Ma dopo la festa e le parole tutto non torni come prima
«Questa città non ama le bici, dopo il festival le dimenticherà di nuovo»
Marco Vitale
Da antico appassionato ciclista e sostenitore dell'utilità della bicicletta, come mezzo di mobilità in città, mi rallegro per questa nuova iniziativa del Milano Bici Festival che, organizzata da una trentina di associazioni e dal Settore Trasporti del Comune di Milano, sta dando vita ad una serie di manifestazioni incentrate sulla bicicletta in città. Quando si fece la prima edizione ne fui entusiasta sostenitore, anche con un articolo sul «Corriere». Ma questa volta non posso negare che, fermo il giudizio positivo, l'entusiasmo si è smorzato ed ha lasciato luogo ad un po'di tristezza. Mi sono, infatti, chiesto: ma cosa è successo dopo la manifestazione precedente? Niente di visibile, anzi la situazione mi sembra molto peggiorata per i ciclisti. Ampie e lunghe strade come Corso Italia o corso San Gottardo che potevano essere percorse, con relativa tranquillità, dai ciclisti sono state trasformate in strette piste infernali dedicate praticamente solo ai tram e alle poche automobili che si riescono ad infilare tra un tram e l'altro. Percorrerle per un ciclista è un tentativo di suicidio. Per cui i ciclisti si rifugiano sugli - inutilmente larghi - marciapiedi, infastidendo i pedoni risentiti. Conosco le statistiche dell'assessore Goggi; non le metto in dubbio e penso anzi che nel periodo del suo governo un po'di sensibilità sul tema ha fatto strada, negli uffici comunali. Ma non ci siamo, non ci siamo proprio! E'stato spiegato che sommare piccoli pezzettini di piste ciclabili, per dimostrare che si sono fatti progressi, non collegate non è accettabile. Quando ebbi modo di interessarmi per un breve tratto di vicende comunali mi resi conto che negli uffici comunali la bicicletta era peggio che ignorata, era odiata. I sostenitori della bicicletta erano dei rompiscatole chiacchieroni che facevano perdere tempo e basta. Mi ha colpito, a ulteriore testimonianza di ciò, la lettera che mercoledì 15 settembre, Carlo Tognoli ha inviato al «Corriere» nella sua veste di presidente dell'associazione «Amare Milano», sul traffico. In questa lettera (il cui argomento di fondo: chiusura del centro, peraltro condivido). Tognoli scrive: «Si dice: la circolazione a spicchi è stata studiata per limitare l'accesso nel centro storico. E' vero, ma la chiusura totale indurrebbe ad un maggiore uso di mezzi pubblici: lasciare l'auto in parcheggio periferico e circolare in tram, bus o metrò è molto più comodo e meno inquinante che cercare un posto per la macchina "dentro uno spicchio"». E la bicicletta? Non esiste. E' fuori dalla cultura della mobilità a Milano. E' un gioco, una ragazzata, uno strumento per le gite domenicali senza auto. Eppure in tante città la bicicletta è diventata o tornata a essere un mezzo di mobilità urbana importante. Ho da poco passato tre giorni a Berlino dove ho girato sempre in bicicletta, insieme ad altre migliaia di persone, in un ambiente positivo alla bicicletta, pensato anche per la bicicletta. E'stato bellissimo, comodo e non inquinante. E la bicicletta si pone come chiara alternativa a quei mostri marziani, ad altissimo tasso di inquinamento, che una volta si chiamavano «scooter», «motorini» e che oggi non so come chiamare, che a Berlino quasi non esistono mentre da noi sono diventati un'orda terrificante e selvaggia. Per tutto questo la notizia del Festival delle due ruote mi ha, questa volta, molto meno rallegrato. Sento riaffiorare anche qui uno dei nostri maggiori difetti: tradurre le cose importanti in avvenimenti, festival, festeggiamenti, spunti commerciali, spettacolo, l'apparire che fa premio sull'essere. Poi si chiude il sipario e ognuno ritorna a casa sua. In attesa del prossimo Festival. Ed in attesa del prossimo Festival non si fa niente o, se si fa, si fa qualcosa che peggiora la situazione. È probabile che a Berlino non ci sia un Festival delle due ruote, ma in bicicletta si va sempre, tutto l'anno. Per non restare sul piano del piagnisteo, una proposta: in occasione del Festival si costituisca un organismo ristretto di competenti in parte esterni al Comune, presidiato da una vigorosa personalità, esperto nell'urbanistica milanese, con il compito di sviluppare e gestire un piano triennale per rendere Milano meno ostile alla bicicletta.
Sabato son passata da via XX settembre, non so sei hai visto la magnifica pista ciclabile, sul marciapiede, a ridosso dei cofani auto posteggiati; mi son sentita davvero presa in giro.
assolutamente condivisibile, fin troppo mordbido (dato il ruolo non poteva che essere così). Son stato in Buenos aires venerdì sera, ma anche ieri ho girato in bici e anche ieri l'altro. E mi rimangio tutto quello che ho scritto su ciclistica di positivo su sta pagliacciata che è stata allestita a suon di trombe e steli d'oro. Un'autentica ipocrita presa per il culo. ho visto vetrine di negozi di telefonini con splendide biciclette messe lì tanto per, con orrendi facciotti che sbavanti davanti all'ultimo nokia (le goccioline di saliva, cascavano sulla bici). Ho provato ad attraversare via vitruvio in bici con bambino che ha dovuto respirare a pieni polmoni il gas di uno scooter non revisionato. Il colore era nero denso e si tagliava col coltello, il tutto tra un tram il cui conducente cristava con una signora un po' imbranata che però stava usando la bici, magari per la prima volta, magari perché aveve letto della "settimana della bici". arrivato a casa apro il giornale e leggo dell'orrenda morte (direi omicidio, vista la dinamica) del signore quarantenne che tornava a casa in bici (a luci accese!), senza di fianco nemmeno un segno di frenata, senza che nessuno abbia potuto fare niente: morto stecchito all'istante. Io vorrei che tutti sti signori che tanto parlano della bici, riempiendosene la bocca una settimana all'altra, quelli che han pensato i cocktail "coppi e baratli" in buenos aires si mettano per un attimo a pensare se si sentono seri a parlare di una città della bici quando un signore lo stesso giorno, nello stesso luogo, muore in bici investito da un'auto, una signora (e con le centinaia d'altre) viene insulata beccandosi della "Puttana imbranata!" perché si è messa davanti a un tram in bici ecc. ecc. ecc.
No, non c'è spazio, non c'è cultura, non c'è onestà intellettuale per credere a ste pagliacciate. lasciamole ad albertini (che per l'occasion, ne sono sicuro, si metterà in kilt su un tandem in corso vittorio emanuele).
Sono andata in bici, in pieno agosto, nel centro di amsterdam, di edimburgo, di stoccolma e di altre città e non ho mai visto il disprezzo vero per il ciclista che si sente e vede a milano. ipocriti governanti dementi.
Parcheggio la mia bicicletta (da "panettiere" - la migliore in città) e
rientro in questo momento da un lungo tragitto cittadino: via rugabella
- via dei missaglia e ritorno, per un appuntamento di lavoro. E' bello
pedalare in città, vivere la città dalla sella, vedere le facce e le case,
annusare gli odori (non solo i gas di scarico), infilarsi nelle strade secondarie,
scivolare silenziosi attraverso i paesaggi urbani e soprattutto umani.
Io, un milanese di adozione, non potrei conoscere ad amare questa città
senza viverla sulle due ruote. L?immagine è il ciclista che pedala allegro
e fischiettando saluta il collega in arrivo sulla corsia opposta, attore
di una città affabile che resiste ed ha mille vite. Mille fili invisibili
che tessono la trama della città.
Allora smettiamola con questo vittimismo ciclstico, anche se alimentato
da nobili e condivisibilissime motivazioni. Il ciclista cittadino è portatore
di esigenze valide per tutta la collettività - di istanze generali si diceva
una volta, non fà parte di una delle tante caste che cercano di ritagliarsi
nicchie a proprio uso e consumo, usando il mugugno come principale strumento
di comunicazione. Il ciclista vive bene dove vivono bene i bambini, gli
anziani,
gli animali. Dove le auto non parcheggiano in doppia fila o sui marciapiedi,
dove i passaggi pedonali sono liberi ed accessibili, i rumori contenuti
e le velocità ragionevoli.
Sicuramente le piste ciclabili aiutano, ma non sono l'unica bandiera, nè
la soluzione di tutti i mali. Il ?banale? rispetto del codice della strada
- primi i ciclisti indisciplinati- farebbe molto ma molto di più.