La dignità di un uomo morto
"Fabrizio ci dice qualcosa di più della morte, ci dice i suoi occhi che hanno visto qualcosa nel fondo del suo stesso essere. Che cos'è un italiano se gli togli questo essere figlio di una fede, di sentimenti mescolati di pietà e di fierezza, il valore della vita, di tutto. Qualche volta anche noi diventiamo bestie, ma poi qualcuno dice la verità dimenticata di noi stessi. Su cui ricostruire qualcosa di forte e bello alla faccia della decrepita viltà degli intellettuali. Per favore: non calpestate la dignità di un uomo morto, non ci sono riusciti i terroristi quando era vivo". Renato Farina su Libero di oggi si supera. E' interessante leggere l'articolo, perché è un perfetto esempio di retorica fascista. Gesti, parole, attimi opportunamente decontestualizzati, vengono piegati a supporto della tesi svelata nell'ultima riga: la sinistra è come i (se non "peggio dei") terroristi. Il dramma è sempre lo stesso: c'è chi ci casca.
Povero Quattrocchi, un morto sequestrato da Repubblica
di RENATO FARINA
I primi giorni prevaleva l'insulto greve. È un mercenario, se l'è cercata. Sono «eroi di scorta» (il Manifesto). Di riserva, di scarto. L'ultima moda però è più raffinata, ed è molto triste. Oggi si preferisce prendere in ostaggio il morto, fingere di difenderlo dalla retorica per seppellirlo in un cimiterino dove abbandonarlo a preghiere minori e private, oltre che alle erbacce dell'oblio pubblico. Si sono mossi per questo lavoro gli intellettuali di Repubblica, come un'impresa di pompe funebri minimalista. (...) ( segue a pagina 8) (...) C'è un'intenzione purificatrice. Siccome Fabrizio Quattrocchi è morto coraggiosamente, con una grandezza di cuore stupefacente, bisogna buttarlo giù dal piedistallo. Riconsegnarlo alla sua categoria. Non è del giro dei pensatori e dei grandi. In fondo è un Signor Nessuno. Ecco: bisogna mettere a posto lui e chi prova a innalzarlo come eroe, punto di riferimento della nostra identità presente e futura. Questi i punti decisivi delle argomentazioni dei filosofi che gli hanno fatto l'autopsia dell'anima. 1) Quattrocchi è un eroe? Forse, anzi senz'altro, se però lo si mette nel suo girone sociale da borghese piccolo piccolo. Un giocatore da campionato dilettanti a cui è riuscita una rovesciata, un eroe "per caso", passava di lì, dove ci si ammazza, per i suoi interessi da seimila dollari al mese. È vero: ha detto quella frase da gigante (loro scrivono: «Vi faccio vedere come muore un italiano»), ma per stizza, per l'arrabbiatura di un istante, magari per sicilianità un po' araba, insomma: per la facciaccia sua. Non per magnanimità, per sentimento della propria umanità più forte della morte e per fierezza patria. Guai, tutte balle, buone per il popolo bue, che si fa ingaggiare dal centro destra. 2) Ammesso e non concesso sia un eroe, sia pure molto piccolo e molto per caso, occorre comunque rimarcare che la sua morte è perfettamente inutile, non è servita a nulla, scivola in un tombino e li giacerà. Questo è il trattamento subito da Quattrocchi. Se fosse un articolo, amen. Il problema si fa più serio se questi ragionamenti sono espressione di una vera e propria cultura italiana che si pretende l'unica. La quale in realtà nega ormai che questa Italia esista, con le sue radici, e per questo liquida Quattrocchi nella maniera di cui sopra. Non ce l'ha con Quattrocchi, ma con il quattrocchismo, il quale può ispirare simpatia ma non fonda un'idea di umanità e di patria. Così domenica Repubblica ha dedicato a Fabrizio tre articoli "teorici" in prim a pagina . Il primo del fondatore, Eugenio Scalfari. Il secondo del sociologo Ilvo Diamanti. Infine c'è lo scritto di Francesco Merlo, il quale - con magnifico stile e pensando di esaltarlo - finisce per imbottigliarlo come un vino locale, da mostrare in tivù come propaganda della sicilianità arabesca. Scalari cita Monicelli e Alberto Sordi. «La frase - non Quattrocchi, ndr - è certamente eroica». Essa però non è la frase di un eroe. Non ha davvero in mente quella cosa strana e misteriosa che è l'appartenenza ad un popolo e alla sua storia. Ma è tipica degli italiani i quali «feriti nell'individuale personalità, allora reagiscono come leoni». Per questo Quattrocchi «grida la frase eroica della sua irata disperazione». Vorrei dire: ma quale irata disperazione. Più precisamente Quattrocchi ha detto: «Vi faccio vedere come muore un italiano», in realtà ha parlato all'uomo che lo stava uccidendo, non in astratto ma nel concreto della morte. E ha aggiunto: «Posso 3;». Non c'era ira, ma una pacata baldanza. Lo diceva già Seneca: «Noi siamo quello che sa remo nel momento della morte«. Lì si palesa la strana cifra del nostro mistero umano. Che è più forte dell'ideologia, della categoria sociale. Lì si palesa il nostro vero nome. E Quattrocchi l'ha detto: italiano. Scalfari poi spiega che, siccome Berlusconi insiste a non mollare, a lasciare le truppe nell'Iraq continuando «la mattanza» allora «il grido patriottico di Quattrocchi è stato inutile». Utile è la morte e magari eroica se dà ragione all'analisi geopolitica della sinistra? Che pena. Ilvo Diamanti a sua volta fornisce un'analisi sociologica della figura del militare privato. Esso perderebbe identità nazionale, per il fatto stesso di essere pagato da una multinazionale. Questa identità, questa patria non esiste proprio più. E uno può credere di morire da eroe finché vuole, gridare di essere italiano, ma è un povero illuso che spreca il fiato. Infatti: «Impossibile proporre un'identità mite e flessibile, in queste condizioni 3; L'orgoglio nazionale, in queste condizioni, è come un albero piantato sulla sabbia. Una foglia trascinata dal vento. Un sentimento che, per essere ravvivato, ha bisogno di tragedie e vittime, di dolore e sacrificio». Insomma, povero pirla il Quattrocchi, foglia morta, sacrificio a un monumento inesistente. Ci pensa Merlo, dopo qualche ghirigoro rococò, a recuperare la forza di Quattrocchi. Quando evoca «gli occhi sguainati» di Fabrizio «puntati contro gli occhi del boia». Ma essi guardano anche noi, dicono a noi come si muore. Per questo Fabrizio ci dice qualcosa di più della morte, ci dice i suoi occhi che hanno visto qualcosa nel fondo del suo stesso essere. Che cos'è un italiano se gli togli questo essere figlio di una fede, di sentimenti mescolati di pietà e di fierezza, il valore della vita, di tutto. Qualche volta anche noi diventiamo bestie, ma poi qualcuno dice la verità dimenticata di noi stessi. Su cui ricostruire qualcosa di forte e bello alla faccia della decrepita viltà degli intellettuali. Per favore: non calpestate la dignità di un uomo morto, non ci sono riusciti i terroristi quando era vivo.