Dunque Silvio dice che i DS sono comunisti pericolosi. Eh... Qualcuno ha letto l'articolo scritto su l'Unità del 21/2, scritto da questo signore che ha un posto in parlamento coi DS? Comunista questo? Ma dai! Con tutto il rispetto per qualunque idea, non riesco a togliermi una curiosità: pur ammessi i DS ormai inguaribilmente "riformisti intiniani", che ci fa tra loro uno che sta abbondantemente a destra di Follini?
Adesso si tratta di dire sì all’Onu
«Chiedi un voto di pace»: ho ricevuto
centinaia di mail con
questo identico appello. Come
i miei colleghi; e come era già successo
nel 2003. Come allora, risponderò individualmente
a tutti. Ma questa volta intendo
anche rispondere pubblicamente,
dalle colonne dell’Unità. Questo perché
la situazione é radicalmente diversa da
allora: in Iraq e in Italia.
Allora si trattava di decidere semandare i
nostri soldati in Iraq; oggi si decide se
ritirarli. Allora si discuteva se partecipare
attivamente a un’operazione che molti
condannavano in quanto sprovvista dell’avallo
dell’Onu; oggi si decide se aiutare
a implementare una mozione dell’Onu.
Personalmente non ho mai nascosto la
mia convinzione che l’Occidente avesse il
dovere, non solo il diritto, di reagire al
terrorismo islamico, per proteggere le leadership
moderate di quei paesi, che sono
il vero obbiettivo del terrorismo; e che la
Francia abbia commesso un grave errore
politico nel sospingere gli Usa verso l’unilateralismo.
So bene che queste non sono
le posizioni della maggioranza del mio
partito e dello schieramento politico in
cui mi colloco, e ho votato in conformità
alle decisioni assunte dal gruppo.
Ma oggi questa differenza di opinioni é
irrilevante rispetto alla scelta che dobbiamo
prendere. Oggi in Iraq non c’è guerra:
quale sarebbe il nemico? Ci sono atti
di terrorismo diffuso, ad opera o di fazioni
locali in lotta tra di loro, o di terroristi
provenienti da altre aree del Medio
Oriente: vogliamo lasciare a loro la gestione
della transizione? Oggi in Iraq non é
vero che «tutte le infrastrutture civili sono
esposte all’abbandono e al saccheggio
», che nulla funziona, anzi é vero il
contrario: ma fosse pure vero ciò che afferma
l’appello, vogliamo lasciare il Paese
in mano ai gruppi etnici e religiosi in
lotta tra di loro e ai terroristi in lotta con
tutti? Oggi non é vero che la popolazione
irachena sta peggio di quanto stava sotto
un dittatore che, nei 15 anni in cui é stato
al potere, ha ammazzato in media 340
persone al giorno:ma fosse pure vero ciò
che dice l’appello, vogliamo lasciare divampare
in Iraq una vera guerra civile,
finché si imponga la fazione più forte,
oppure finché il Paese sia spartito tra etnie
e sette religiose?
Le dittature, quando finiscono, finiscono
di solito in disordini tremendi, sovente
in bagni di sangue. È successo nei Balcani,
in Ruanda, nel Congo, in Liberia, sta
succedendo ad Haiti. In ritardo, sovente
invano, si invoca l’intervento dell’Onu,
della Nato, degli Usa. Sarebbe successo
con la fine della dittatura di Saddam, una
delle più sanguinose dell’ultimo mezzo
secolo.
Non ci sono ragioni, né politiche né morali,
per ritirare oggi le nostre truppe. Ci
sono ragioni morali e politiche per dimostrare
che il Paese é unito dietro i propri
soldati: basta pensare che la spaccatura
del Parlamento sarebbe immediatamente
letta dai terroristi che operano in Iraq
come un segno di debolezza, un invito a
muovere un altro attacco ai nostri soldati,
per forzarne il ritiro, conseguendo un
risultato di grande valore emblematico. Il
che non significa essere dietro la conduzione
di politica estera del governo Berlusconi.
Io sono un parlamentare di un partito, i
Ds; e scrivo sul giornale che, come tutti i
giorni, nel colophon, ricorda di essere il
quotidiano dei gruppi parlamentari dei
Ds al Senato, a cui appartengo, e alla Camera.
Per le ragioni esposte, una forza
politica che chiedesse di ritirare le nostre
forze si squalificherebbe per sempre come
forza di governo. Quella del no, é una
posizione ideologica, forse morale, non
politica: perché la politica si preoccupa di
che cosa fare dopo, mentre non c'é nulla
dopo il no, senza se e senza ma. Il nostro
partito, i Ds, di cui questo giornale é
espressione, ha preso la decisione di astenersi
sulla votazione: su questa decisione,
sostenuta in riunione di gruppo dal segretario
del partito, e dal capogruppo al Senato,
é confluita una larga maggioranza, anche
superando difficoltà personali. Le defezioni
motivate non come fatti individuali
di coscienza, e presentate come posizione
politica di una minoranza interna, hanno
dato un’immagine distorta di dissidio
interno: l’immagine sugli organi di informazione
é stata pessima.
Ora si va al voto alla Camera, dove il
regolamento, a differenza del Senato, non
obbliga alle contorsioni della non partecipazione
al voto pur restando in aula. Una
decisione difforme da quella sostenuta dal
Segretario e assunta dal gruppo del Senato,
peggiorerebbe in modo disastroso la
nostra immagine politica. Il nostro partito
ha stipulato con Margherita e Sdi un accordo
politico per battere Berlusconi nelle
urne delle elezioni europee e mettere così
le premesse per batterlo alle politiche. Sarebbe
un delitto disperdere il patrimonio
di credibilità che ci siamo conquistati con
la realizzazione della lista unica e le speranze
che abbiamo suscitato negli elettori italiani.
Franco Debenedetti