Caro Padellaro,
siamo destinati alla lite continua
nella sinistra, nel centro-sinistra,
fra questo giornale e una parte importante
del suo mondo di riferimento? No, non
credo proprio. Questi anni successivi alla
sconfitta elettorale sono stati molto duri.
Lo scontro di strategie, utile e salutare, è
spesso, troppo spesso, diventato anatema
politico. Portiamo tutti sul volto i segni
dei colpi che abbiamo subito e nelle mani
di quelli che abbiamo dato. Sarebbe ora di
finirla.
L'unità non è un valore romantico, è una
risorsa politica. Ma l'unità non la si raggiunge
con appelli al disarmo, né con regole
rigide. L'unità è un processo complesso
che deve partire da un dato originale. Siamo
in un mondo nuovo, ci scontriamo
con schemi vecchi. E spesso prevale l'assillo
identitario che ci spinge a cercare i simili
e ad allontanarci dai meno simili. Ma
tutti sappiamo che non solo non era vero
il tragico motto staliniano, “il partito si
rafforza epurandosi”, ma non è vero che i
processi di separazione sono risolutivi perchè,
come la storia dimostra, incoraggiano
altre separazioni. In una forza riformista
senza la sinistra, rinascerebbe una sinistra.
In un partito più di sinistra, rinascerebbe
una destra.
Lo sforzo davvero eccitante intellettualmente
sarebbe trovare il modo di convivere.
Occorrono alcune premesse, che precedono
le regole e ne indicano i principi. La
prima è che le differenze non solo sono
risorse, ma sono tutte da inscrivere nel
campo della politica. Nessuna scelta deve
essere più giudicata eticamente. La seconda
è che il partito che c'è, e quello che ci
sarà, almeno quello che sogno io, è un
partito plurale, ricco di articolazioni, autonomo
anche dai movimenti, insediato nel
paese. In questo partito possono coesistere
progetti diversi, correnti culturali divergenti,
interessi non collimanti. Lo sforzo comune,
questo è il riformismo, è dare risposte
di governo alla necessità del cambiamento.
Il cambiamento nelle società di massa dell'
epoca della globalizzazione e del terrorismo
altrettanto globale significa collegare
sviluppo e giustizia, sicurezza e diritti civili,
ansia di pace e tutela dalle minacce armate.
Un partito politico moderno sa di
non essere autosufficiente, sa che le culture
di riferimento dei vari associati sono
esauste, così come le strutture organizzative.
Questo partito sa che movimenti di
opinione pubblica percorreranno, per fortuna,
ogni momento della vita sociale e
deve accettare la massima libertà di questi
movimenti e anche la partecipazione dei
propri iscritti ai movimenti.
La missione storica di un partito è un'altra.
È trovare la sintesi politica, definire il
progetto, indicare l'itinerario. Il riformista
questo fa. Non esclude, include. Il riformista
sa che le sfide del tempo moderno richiedono
risposte impegnative, veri e propri
mutamenti negli stili di vita in Occidente.
Sa che il tema è la parlamentarizzazione
di queste domande e la risposta di governo.
Non sto pensando a un partito parlamentare
e basta. Sto pensando a un soggetto
politico non immobile, capace di vedere
la globalità dei problemi e di confrontarsi
con la parzialità dei movimenti, anche
di quelli che propongono questioni generali
e cruciali. Non è l'autonomia della politica
e tanto meno del politico. È la responsabilità
del politico e della politica. La procedura
è la diplomazia aperta e la ricerca del
dialogo e la trattativa. L'esito è la comune
piattaforma, oppure il gesto unitario. Su
un tema si può non essere d'accordo, ma
si può cercare, nel dissenso, il gesto unitario.
Il nemico non è solo il berlusconismo, ma
l'accumulo di violenza che c'è nel mondo
e, ormai, anche nella nostra società. I duri
e i puri ci portano alla rovina. Se non
riusciamo a trovare le ragioni di un accordo,
e di gesti comuni, gli elettori non crederanno
mai che saremo in grado di governare
la complessità anche culturale della società.
Quindi tregua, pace armata? Niente
affatto. Spostiamo tutta la discussione sul
confronto strategico, lasciando da parte le
etichette (tu di sinistra io, chissà perchè, di
destra). E il tema strategico deve rispondere
alla domanda sul come organizzare e far
diventare forza di governo quell'area politica
che percepisce la fuoriuscita dal tempo
di guerra attuale in termini di nuova giustizia,
di nuove opportunità, di allargamento
senza precedenti delle frontiere della democrazia.
Voi, caro Padellaro, potere svolgere un
ruolo importante. I giornali devono essere
autonomi, ma devono accettare le critiche.
Io ho reagito, spesso a brutto muso (ma è
meglio la brutalità della doppiezza), a quelle
che ho considerato accuse ingiuste anche
verso di me, ma non vivo di rancori,
per fortuna. Fate il giornale che credete di
dover fare, ma apritelo anche a chi non la
pensa come voi. È l'unico suggerimento
che mi sento di darvi. Non è questione di
bilancino. Per quanto Lenin sia in disuso,
fortunatamente, mi ricordo che Georgy
Lukacs in un libretto sul rivoluzionario
russo citava la sua capacità di bilanciare
pazienza e impazienza. Sbagliava su Lenin,
come si é tragicamente visto. Ma bilanciare
pazienza e impazienza è una virtù della
politica democratica, quella che tutti insieme
vogliamo portare alla guida del paese.