Cultura della pace e criminalizzazione del dissenso
Lettera aperta a Luigi Ciotti,
Gino Strada e Alex Zanotelli
di Mimmo Lucà
Carissimi,
mi permetto queste poche righe
perché, in quanto parlamentare
Ds, ho provato disagio, questa mattina,
nel leggere su Repubblica le valutazioni di
Gino Strada su quanti “non si sono opposti”,
“non hanno votato no” o “si sono
astenuti” sul decreto sulle missioni militari.
Leggere che quanti hanno tenuto questi
comportamenti elettorali nell'aula parlamentare
sono da considerarsi, secondo Gino
Strada, “gentaglia che deve andare a
casa” e “delinquenti politici che rinnovando
la presenza italiana nella missione Antica
Babilonia si assumono la responsabilità
di esporre l'Italia al rischio terrorismo”, mi
è sembrato - con tutta franchezza - un giudizio
non soltanto eccessivamente pesante
e inaccettabile,ma anche non utile alla causa
del dialogo, del confronto e, alla fine,
della pace.
Non voglio mettere in discussione possibilità
di letture diverse della situazione e
nemmeno quel necessario e legittimo pluralismo
che rende vera e autentica la democrazia.
Mi domando, più semplicemente, a
chi giova un simile scivolare nell'insulto e
nella criminalizzazione dell'interlocutore
dissidente.
Resto convinto che la cultura della pace
chiede di essere costruita insieme. Non può
essere posseduta solo da qualcuno, incaricato
di emettere pagelle di autenticità e di
coerenza al comportamento e alle scelte degli
altri. Prima di entrare nel merito di
quanto è successo mi domando se non sia
possibile iniziare un confronto meno polemico
e più disteso sulle scelte in questione.
Se l'obiettivo della destra è dividerci,
ho l'impressione che con questo modo di
rilasciare interviste e di ridurre il dibattito
pubblico a schermaglie giornalistiche si faccia
il loro gioco. Con troppa superficialità.
Perché non provare a fare del nostro
pluralismo un punto di forza per cercare
insieme - oltre le ideologie, le scorciatoie,
le semplificazioni - un percorso di pace
all'insegna della nonviolenza, del rispetto
dell'altro e fermo nel rifiutare la logica dell'
insulto e del disprezzo dell'interlocutore,
come pure abbiamo fatto nel positivo incontro
al Senato con te, caro Zanotelli?
Resto del parere che questa strada
rappresenti la sola via possibile perché le
nostre diversità possano porsi al servizio
della pace e superare quelle astiosità e incomprensioni
che non servono a nessuno.
Non so più come ribadirlo: siamo contro
la guerra preventiva e contro la missione
militare italiana in Iraq; siamo convinti
che debba essere l'Onu a presidiare quel
Paese nella difficile fase di transizione, per
una logica di mediazione, di pacificazione e
di ricostruzione.
A luglio del 2003, abbiamo votato contro
l'invio delle truppe italiane in Iraq,
quando in Parlamento il governo è stato
costretto a separare il decreto di finanziamento
della missione “Antica Babilonia”
dal decreto che finanziava altre missioni.
Lo abbiamo rifatto in questi giorni alla Camera
votando contro, lo ripeto, contro l'articolo
2 del decreto (quello che riguarda
appunto la missione in Iraq). Prima ancora
abbiamo presentato una eccezione di incostituzionalità
per il decreto del governo (respinta
dalla maggioranza) e un emendamento
soppressivo dell'articolo 2.
Abbiamo più volte chiesto al governo
di separare il voto su missioni diverse. Anche
questa proposta è stata respinta. Di
fronte a questo atteggiamento provocatorio
del governo, la maggioranza del centrosinistra
ha deciso per protesta di non partecipare
alla votazione, anche se io stesso
avrei preferito un voto finale negativo.
Ridurre la scelta del non-voto ad un
compromesso fondato sul non coraggio
per una posizione chiara, dimenticando ed
omettendo di prendere in considerazione
la nostra specifica e unanime posizione sul
merito della questione, è una parziale e voluta
omissione che non aiuta ad incontrarci
e che non ci permette di cercare anche ciò
che ci unisce e non solo ciò che ci divide.
Per concludere. L'essere definiti
“delinquenti politici” mi sembra offesa gratuita
e non opportuna. Un insulto, come
sempre succede nel linguaggio violento,
che non offende solo chi lo riceve, ma anche
chi lo formula.
Possiamo ri-partire da questo “errore”
per provare a costruire una “parola” meno
offensiva e più costruttiva di pace, già a
partire dalla manifestazione del 20 marzo?
I tempi lo esigono ed è, ne sono certo,
nostra precisa responsabilità non sottrarci
ad un simile impegno per non disorientare
chi è sempre meno capace di comprendere
tante, troppe polemiche e divisioni.
Con amicizia.