IL TERRORISMO ANTI-GLOBAL
Chi uccide l' integrazione delle economie
Angelo Panebianco
Ricordate la globalizzazione? Tra il 1999, l' anno in cui, a Seattle, prese il via la contestazione della globalizzazione e l' estate del 2001, quando, con i disordini di Genova in occasione del G8, la rivolta no global raggiunse il punto massimo di intensità, per quasi tre anni sembrò che la politica mondiale fosse ormai stabilmente dominata da una nuova polarizzazione: i fautori della globalizzazione contro i suoi acerrimi nemici. Non c' era giorno che i guru del movimento antiglobalizzazione non venissero intervistati e coccolati dai massmedia. Poi arrivò l' 11 settembre. La guerra scatenata dal terrorismo islamico rimescolò le carte. Nonostante Porto Alegre o il Social Forum di Firenze (2002), di globalizzazione si cominciò a parlare sempre meno. Le mobilitazioni per la pace (ossia, contro la politica degli Stati Uniti) sostituirono le manifestazioni no global. Ciò è logico, si dirà: se c' è la guerra, preoccupazioni più urgenti incombono. In realtà, la ragione principale per cui la guerra terrorista spazzò via le precedenti ossessioni per la globalizzazione aveva a che fare con le debolezze intellettuali che affliggevano il movimento no global nella effimera stagione dei suoi successi. Il movimento no global era la brutta copia di un altro movimento anticapitalista, assai più serio, e tragico, che era stato protagonista del Novecento: il movimento comunista. A differenza del predecessore, il movimento no global possedeva strumenti di lettura della realtà molto rozzi. I suoi esponenti attribuivano ogni male del mondo alle imprese «multinazionali». Anche le guerre, in questa visione, erano frutto degli intrighi delle multinazionali o, comunque, l'effetto dei disastri di una globalizzazione di cui le multinazionali costituivano il volano. Non capivano, non potevano capire, che la guerra, anziché compagna e sodale della globalizzazione, ne è il carnefice. Quella crescente interdipendenza economica che è stata definita globalizzazione ha infatti bisogno, per continuare a svilupparsi, di pace, non di guerra. Ha bisogno di sicurezza e stabilità e ottimismo, e che le armi tacciano, e gli oneri della guerra non assorbano le risorse destinate allo sviluppo. La grande ondata della globalizzazione che si sviluppò tra la fine del XIX secolo e i primi decenni del XX venne spazzata via dalla Prima guerra mondiale. Solo negli anni Settanta dello scorso secolo l' interscambio commerciale tornò ai livelli precedenti il 1914. Anche l' ondata globalizzatrice degli anni Novanta fu resa possibile dalla «pace» che seguì la fine della Guerra fredda, dalla conseguente apertura di nuovi mercati, e anche dalla liberazione di risorse favorita dai processi di disarmo di quegli anni. La guerra asimmetrica» scatenata dal terrorismo a partire dall' 11 settembre e le vicende che l' hanno accompagnata (ivi compresa la campagna irachena) non hanno ancora «ucciso» del tutto la nuova globalizzazione, ma le hanno sferrato colpi durissimi. L' insicurezza generalizzata che la sfida terrorista alimenta, i costi crescenti che l' Occidente paga per la guerra, e anche i vincoli che le esigenze di sicurezza impongono ai movimenti di persone e capitali, sono un' ipoteca gravosissima per la crescita dell' economia mondiale e frenano i processi d' integrazione. Auguriamoci che, prima o poi, la contestazione no global torni a farsi sentire. Vorrà dire che il terrorismo islamico sarà stato sconfitto, la riconquistata sicurezza avrà rilanciato fiducia nel futuro e voglia di investire, e la globalizzazione avrà ricominciato a distribuire i suoi dividendi, di sviluppo e di benessere.
Per la verità di argomentazioni così idiote (e anche più) non è affatto difficile trovarne. Basta aprire il 99% dei quotidiani italiani a caso. Ero da anni abituato a spendere soldi e tempo nella lettura dei giornali ma siccome il mal di pancia va bene solo se dura poco oramai riesco a leggere solo l'Unità, il Manifesto ed il Financial Time (noto giornale bolscevico!)
panebianco e galli della loggia hanno un chiodo fisso da anni: il movimento no global è infantile, bisogna parlarne male sempre. qualunque cosa esso dica o faccia. durante la guerra tale ossessione, viene sostituita da un'altra ossessione maniaco depressiva: l'odio viscerale per il pacifisimo. ma qui, si sentono troppo vicini a mezzibusti di ben altra stazza, tipo feltri per esempio, così, per differenziare il loro posizionamento tornano alla vecchia ossessione clinica. un buono psicanalsita parlerebbe di "coazione a ripetere di tipo schizzoide".
questa gente non riuscirebbe ad accorgersi nemmeno se via solferino va a fuoco.
io aspetto ancora le scuse per Pinelli e Valpreda.
Per non parlare della campagna stampa che porto' alle cariche di polizia e alla distruzione del campeggio di via Ripamonti. A quel tempo il Cavaliere della Sera ce l'aveva coi "cappelloni": era il 1967.
Non cambieranno mai sti banditi dell'informazione in doppiopetto.
Panebianco, Galli Della Loggia, Ostellino, Romano, Paolo Mieli, Merlo, Folli (dimentico
qualcuno??) sono sul libro paga dei padroni
del vapore. E sanno bene cosa devono scrivere,
per vellicare l'elettorato di destra con la propaganda del terrore irrazionale, e per compiacere, da buoni servi, i loro padroni. La domanda e`: perche' vi ostinate a leggerli e a leggere il Corriere della Sera??