Caldarola fa marcia indietro
“Il pericolo sta nel fatto che il motore propulsivo
della globalizzazione - intesa sia come concetto che come
programma - sia una nazione che, molto semplicemente, non
sa nulla del resto del globo e dei suoi abitanti”. Su l'Unità del 29 aprile Peppino Caldarola cita
Wole Soyinka in una risposta a
Umberto Ranieri (che come dice
Aprile, "ma nei nei Ds come c’è finito?"). E rinnega la divisione tra radicali e riformisti. Che sotto sotto si stia ravvedendo anche il suo tignoso
nume tutelare?
Caro Ranieri, la politica è di massa. O non c’è
PEPPINO CALDAROLA
Umberto Ranieri mi invita alla ortodossia riformista.
No grazie. Preferisco pensare. Ho sempre avuto difficoltà
con gli ortodossi e le ortodossie. Ranieri spiega
questo atteggiamento con il fatto che la maggioranza della
sinistra sarebbe approdata solo di recente al riformismo nel
quale altri, lui medesimo per cominciare, erano da tempo.
Conosco la storia della sinistra. Gran parte delle vicende di
questo mondo le ho raccontate su questo giornale. Lascerei
perdere gli approdi recenti e le antiche permanen\ze. Non c'è
un riformismo senza errori da vendicare. Né il riformismo si
presta ad ortodossie, ci provò la Seconda Internazionale e fu
un fallimento per il socialismo europeo.
Il riformismo che mi piace è quello di Federico Caffè, così
poco dogmatico e perciò stesso così sofferto. Ranieri contesta
il tema della “pace preventiva” a sinistra e con eccesso di
disinvoltura la cataloga come “pace preventiva” con gli estremisti.
Fermi tutti. Se si smarrisce la differenza fra estremismo
e posizioni radicali si fa fare un passo indietro incalcolabile
alla cultura di sinistra. Io, comunque, sono per un confronto
duro e aperto con i radicali ma voglia la “pace preventiva”.
Ho scritto un piccolo libro per criticare i radicali ma proporre
loro un’alleanza. Fra le figure politiche del recente passato
quella che più mi ha affascinato non è un leader italiano. È
Rabin, un guerriero che sapeva fare la pace. Pronto a combattere,
ma sapeva spiare le occasioni di pace. Un uomo fermo e
aperto. Ci vorrebbero tanti Rabin al mondo e nella sinistra
italiana.
Nel merito dello scandalo di Ranieri c'è il tema della critica
agli Usa e al neo-liberismo. Lasciamo perdere questa diatriba,
molto italiana, su chi è antiamericano e chi no. Si può amare
l'America e criticarla. Gli Usa sono una grande democrazia,
ma questa affermazione non comporta come consequenza
che non possiamo dire che il suo attuale governo è indecente.
Mente e ci sta portando allo scontro di civiltà. Si può dire?
Ovvero in virtù dello sbarco in Normandia va assolta la politica
di Bush?
Un signore che non so se si possa definire un riformista - io lo
farei - , Wole Soyinka, ha scritto: “Quando parliamo di globalizzazione,
che ci piaccia o no, lo spettro che si erge nella
mente della maggior parte delle persone è l'americanizzazione
del mondo”…“il pericolo sta nel fatto che il motore propulsivo
della globalizzazione - intesa sia come concetto che come
programma - sia una nazione che, molto semplicemente, non
sa nulla del resto del globo e dei suoi abitanti”. È anche questo
la guerra in Iraq. Non ci dobbiamo dividere sul fatto che
l'America sia o no l'impero del male. Non lo è. Ma non si può
accettare la tesi che la critica all'America dimostri scarsa lealtà
con l'Occidente. Se l'accusa di antiamericanismo dovesse valere
ogni volta che si critica un governo americano, o uno stile
di vita americano, nel calderone dovremmo metterci gran
parte della intellettualità occidentale. Non mi pare un'operazione
geniale.
Umberto Ranieri solleva, infine, il problema della critica al
neo-liberismo e teme che anche qui si nasconda il cavallo di
Troia per riammettere al desco la vecchia sinistra. Sono convinto
che l'euforia neo-liberista abbia squassato la sinistra. Il
liberismo di Blair venne dopo il decennio della signora di
ferro e si è caratterizzato come temperamento di quella stagione
nel tentativo di ridurne i danni. Quella stagione, tuttavia,
non è un modello per la sinistra. La fuoriuscita dallo statalismo
(e lo statalismo ebbe un ruolo fondante nella cultura
riformista italiana, sia quella socialista sia quella comunista
alla Amendola) deve guardarsi dall'idea che la fine dello stato
imprenditore sia la fine delle politiche pubbliche. Deve anche
guardarsi dall'idea che la riduzione dei costi del Welfare sia la
politica compassionevole. Diritti e sviluppo vanno assieme.
Riformismo dall'alto e euforia neo-liberista sono stati individuati
anche dai protagonisti della stagione dell'Ulivo di governo
come i due limiti culturali oltre che politici di quel periodo
e, quindi, anche come con-causa della sconfitta. Ho in mente
alcune interviste di Massimo D'Alema. Un socialismo umanitario,
pacifico e solidale è la prospettiva del riformismo. Così a
me pare. E su questa base si può discutere con i radicali e si
può ridefinire il profilo stesso del riformismo.
Ranieri teme che io gli proponga Zelig. Tranquillo, caro amico,
ti propongo una politica di massa. So stare in minoranza,
apprezzo chi ama vivere, a destra e a sinistra, in minoranza,
ma la politica o è di massa o non è. In ogni caso la politica
buona è laica, non ha testi sacri né è la somma delle piccole
chiese o delle piccole patrie. Aprite quella porta, finalmente!