrolifere legate al clan dei Bush. Queste sono solo alcuni dei disvelamenti che l’autore opera sulle ‘agende segrete’ “che circolano tra i potenti e le persone che lavorano nei media”. “A volte sono solo un incidente”, spiega Pilger, invitato nella capitale per presentare il volume e il documentario, che vorrebbe vendere alla Rai (ignaro della sorte riservata a colleghi come Biagi e Santoro), “non una cospirazione ma un condizionamento subito nella comprensione del grande flusso di notizie a cui quotidianamente siamo soggetti, in particolare durante questa guerra. Dove la politica di Bush, Blair e Berlusconi è stata più che mai infarcita di agende nascoste”. Infine, dopo aver puntato il dito anche contro Bill Clinton (“un presidente più violento di Bush perché ha ucciso più vittime civili, ordinando l’invasione di Haiti e la più lunga campagna di bombardamenti angloamericana dalla seconda guerra mondiale, oltre ad essere responsabile della morte di mezzo milioni di bambini a causa dell’embargo all’Iraq”) e la stessa ‘assediata’ Bbc (“un’enorme impresa commerciale usata da Blair e i suoi spin-doctors per sviare l’attenzione della gente dall’inchiesta sulla legittimità di una guerra preventiva”), il giornalista conclude con una nota di speranza: “In realtà, oggi le superpotenze in campo sono due: Washington e l’opinione pubblica mondiale. Ma, se rimaniamo in silenzio, la nostra sconfitta è assicurata”.