La Grande Crisi e la sinistra alternativa
di Piero Sansonetti
La guerra è del tutto fuori controllo. Nessuno la governa, nessuno sa prevedere le prossime mosse sue o dell'avversario. Forse gli Stati Uniti l'hanno già perduta. Non in senso metaforico, o simbolico, o politico: in senso letterale. Forse hanno ricevuto una sconfitta militare che non avevano mai messo nel conto. Perché è stata fatta questa guerra? Un vecchio socialista francese di fine ottocento, Jean Jaures, sosteneva che «le nuvole nere portano il temporale con la stessa frequenza con la quale il capitalismo porta la guerra». Cioè diceva che la guerra è inevitabile dove comanda il mercato. E' un ragionamento un po' schematico, ottocentesco, però non è infondato. Qualche tempo fa, sul Corriere della Sera, Angelo Panebianco contestava questa tesi. Diceva: è vero il contrario, la guerra non è il "portato" della globalizzazione ma è il freno alla globalizzazione. In fondo Panebianco ha ragione, è così: la guerra frena la globalizzazione. Però ne è anche la conseguenza. E' un paradosso ma è la verità. La globalizzazione - quella governata e imposta dal mercato e dal sistema liberale - è impossibile senza l'azione militare. Perché la globalizzazione capitalista è un processo di accentramento delle ricchezze in una parte piccola del mondo, e quindi provoca giganteschi squilibri sociali ed economici, e questi squilibri possono essere difesi solo con le armi, e blindando la "cassaforte", cioè l'Occidente. Poi però ci si accorge che la guerra è necessaria ma è anche distruttiva per la globalizzazione. Frena i commerci, impedisce i trattati, danneggia i mercati, modifica e alza i prezzi, annienta l'omogeneizzazione culturale. Questa è la gigantesca contraddizione della "modernizzazione liberista", e certo non è stata risolta da Bush.
O si spezza questa contraddizione,
come scriveva
ieri sul nostro giornale
Raniero La Valle - cioè si
rompe il cerchio di violenza,
sfruttamento, squilibrio,
guerra e terrorismo - oppure
si corre a rotta di collo verso
una crisi della civiltà umana
di dimensioni mai viste. Per
spezzare questo cerchio occorre
un nuovo disegno di
società e di relazioni internazionali.
Il disegno della
destra non funziona più,
quello della sinistra ancora
non si vede. Sta qui la crisi.
E la crisi politica italiana
vive dentro questa dimensione
tragicissima della crisi
internazionale. Spesso si ha
l’impressione che i suoi protagonisti
politici non se ne
rendano ben conto. Sia il
centrodestra che il centrosinistra
sembrano impauriti
dalla necessità di dichiarare
superate le ricette che li
hanno portati al governo negli
ultimi dieci anni e di mettersi
alla ricerca di nuove vie.
Invece quelle ricette sono superate. Il vecchio Ulivismo
che vinse nel ’96 - volando
sul vento di Clinton - e
che progettava un governo
moderato e progressista del
liberismo, è stato sconfitto
da Bush e dalla logica feroce
della globalizzazione che
non ammette di essere imbrigliata.
E anche il berlusconismo
ha la strada sbarrata.
Non dai giudici, né dalle
autorità antitrust, ma dalla
sconfitta del bushismo sul
quale Berlusconi aveva
scommesso tutto. Bush può
anche vincere le prossime
elezioni di novembre (sarebbe
una sciagura per l’umanità)
ma la sua idea politica
ormai è morta e sepolta
sotto la sabbia dell’Iraq. Il
berlusconismo si basava
sulla certezza di un grande
sviluppo economico internazionale
tirato dagli Stati
Uniti. L’età dell’oro del capitalismo.
A questo sviluppo
era disposto a pagare qualunque
prezzo politico e culturale.
Ha pagato il prezzo,
ma lo sviluppo non c’è stato.
Per questo tutta l’idea di futuro
che Berlusconi ci ha
proposto - il modello berlusconiano
- è fallita.
Di fronte a questo terremoto
si trova la sinistra
di alternativa. Non può ignorarlo.
Deve costruire in questi
anni un impianto teorico
e una organizzazione politica
e sociale in grado di fronteggiare
l’emergenza e di indicare
una via d’uscita. Può
farlo assumendo una posizione
marginale, di completamento,
o di stimolo, o di
semplice contestazione del
centro-sinistra? No, sarebbe
accademia. Deve assumere
un ruolo dirigente, deve saper
guidare, deve costruire
una idea politica egemone:
deve conquistare lo spirito
pubblico. Diciamolo in modo
più secco: deve misurarsi
con il problema del governo
di questa devastante transizione.
Che la sinistra alternativa
assuma questa responsabilità
e questo ruolo
è nell’interesse di tutti: non
solo delle classi più deboli,
ma anche della sinistra moderata
e dei ceti che a lei si riferiscono,
e in definitiva è
nell’interesse nazionale.
Da oggi io dirigerò questo
giornale. Ne sono davvero
molto orgoglioso e sono anche
abbastanza emozionato.
Mi hanno chiesto: perché
tu che vieni da un’altra storia,
tu che hai militato nei Ds
per tanti anni, adesso hai accettato
questo incarico? Per
due ragioni. Una ve l’ho appena
spiegata. E’ quella
fondamentale: credo che
tocchi alla sinistra radicale
guidare la trasformazione e
portare il paese fuori dalla
palude. La sinistra riformista
non ce la fa.
La seconda ragione è ancora
più semplice: ho guardato
il film di questi ultimi
tre anni e mi sono chiesto,
quali sono state le grandi
novità politiche a sinistra?
Ne ho viste tre: il crescere del
movimento no-global e pacifista;
la scelta nonviolenta
di un pezzo molto grande
della sinistra d’alternativa;
la battaglia per i diritti del lavoro
condotta nelle piazze e
con un referendum. In tutte
queste tre novità c’entrano,
con una funzione di primissimo
piano, Rifondazione
comunista e il suo giornale.
Conterà qualcosa?
Non espongo programmi,
quelli li faremo insieme
alla redazione e li discuteremo
con più gente
possibile. Riceviamo una
eredità preziosa, perché in
questi anni Alessandro Curzi
e Rina Gagliardi hanno
prodotto un gran giornale,
che ha avuto un ruolo assai
forte nelle battaglie della sinistra,
specie nel triennio
rosso, da Genova in poi. Sappiamo
anche che la fase politica
è cambiata, e di conseguenza
che il giornale deve
cambiare profondamente.
Dobbiamo fare un giornale
che nel prossimo decennio
sia uno strumento decisivo
di informazione, di discussione
e di elaborazione politica
per tutta la sinistra italiana.
Non solo un giornale
di battaglia: un giornale di
informazione, di idee, di discussioni.
Non abbiamo
modelli, perché non ci sono
in giro molte cose da imitare
nel giornalismo italiano.
Siamo un giornale piccolo e
con pochi mezzi, però abiamo l’ambizione di fare
molto giornalismo, molte
inchieste, cercheremo di
raccontarvi quello che succede
in Italia e nel mondo, di
raccontarvi la vita e le sofferenze
e le gioie delle persone
in carne e ossa, e cercheremo
di essere un luogo fondamentale
per il dibattito e
per la elaborazione politica
e teorica della quale non si
può fare a meno.
E’ inutile fare promesse.
Meglio fare qualche ringraziamento
e qualche richiesta.
Il mio ringraziamento va
al partito di Rifondazione
comunista, che è stato molto
generoso nell’offrirmi
questo incarico e nel mostrare
una fiducia così grande
verso una persona che in
fondo conosce poco e che è
sempre stata estranea alla
sua organizzazione. Spero
di essere all’altezza di questa
fiducia, ma non ne sono
sicuro. Però vi giuro che ce la
metterò tutta e in questi
giorni mi sono accorto che
potrò contare su un aiuto
fondamentale: lavorerò con
una redazione formidabile.
Di richiesta invece ne ho
una sola, e la rivolgo ai lettori:
soprattutto nei primi
tempi siate indulgenti, noi
di “Liberazione” non abbiamo
in tasca né verità né formule
magiche, faticheremo
un po’ a trovare la via giusta.
Non ci stroncate troppo presto
e non indignatevi per
qualche errore.
PIERO