I testimoni di Genova
Antonio Padellaro
Nel programma della Festa nazionale de l’Unità di Genova - ricca come sempre di personalità illustri e di eventi di forte richiamo - ci colpiscono tre nomi: quello del ministro del Lavoro, il leghista Roberto Maroni; quello del ministro per l’Attuazione del programma, Claudio Scajola, di Forza Italia; quello del presidente della commissione Giustizia della Camera, l’on. Gaetano Pecorella, anch’egli di Forza Italia.
Colpisce la presenza di Maroni, Scajola e Pecorella non perché tre esponenti di spicco della maggioranza saranno ospiti del maggior partito di opposizione. Infatti, della pattuglia, diciamo così, governativa, fanno parte anche i ministri Alemanno e La Loggia, oltre al presidente dell’Udc Follini, sperando di non averne dimenticato qualcuno. E poi, la Festa de l’Unità è sempre stata un luogo di tolleranza e di confronto, tradizione che va assolutamente difesa in tempi di intolleranza e chiusura (se esistesse un criterio di reciprocità non osiamo pensare a quale sorte andrebbe incontro un esponente dei Ds alla festa della Padania).
No, la presenza di Maroni, Scajola e Pecorella alla festa di Genova ci colpisce per la forte connotazione politica dei tre personaggi, per la assoluta determinazione con la quale, in ruoli diversi, hanno in questi tre indimenticabili anni, espresso il peggio del berlusconismo al potere. Non sono certo colombe della pace e del dialogo.
Roberto Maroni (che si confronta con Antonio Bassolino il 12 settembre) è stato la punta di lancia dell’offensiva contro l’art. 18, con comportamenti di assoluta intransigenza che hanno raggiunto vette intollerabili quando, dopo l’omicidio Biagi ad opera delle Br, il ministro del Lavoro indicò i mandanti morali dell’assassinio nel campo della sinistra, con tanto di nomi e cognomi.
Di Claudio Scajola (dibattito sull’immigrazione il 7 settembre) basta ricordare che era lui il ministro degli Interni ai tempi dei fatti di Genova.
Quanto a Gaetano Pecorella (faccia a faccia sulla giustizia con Anna Finocchiaro il 13 settembre) è l’avvocato principe di Silvio Berlusconi, ruolo che ha esercitato nelle aule di giustizia e, contemporaneamente, nelle aule parlamentari.
Visto che, sotto la sua sapiente regia, la commissione Giustizia di Montecitorio ha partorito le leggi ad personam poi applicate nei tribunali a favore del suo premier-cliente. Se esistessero le olimpiadi berlusconiane (prima o poi ci si arriverà) all’on. Pecorella andrebbe assegnata la medaglia del decatlon.
Forse è il caso di ricordare quanto sia stata aspra e tenace l’opposizione del centro-sinistra contro quasi ogni atto politico di questi tre personaggi.
Malgrado i precedenti siano questi su Maroni, Scajola e Pecorella alla Festa de l’Unità è giusto che non pesino pregiudizi a patto che la loro presenza possa fare incamerare alla sinistra e all’opposizione un qualche tornaconto politico. Possibilità che per ora onestamente ci sfugge. Ma proviamo lo stesso a fare uno sforzo di comprensione (e di tolleranza), come nello spirito della festa ricordando le parole, se non erriamo, di quel sant’uomo di papa Giovanni: quando incontrate un viandante chiedete non da dove viene ma dove va. Applicata alla politica, la parola giovannea appare quantomai calzante soprattutto se l’avversario dovesse per esempio cominciare a camminare nella tua direzione. O se con le sue dichiarazioni aprisse, poniamo, delle crepe nel proprio schieramento. O se venisse ad annunciare vistosi mutamenti di marcia nelle scelte economiche o nella legislazione sul lavoro. Ma è pensabile che Maroni si presenti a Genova per annunciare questi vistosi mutamenti? O venga a chiedere scusa per l’articolo 18 o per le infamanti accuse rivolte a sinistra? È possibile che il decatleta Pecorella approfitti della Festa de l’Unità per spogliarsi di una parte almeno del suo incredibile conflitto d’interessi? O che Scajola ci racconti finalmente chi diede l’ordine dei pestaggi al G8? No, il massimo che possiamo attenderci è qualche cautissima, genericissima, fumosissima apertura di dialogo destinata a evaporare con la fine dell’estate, quando riapriranno il Parlamento e “Porta a Porta”: il fatto è che viviamo, politicamente, in un sistema maggioritario bipolare, come dimostra l’accanito duello di questi giorni tra Kerry e Bush. In un sistema di questo tipo non devi concedere nulla all’avversario, che infatti non concederà nulla a te. Non vorremmo insomma che da questa triplice e assai impegnativa presenza alla Festa de l’Unità fosse la destra e non la sinistra a incamerare un tornaconto politico. Cosicché i potenziali elettori di destra possano sentirsi più rassicurati nelle loro certezze. E quelli di sinistra un po’ meno.
Cara Unità, mi si lasci dire che appare per lo meno singolare la scelta del giornale di dedicare alla Festa un editoriale di critica alla vigilia dell’apertura. Ma forse siamo noi a essere diventati un po’ troppo esigenti. Le feste dell’Unità sono concepite da sempre come occasione di riflessione e dialogo. In coerenza del resto con uno dei tratti fondanti dell’identità della sinistra democratica nel nostro paese. Il pubblico numeroso che vi partecipa, e che conferma la riacquistata centralità politica dei Democratici di Sinistra, tutto questo lo sa e mostra di apprezzarlo. Il che non è solo motivo di orgoglio per le migliaia di militanti che quelle feste costruiscono e fanno vivere ma è, soprattutto di questi tempi, un segnale importante di normalità. Qualcosa che stride felicemente con i toni eccitati, le crociate verbali e gli anatemi isterici che una certa destra vorrebbe imporre a tutti in una spirale che allarma.
Resta il fatto che Padellaro critica aspramente la presenza dei ministri Maroni e Scajola e del presidente della Commissione giustizia della Camera, Pecorella, alla festa di Genova che si inaugura questa sera. A proposito, grazie e in bocca al lupo a tutti i volontari che vi lavoreranno e che in queste ore stanno sacrificando nel mega cantiere genovese le proprie ferie e il proprio tempo libero! E motiva la sua bocciatura, se ho ben compreso, con giudizi di merito sulle tre personalità e sul loro operato recente. Che dire? Che abbiamo forse rimosso il consuntivo fallimentare che maggioranza e governo presentano al Paese dopo tre anni di legislatura? Naturalmente no. Ma il punto, caro Padellaro, non è questo. Almeno alla luce della premessa iniziale e di quel richiamo che tu stesso fai alla tradizione di confronto delle nostre feste. Discutere, in modo argomentato e civile, con i propri avversari politici non è una maniera di annacquare le differenze. Casomai è la via per evidenziarle, misurandosi con la realtà senza ricadere, se possibile, nella logica della scomunica e dell'odio. Non abbiamo mai usato le feste dell'Unità come teatro di pene o riabilitazioni. E gli ospiti che vi entrano sanno benissimo che non vengono lì per essere assolti o condannati. Certo, Padellaro potrebbe replicare che il problema è di opportunità, oltre che di principio. Mi permetto però di invitare a maneggiare la materia con cura. Chi può distinguere di volta in volta quel che è opportuno da ciò che non lo è? Anni addietro, non molti per la verità, invitammo alla festa nazionale di Reggio Emilia l'allora presidente di Alleanza Nazionale. Si era dopo Fiuggi ma assai prima del viaggio in Israele. Fini venne. Discusse civilmente con Walter Veltroni e si congedò. Lo stesso accadde in altra occasione con Umberto Bossi. Mentre due anni fa, a Modena, fu Bersani a confrontarsi con Antonio D'Amato, all'indomani del fallimentare Patto per l'Italia e dei tre milioni di cittadini confluiti a Roma su proposta della Cgil. Sono esempi di un metodo di lavoro ma soprattutto di una cultura. Di un modo di intendere la lotta politica e lo scontro delle idee. Legittime naturalmente le obiezioni. Personalmente continuo a ritenere che l'uso critico della parola al pari della dialettica pubblica, anche la più aspra, siano una dote che la democrazia e la sinistra debbano conservare tra i beni più cari e inestirpabili. Pena il rischio di “diventare come gli altri” al solo scopo di sentirsi più forti, ma di ritrovarsi al dunque inevitabilmente più poveri. Infine mi si lasci dire che appare per lo meno singolare la scelta dell’Unità (giornale) di dedicare all’Unità (festa) un editoriale di critica alla vigilia dell’apertura. Ma forse siamo noi - intendo quelli che le feste le fanno e le gestiscono - a essere divenuti un po' troppo esigenti verso il giornale a cui è dedicato il nostro lavoro. Pazienza.
Lino Paganelli
*responsabile nazionale
Feste de l’Unità
Caro Paganelli,
è bella e giusta l’aspirazione a dare “segnali importanti di normalità”. Il fatto è che questi non sono tempi normali. Certo non i tempi in cui un primo ministro dichiara “faccia da stronza” una signora che gli dice “torni a casa” (normale sentimento di opposizione), e non un solo giornalista nel Paese se ne accorge o si indigna. Chi è all’opposizione e fa opposizione non odia e non scomunica nessuno, oltretutto perché sono attività prive di senso. Dice le sue ragioni più forte che può, visto che non controlla le tv di Stato e non possiede quelle private. Per esempio denuncia, in completa solitudine, (come ha fatto questo giornale) l’operazione condotta da un organo istituzionale dirottato - la commissione Telekom Serbia - contro Prodi, Fassino e Dini accusati per 49 giorni, durante tutta la scorsa estate, da tutti i telegiornali, sulla parola di falsari tuttora in carcere, del presidente e dei membri di maggioranza di quella commissione, di avere incassato grosse tangenti. Eventi da tempi normali? Questo giornale non lo crede, e ha usato tutta la sua capacità giornalistica (non odio, non scomuniche, ma contestazione continua di fatti) per svergognare chi ha montato deliberatamente simili accuse contro Prodi, Fassino e Dini. Niente odio (questa è una parola cara a loro, e sta per “critica”) solo informazione corretta in un mare di informazione falsa.
Forse avrai notato che John Kerry - che certo non scomunica e non odia - non ha invitato George Bush al barbecue (festa sul prato) con cui ha aperto la campagna elettorale democratica. C’erano invece tutti coloro che lo aiuteranno a vincere. Ah, e senza odio, ha preteso che Bush gli chiedesse scusa per avere negato che si era meritato le medaglie al valore. Bush, proprio ieri, ha chiesto scusa.
Berlusconi, che aveva definito “una questione interna della sinistra” l’assassinio del prof. D’Antona, non ha mai chiesto scusa. Non a Olga, non alla sinistra, non al Paese. Come vedi, da tutte e due le parti (Unità festa e Unità giornale) siamo molto esigenti. È questo che ci unirà per battere Berlusconi.
Se ti puo' consolare, a Bologna la Festa Provinciale de l'Unità concede pochi (se non nulli) spazi alle Destre...
Very nice! I'm putting you at my favourits. , TV will chair unconditionally
Thank you!
http://obzupblc.com/vsga/sola.html | http://sygowafu.com/uobn/ytvn.html