Foa: «Ormai Berlusconi è finito»
«Le elezioni di Milano sono un segnale. Il tempo degli egoismi è al capolinea»
Aldo Varano
E' contento Vittorio Foa. Non soltanto perché è con Sesa, la sua compagna, tra le sue amate montagne e dalla sua stanza, mi racconta al telefono, vede per intero la maestosità del monte Bianco che considera uno dei simboli del suo sogno europeo. E' contento, dice riferendosi ai risultati elettorali, perché «Questa cosa che è successa è bellissima. Penso sia cominciata una fase nuova. Naturalmente bisognerà verificarlo. Però forse è finita la micropolitica».
Foa, cos'è la micropolitica?
Vuol dire educazione all'egoismo. Il pensare solo a se stessi e non al mondo. Solo al luogo in cui abiti e non ai bisogni del mondo che sono immensi. Non pensare mai alle disuguaglianze così profonde che ci sono. Ecco, è possibile che tutto questo sia finito, che sia cominciata una fase nuova. Che sia finita questa cosa, che a me pare intollerabile: la irrilevanza del linguaggio, per cui si può dire tutto quel che ti passa per la mente. Non lo tollero, perché l'irrilevanza del linguaggio è anche irrilevanza morale. È una cosa di cui sono, tutti siamo, completamente sazi.
Questo sfogo in qualche modo racconta il berlusconismo?
Certo. Il berlusconismo è stato questo: micropolitica. La sua sostanza è stata l'unità tra Forza Italia e Lega. Ora è entrata in crisi è proprio quell'unità. Quando penso ai problemi del futuro attribuisco poca importanza agli alleati che magari vengono a mancare a Berlusconi. Penso soprattutto alla crisi di Fi. E' su questo che bisogna continuare a lavorare.
Ma perché questa crisi è esplosa ora?
Perché tutte le cose a un certo punto finiscono, diventano insopportabili. C'era qualcosa di insopportabile in tutta questa roba del berlusconismo. Voglio dirlo brevemente: Berlusconi ha creduto di poter fare una alleanza interamente numerica, sommare le forze necessarie per governare continuando a predicare: stiamo insieme perché dobbiamo governare. L'unità del centro sinistra, invece, è una cosa interamente diversa.
Il tentativo di Berlusconi di tenere tutto insieme è ora in crisi?
Era già largamente in crisi, ma ora è organicamente destinato a disfarsi, soprattutto perché era una cosa falsa. Avere unito solo i numeri è cosa diversa dal tenere unite delle idee. Anche noi del centro sinistra abbiamo delle differenze, ne abbiamo tante e le abbiamo sempre avute. Ma è una cosa diversa.
Lei dice: la sommatoria è insufficiente. Anche se uno ha tutte quelle televisioni, quei giornali, quel potere?
Personalmente penso che tutto quel potere alla fine è inutile se non c'è qualcosa sopra di esso capace di unire. Quando penso al centro sinistra, ai suoi limiti e alle sue divisioni, che continueranno chissà in quali forme ad esserci, mi consola il fatto che il centro sinistra continua a sapere che non sono soltanto loro, che c'è qualcosa oltre, ci sono gli altri, i problemi e gli altri, c'è il mondo. E quando pensiamo questo c'è già qualcosa che produce unità. Lì invece oltre la loro somma non c'era niente.
Che fine farà quell'alleanza?
Non credo che An, o i cattolici del centro del centro destra, siano capaci di aprire una crisi. La crisi è dentro Fi e nel suo rapporto con la Lega. Questo era il punto: tramonta il dominio della Lega.
Nella nostra storia ci sono fenomeni apparsi e diventati giganteschi magari intercettando un pezzo reale del paese per poi sgonfiarsi abbastanza rapidamente, da Giannini in avanti. E' il caso di Forza Italia?
Berlusconi è stato un'altra cosa. Lui non è stato un fenomeno che appare ma è nato dentro la crisi della Prima Repubblica, dalla scomparsa della Dc e del Pci. S'è affacciato con la pretesa di essere una nuova destra, ma era solo un'operazione tecnica, numerica. E' lì la radice del suo fallimento. Meglio: non bisogna sottovalutare, un fallimento definitivo ancora non c'è, bisognerà impegnarsi ancora e in modo intelligente. Ma il fallimento si sente arrivare. Milano è un fatto simbolico.
Perché Milano è simbolico?
Non per le sciocchezze che hanno scritto i giornali italiani teorizzando la fine del vento del Nord. Che storia è questa? Quel vento era la storia dei partigiani, non di Berlusconi. A Milano è cominciato invece un Nord diverso: il bisogno di qualcosa di nuovo nella produzione, nella distribuzione, nel modo di organizzare la vita. Sono torinese ma vengo da Milano perché lì ho fatto la Resistenza e lì mi sono sentito nuovo vento. E' in questi bisogni il valore simbolico e anticipatore di Milano.
Berlusconi perde perché non riesce ad affrontare i problemi veri della gente?
Certo. A parte tutto lui non sa dove voltarsi perché è un uomo incapace. E' un micropolitico incapace. Ha preso degli impegni e non li ha mantenuti. Quegli impegni dobbiamo risolverli noi. Lui ha peggiorato la situazione. Ci lascerà, quando verrò il momento, delle nuove difficoltà, delle cose difficili da rimediare. Ecco perché dobbiamo essere pronti a compiti gravosi. Lui ci ha rimpiccioliti, ci ha fatti sentire tutti legati all'immediatezza, al luogo, a non vedere quel che succede fuori e non occuparci delle ingiustizie crescenti che ci sono in giro. C'è una parte dell'Italia che sta veramente diventando più ricca e una gran parte che sta veramente diventando più povera.
Si allarga la forbice dei redditi?
Non si tratta solo della povertà di reddito. Penso alla disuguaglianza nelle incertezze, nelle paure, nelle possibilità. È da qui che bisogna ripartire.
Lei in passato ha fatto delle aperture ad An sdoganata grazie a Berlusconi. La crisi del berlusconismo cosa significherà per An?
Diciamo che An ha fin dalle origini problemi particolari da risolvere. In parte, li ha risolti e quando lo ha fatto ha trovato in me, vecchio antifascista, un atteggiamento di comprensione. Ho tentato di capire quando c'era la volontà di fare qualcosa di nuovo. Poi c'è stato un appiattimento impressionante su Berlusconi. Vedremo come si svilupperanno le cose. Credo poco, invece, all'immagine di una rinascita centrista autonoma.
Insomma, non rinascerà la Dc.
Sì, ci credo poco. Le cose, tutte le cose, a un certo punto muoiono. La storia per fortuna di tutti, anche di quelli che sono stati democristiani, non si ripete. Sarebbe una noia mortale.
Passiamo al centro sinistra. Che deve fare?
Non ho partecipato alle discussioni tattiche, non le seguo neanche un granché...
Ma che deve fare l'Ulivo?
Deve continuare a mettersi in discussione. Deve continuare soprattutto ad arricchire la propria unità. Dobbiamo avere un'unità programmatica per governare, avere la capacità di immaginare qualcosa di più grande. Non potremo farcela solo con programmi tradizionali. Le nostre questioni si intrecciano a questioni mondiali che vanno affrontate. Il modo in cui l'Europa si muoverà è decisivo. Il risultato del voto deve spingerci a pensare in grande, ad avere una strategia che non sia solo di un giorno o di un mese, ma di tempi lunghi.
Ho visto che si è impegnato per Uniti nell'Ulivo sulla base della proposta di Prodi.
Sono impegnato per Prodi da molto tempo, non da ora. Credo anche che in politica quando c'è un impegno bisogna accettare quello che c'è senza andare a vedere tutti i dettagli. Nella politica le scelte si fanno e bisogna farle durare senza chiederne ragione ogni minuto.
Che quattro partiti del centro sinistra si siano messi insieme nella lista Uniti per l'Ulivo, Foa come lo giudica?
Ho dato un giudizio positivo su questa testimonianza unitaria. Era la scelta strategica giusta per vincere, ed è stato così. L'unità mi è sempre apparsa come la chiave per potercela fare. Per vincere bisogna stare uniti e bisogna stare uniti perché noi abbiamo veramente delle cose da dire insieme. E' quel che penso di Uniti per l'Ulivo. Detto questo, voglio aggiungere che ho sempre pensato che ci sono anche gli altri. La sinistra, il centro sinistra è tante cose. Bisogna tenere il cuore e la mente aperti con disponibilità verso tutto il resto.
Un grande partito quindi, però veramente aperto...
...Non so se partito o un'altra cosa. Credo che i modi di pensare le cose possono essere anche indipendenti dalle parole che si usano. Non sono affascinato dall'idea di fare un partito. Forse perché nella mia vita ne ho fatti tanti e sono andati tutti male. Se qualcuno riesce a farlo, però, tanto meglio. La cosa che dobbiamo pensare subito, però, è capire che fare in Europa. Pensare a noi stessi significa capire cosa succede in Europa. Questo lo dice bene il presidente Ciampi: pensare all'Europa significa pensare a noi stessi. La lotta contro la disuguaglianza va pensata anche in termini europei e mondiali. Guardare al futuro pensando agli altri è la posizione metodologica giusta. Sono molto convinto di questo.
Se Prodi, Fassino Rutelli, Boselli, la Sbarbato le chiedessero...
...D'Alema, mi pare un nome importante da aggiungere, e Amato che è un mio amico...
...Sì, se le chiedessero: ora Vittorio che dobbiamo fare? Che gli risponderebbe?
Loro lo sanno bene che fare. Comunque, aggiungerei di stare attenti a quel che accade in Confindustria. Non so se le cose che dice il nuovo presidente rispondono alla cultura della categoria. Se così fosse ci sarebbe qualche possibilità nuova su reddito, salario, distribuzione delle incertezze che vanno affrontati in termini nuovi. Bisogna pensarli in rapporto al peso che hanno le rendite, i monopoli che entrano nel nostro modo di vivere, la capacità di una parte del mondo finanziario di appropriarsi delle ricchezze degli altri. Dobbiamo affrontare tutto questo. A me pare che negli ultimi tempi queste questioni siano entrate anche nella cultura delle imprese.
Che altro gli direbbe?
Che bisogna aiutare e dare una mano a tutti quelli che tentano di fare una innovazione, a chi vuol fare cose che consentono di comunicare meglio col mondo. I rapporti tra il futuro governo, che sarà nostro anche se non so quando...
...Dicono tutti alle prossime elezioni.
Può anche darsi prima. Non porrei limiti. Perché no? E' difficile che un gruppo rinunci e si affondi da solo. Ma è anche vero che hanno un presidente che produce da se stesso la propria crisi. Quando apre bocca crea pasticci. Non sa da che parte voltarsi. E dopo questa crisi le sue difficoltà sono destinate a crescere di parecchio. Dobbiamo stare attenti: possono avvenire anche cose molto spiacevoli. In ogni caso, bisogna sollecitare anche le possibilità di cambiamento che possono avvenire dentro il Polo. Non è vero che dobbiamo prendere appuntamento per il 2006. Lasciamoci aperta la porta per meglio renderci conto.
Lei dice, stare attenti. Dopo il voto la democrazia italiana è più forte o più debole?
In Italia ci sono delle garanzie. Berlusconi ha cercato di eliminarle: giustizia, Corte costituzionale, lo stesso ruolo e figura preziosissimi del Presidente della Repubblica... Gli istituti di garanzia sono stati svuotati, però ci sono. Ci sono delle persone che sono elementi di garanzia per tutti. L'Italia è democratica? Io rispondo: sì, perché c'è molta gente che ci crede. Dopotutto queste ultime elezioni hanno dato la prova che può vincere il desiderio di qualcosa di diverso.