La risposta di Marco Travaglio
"Se per ottenere qualche risposta dopo anni
di silenzio bisogna beccarsi una denuncia,
ben venga la denuncia. La aggiungo alla
collezione di quelle di Berlusconi, Previti,
Dell’Utri, Confalonieri". Marco Travaglio risponde con la lunga lettera a l'Unità di oggi a Massimo D'Alema. La riporto, a futura menmoria, in attesa di conoscere la posizione di Furio Colombo.
La risposta di Travaglio
Caro direttore,
ti chiedo un po’ di spazio per chiudere
(spero) l’inesistente «caso Travaglio».
Ringrazio i tanti lettori che mi hanno espresso
solidarietà e affetto. A quanti - lettori e altri -
hanno scritto e detto cose di segno opposto,
chiedo soltanto questo: di giudicarmi per quello
che ho detto, e non per quello che mi viene
falsamente attribuito. Mi dicono che il mio
intervento all'assemblea dei girotondi è disponibile
sul sito www.igirotondi.it . Per chi non
ha dimestichezza con Internet, riassumo brevemente.
Non ho mai detto - come afferma
D’Alema - che «siamo una banda di mascalzoni
che si sono arricchiti», né che «abbiamo
usato le tangenti per prendere il controllo del
partito» (parlando di Tangentopoli, ho detto
che non si trovarono ex comunisti che si erano
personalmente arricchiti; ma che «rubare per il
partito» è, dal punto di vista politico e sociale,
più grave che rubare per sé, visto che chi porta
tangenti fa carriera nei partiti a scapito di chi
non ha altro da portare se non le proprie capacità).
D’Alema non l’ho proprio nominato, né
ho detto nulla di riferibile a presidenti del Consiglio,
ministri, sottosegretari, interi governi.
Tant’è che gli ex ministri e i dirigenti del Pds
presenti in sala non si sono sentiti chiamati in
causa. Forse perché avevano ascoltato le mie
parole e non le interpretazioni interessate del
giorno dopo.
Quando, al teatro Vittoria, Paul Ginsborg mi
ha chiesto di intervenire, da semplice giornalista
(e non da «leaderino» o da portavoce di
chicchessia), sulla questione morale, ho posto
ai leader del centrosinistra alcune domande di
carattere generale e di ordine politico. Se avessi
voluto accusare qualcuno, avrei fatto nomi e
cognomi e portato - come sempre - le prove.
Ho chiesto, per esempio, se davvero l’esclusione
di Di Pietro fosse frutto di allergie personali
o non risalisse invece a Mani Pulite. E se non
fosse il caso, prima di parlare di alleanze, di
chiarire una volta per tutte che cosa si pensa di
quella stagione: fu un golpe e una «invasione
di campo» dei giudici, come molti esponenti
dello Sdi e non solo continuano a dire, o una
doverosa indagine su un vastissimo sistema di
corruzione, che coinvolgeva esponenti di tutti
i maggiori partiti, incluso l’ex Pci? E, se è così,
perché non fare finalmente i conti con quei
fatti ormai accertati, per poi credibilmente
«voltare pagina»? (chi vuole «i nomi» li può
trovare nei vari libri e articoli scritti, non solo
da me, sull’argomento). Perché, quando l’Ulivo
governava, votò con il Polo tante «riforme»
contro la magistratura e non trovò il tempo, in
cinque anni, per fare una legge anticorruzione?
Perché si continuano a candidare e a promuovere
condannati e miracolati dalle prescrizioni?
Oggi si pensa che questi siano errori di cui
scusarsi per cambiare registro, o è su quella
piattaforma che sta nascendo il nuovo partito
«riformista»? Forse gli elettori hanno il diritto
di saperlo, possibilmente «prima» di esser chiamati
un’altra volta alle urne. E forse hanno
diritto a una parola chiara sugli scandali che
quella stagione ha lasciato sulla sua strada. Ne
ho elencati alcuni. Non li ho inventati io: se ne
sta occupando la magistratura e ne ha dato
conto tutta la stampa italiana, Unità compresa.
Poi ho ricordato quel che disse Guido
Rossi sulla «merchant bank di Palazzo Chigi», domandando perché nessuno avesse ritenuto
di replicare (ora D’Alema dice che
«con Rossi non ho mai voluto polemizzare»: ma perché?). Poi ho semplicemente parafrasato
un po’ volgarmente quella frase:
«... nella quale (merchant bank) entrarono
persone con le pezze al culo e uscirono miliardarie». Non per lanciare accuse di corruzione
a qualcuno ma per chiedere chiarezza,
possibilmente prima che i soliti noti ne
approfittino per un bis dell’operazione Telekom
Serbia, a reti unificate, in campagna
elettorale.
Qualcuno è disposto a pensare che la
questione morale riguarda soltanto il centrodestra
e si estinguerà quando Berlusconi
& C. se ne andranno a casa? Davvero «farsi
del bene» vuol dire prendersi in giro e raccontarsi
le fiabe? Non sarebbe molto più
onesto cominciare a parlare di tutto, senza
ipocrisie e infingimenti, per evitare di ricadere
nei vecchi, tragici errori?
Il «cui prodest» delle mie domande non
mi riguarda. Non credo che parlare di certi
argomenti con questo spirito significhi, come
afferma D’Alema, «fare da sponda a una
campagna calunniosa e scandalistica della
destra per ragioni di lotta politica interna»
o «farsi del male». È inaccettabile pretendere
che un giornalista taccia su certi argomenti
«per non fare il gioco degli avversari». La convenienza politica è una categoria
che non può e non deve entrare nella mente
di un giornalista. Ma forse fare luce su certi
fatti oscuri può aiutare anche la politica.
Girando l’Italia invitato da partiti e movimenti
del centrosinistra (dall’altra parte
non invitano: sparano), continuo a incontrare
tanti cittadini ed elettori dell’Ulivo così
maturi da voler discutere di tutto, anche
delle cose più spiacevoli. Per «farsi del bene» dicendosi la verità. E rispondendo alle
domande scomode.
Vedo con piacere che D’Alema ha cominciato
a farlo, almeno sul caso Telecom,
nell’intervista di ieri all’Unità. Ma quell’intervista,
a parte le contumelie personali e le
minacce di querela, è un bel passo in avanti.
Se per ottenere qualche risposta dopo anni
di silenzio bisogna beccarsi una denuncia,
ben venga la denuncia. La aggiungo alla
collezione di quelle di Berlusconi, Previti,
Dell’Utri, Confalonieri (a proposito: qualcuno
mi spiegherà prima o poi perché mai, se
«Travaglio fa il gioco della destra» o - come
ha detto Livia Turco al Foglio - «Travaglio
ha fatto vincere le elezioni a Berlusconi», i
leader della destra continuano a denunciarmi
e a chiedermi i danni per centinaia di
miliardi).
Certo, è un po’ triste dover rivendicare
il diritto-dovere di porre domande, anche
le più brutali, a chi ha avuto importanti
responsabilità politiche in una stagione che
presenta molte luci, ma anche qualche ombra.
Vorrei ricordare infine che nella conferenza
stampa sul caso Kelly, un giornalista
inglese ha chiesto a Tony Blair: «Non si
sente le mani sporche di sangue?». Blair,
anziché querelare o stracciarsi le vesti, ha
risposto alla domanda. Sapeva benissimo
che il giornalista non lo stava accusando di
aver personalmente assassinato, né ordinato
di assassinare, nessuno. Lo stava interpellando
sulle sue eventuali responsabilità politico-
morali in quella sporca faccenda.
Sarò fatto male, ma sono abituato ad
applicare le stesse categorie, giuste o sbagliate
che siano, a tutti: a destra come a sinistra.
Non conosco doppie morali né superiorità
morali per definizione, «a prescindere». Per
me un ladro di sinistra non è meno ladro di
un ladro di destra. Lo scrivo liberamente da
un anno e mezzo su questo giornale libero
(e sui pochi altri rimasti), nella speranza di
dare un piccolo ma credibile contributo alla
battaglia di libertà contro il regime di
Berlusconi. Spero di poter continuare a farlo.
Marco Travaglio