C’è democrazia in Islam
di Jimmy Carter
Negli Stati Uniti, in modo particolare a Washington e sui media, circolano una ossessione per la violenza e il terrorismo e un diffuso senso di scontro tra cristiani e musulmani. Questo stereotipo abbraccia anche l’aspetto del governo con la generalizzata convinzione che le società musulmane siano contrarie a una autentica forma di governo democratico.
Il pacifico e relativamente tranquillo primo turno delle elezioni presidenziali in Indonesia la settimana scorsa, al quale ho assistito con gli osservatori del «Carter Center», confuta queste idee. Dopo 53 anni di governo dittatoriale ad opera di Sukarno e Suharto, si è andato rapidamente affermando un vero e proprio miracolo politico. Suharto aveva scelto come vicepresidente un consigliere scientifico di provenienza non politica, B.J. Habibie, che divenne capo dello Stato quando Suharto fu costretto ad abbandonare la presidenza nel maggio 1998.
Habibie fece abrogare molti editti impopolari del suo predecessore, garantì lo Stato di diritto e il rispetto dei diritti umani e avviò un autentico processo democratico che portò alle elezioni del parlamento e del presidente. Essendo mio amico personale di vecchia data si rivolse a me e al «Carter Center» per essere consigliato e appoggiato e, unitamente al «National Democratic Institute», ci assumemmo l’incarico di monitorare le elezioni del giugno 1999.
Alle elezioni parteciparono 48 partiti politici che si contesero 500 seggi parlamentari cui si aggiunsero altri 200 parlamentari in rappresentanza di gruppi che non avevano diritto di voto quali i militari, la polizia e altri settori professionali. Il Parlamento in seduta plenaria elesse Abdurrahman Wahid come presidente e Megawati Sukarnoputri, figlia dell’ex presidente Sukarno, come vicepresidente. Nel luglio 2001 Wahid fu accusato di incompetenza e sottoposto a procedimento di impeachment e nel mese di ottobre Megawati completerà il mandato quinquennale in qualita’ di capo dello Stato.
L’Indonesia, che si estende per 3.200 miglia nel Pacifico meridionale e nell’oceano Indiano a nord dell’Australia, conta 235 milioni di abitanti di 100 gruppi etnici diversi che parlano 300 lingue e dialetti differenti ed è quindi una societa’ estremamente diversificata e complessa.
È di gran lunga la più grande nazione islamica: i musulmani costituiscono l’87% della popolazione. Il gruppo religioso dominante, per la stragrande maggioranza moderato, contribuisce a formare insieme ai cristiani, agli hindu e ad altri gruppi religiosi un governo laico. La costituzione è stata modificata per consentire l’elezione diretta del presidente e del vicepresidente. Una commissione elettorale (Kpu) costituita da nove professori universitari, controlla il corretto svolgimento delle elezioni in tutto il paese. Una corte costituzionale composta di tre membri nominati dal presidente, tre dal parlamento e tre dalla corte suprema (cinque dei quali professori) compone rapidamente tutte le controversie che sorgono in merito allo svolgimento delle elezioni e le sue decisioni sono inappellabili. A seguito delle elezioni parlamentari dell’aprile 2004, la corte ha svolto rapide indagini e ha deciso in merito a 273 casi controversi modificando in 15 casi il nome del candidato eletto. La Kpu e la corte sono oggetto di rispetto pressoché unanime per ciò che riguarda la loro equità e integrità e tutte le decisioni sono state accettate senza alcuna manifestazione di dissenso. Uno degli aspetti più rimarchevoli della rapida adozione da parte dell’Indonesia di un governo democratico è stato il coinvolgimento senza precedenti degli osservatori interni nel processo elettorale. Oltre 200.000 osservatori volontari sono stati reclutati, formati e impiegati nelle elezioni del 1999 e un numero analogo ha contribuito a controllare le elezioni di quest’anno. Il loro ruolo è riconosciuto e accolto con favore dalle autorità elettorali e hanno messo a punto un sistema autonomo di scrutinio dei voti talmente obiettivo e accurato che i loro risultati sono accettati come definitivi, salvo, naturalmente, il risultato dello scrutinio ufficiale nei casi in cui la differenza di voti è minima o nei casi contestati. Il 5 luglio l’affluenza alle urne è stata dell’86% circa degli aventi diritto e, secondo gli osservatori, le operazioni di voto sono state libere, corrette e sicure. Per essere eletto presidente un candidato deve ottenere la maggioranza dei voti più il venti per cento almeno in oltre metà delle province. Il candidato che ha ottenuto il maggior numero di voti, con il 33%, è stato l’ex generale Susilo Bambang Yudhoyono, noto come Sby, assurto ad una certa notorietà popolare a seguito delle controversie su questioni di principio con i presidenti Wahid e Megawati. Secondo i risultati ufficiosi Megawati si è piazzata seconda con il 27% dei voti e quindi ci sarà un ballottaggio il 20 settembre tra questi due candidati.
Malgrado le profonde differenze tra i candidati e l’accesa campagna elettorale in tutto l’arcipelago, non sono stati riferiti casi di violenza. Si tratta della cinquantesima elezione monitorata dal «Carter Center» in diverse parti del mondo. In tutti i casi si è trattato di elezioni tenute in paesi nei quali lo svolgimento delle elezioni presentava dei problemi vuoi perché si trattava di Paesi nei quali era in corso una transizione dalla dittatura alla democrazia vuoi perché la democrazia era in grave pericolo. Questa elezione, che è stata per noi una pietra miliare, è stato anche un passo significativo verso la democrazia in tutto il mondo. Gli indonesiani offrono uno straordinario esempio di pacifico cambiamento politico confutando decisamente l’opinione di chi ritiene che le società musulmane siano anti-democratiche.
Jimmy Carter, ex presidente degli Stati Uniti, è presidente del «Carter Center»
con sede ad Atlanta, una organizzazione non governativa che si propone il progresso della pace e della salute in tutto il mondo.