La cinese in realtà è nata a Tokio
Maurizio Porro sul Corriere della Sera ha scritto: "Cantando dietro i paraventi è un affascinante capolavoro che parla della fatica necessaria della pace senza mostrare un rivolo di sangue (...) Tutta l' appassionante favola, mediata dal ralenti della memoria, è un omaggio al teatro di Brecht-Strehler, con le sue anime buone, ma anche alla saggezza impetuosa di Kurosawa. Complementare al Mestiere delle armi, il film del gran lombardo manzoniano parla delle necessità del perdono, senz' ombra di retorica: la parabola entra nella coscienza e si sistema lì per sempre". A me invece il film non è piaciuto proprio...
Il fastidio è cominciato fin dai primi minuti, appena ho visto che l'eroina piratessa giapponese era interpretata da una tipa con faccia inequivocabilmente giapponese (in effetti a fine film il nome ha confermato: Jun Ichikawa). Ma santo cielo, con tanti milioni di cinesi che ci sono, possibile che Ermanno Olmi non sia riuscito a trovare un'attrice cinese per interpretare la cinese? In effetti deve essere una vendetta nei confronti del film con Bruce Lee "The Way of The Dragon" (L'urlo di Chen terrorizza anche l'occidente) in cui i cattivi italiani sono interpretati da attori chiaramente mediorientali (molto più numerosi degli italiani nell'Hong Kong degli anni '70).
Detto questo, ho trovato fastidioso anche lo spirito cattolico della faccenda, con questo concetto di perdono che cala dall'alto (fisicamente, il rampollo dell'imperatore si è fatto fare la scala sulla nave per poter incombere meglio). Un perdono un po' vigliacco, da parte del potente scorretto (per sconfiggere la ragazzotta e le sue tre navicelle ha messo in campo una flotta da sbarco in Normandia) nei confronti del debole.
Bella (ma stucchevole) la fotografia, intollerabile il ballo della ragazza nuda (mica male lei, ma che cavolo c'entra con la storia?) e fastidiosa la profusione di mezzi. Insomma, uno sfoggio inutile di inquadrature snob.
12.12.03 15:29 - sezione
cinema