Liste di prescrizione
di Marco Travaglio
da l'Unità del 18 ottobre 2004
È così difficile pronunciare la parola «prescrizione»? Eppure ha soltanto una lettera in più di assoluzione. È così complicato capire la differenza fra un reato commesso e accertato ma coperto dal tempo, e un reato mai commesso e mai accertato? Nel regime che ammorba l'Italia, questa elementare distinzione non è soltanto difficile. È impossibile, anzi proibita. Altrimenti bisognerebbe ricordare che siamo governati da un premier salvato dalla prescrizione in un processo per corruzione giudiziaria (Mondadori) e in vari altri per falso in bilancio e finanziamento illecito. E bisognerebbe scrivere a chiare lettere che, secondo la sentenza della Corte d'appello di Palermo (2 maggio 2003), confermata venerdì dalla Cassazione, l'Italia è stata governata fino al 1980 da un mafioso. Un signore che - sono i giudici d'appello che parlano - ha «commesso» il «reato di partecipazione all'associazione per delinquere» (Cosa Nostra), «concretamente ravvisabile fino alla primavera 1980», ma «estinto per prescrizione». Un signore che «dialogava con i mafiosi» e «chiedeva loro qualche favore», «inducendoli a fidarsi di lui e a parlargli anche di fatti gravissimi (come l'assassinio di Mattarella) nella sicura consapevolezza di non correre il rischio di essere denunciati». Un signore con una spiccata «propensione a intrattenere personali, fruttuose e amichevoli relazioni con esponenti di vertice di Cosa Nostra», per «utilizzare la struttura mafiosa per interventi extra ordinem... forme di intervento para-legale che conferisce... un surplus di potere rispetto a chi si attenga ai mezzi legali». Un signore che nel 1979 incontrò il boss Stefano Bontade - che si lamentava della battaglia antimafia di Piersanti Mattarella, presidente dc (non comunista: dc) della Regione - e lo «rassicurò additando una soluzione “politica”». Poi tornò a Roma e non avvertì neppure Mattarella della minaccia incombente. Così Bontate fece trucidare Mattarella nel gennaio '80. Dopodichè - scrivono sempre i giudici - nella primavera '80 Andreotti tornò in Sicilia da Bontate per «chiedere chiarimenti» sul delitto: «indicò ai mafiosi le strade da seguire e discusse con loro di fatti criminali gravissimi da loro perpetrati... senza destare in essi la preoccupazione di venire denunciati», infatti poi «omise di denunciare elementi utili a far luce su fatti di particolarissima gravità». Quanto ai fatti successivi al 1980, i giudici d'appello confermavano l'assoluzione di primo grado con formula analoga alla vecchia insufficienza di prove (comma 2, art. 530).
Questa è la sentenza che, comprensibilmente, i difensori di Andreotti chiedevano alla Cassazione di annullare. La Cassazione non ha annullato un bel nulla: ha confermato tutto, anche la prescrizione per i reati precedenti al 1980. Con quale motivazione, lo sapremo quando verrà depositata. Ma i fatti sono questi. E di questi bisognerebbe parlare. Fatti che tutto possono suscitare fuorchè le scene di giubilo degli ultimi giorni. Tutto fuorchè i titoli sulla «assoluzione piena» di quasi tutti i giornali e tutti i telegiornali. Certo, se si parla di una sentenza senz'averne mai letto un rigo, allora si può fare e dire tutto.
Berlusconi si dice «molto felice per Andreotti», forse in veste di esperto in prescrizioni. Il ragionier Pera si rallegra per la «fine del calvario» (ma forse si riferisce a Mattarella). Casini addirittura esulta per la «sentenza liberatoria per le istituzioni». Ma che c'è di liberatorio nell'apprendere che, fino al 1980, un sette volte presidente del Consiglio e 40 volte ministro fu alleato di Cosa Nostra? Il Vaticano esala «grande soddisfazione», mentre il cardinale Angelini pontifica: «Volevano colpire la Dc» (ma forse anche lui si riferisce a Mattarella). De Michelis e Fragalà vanno subito al sodo e chiedono «risarcimenti per Andreotti» (invece sarà Andreotti a risarcire cospicue spese legali). D'Onofrio chiede agli «avvoltoi pusillanimi» di «chiedere scusa ad Andreotti» (il mondo alla rovescia: le vittime che si scusano con chi, fino al 1980, era alleato con la mafia). Fioroni della Margherita si spinge addirittura oltre: «Andreotti esce a testa alta da accuse infamanti contro le quali ha usato solo la forza della verità». Ma ha mai letto una sillaba della sentenza, questo Fioroni? Che cosa intende per «verità»? Se esce a testa alta un ex premier salvato dalla prescrizione dopo aver «commesso il reato di associazione per delinquere», che si deve fare per uscire a testa bassa?
La garrula avvocata Bongiorno si produce nei soliti saltelli e gridolini «assolto! assolto! è andata benissimo!», un minuto dopo aver perso l'ennesima battaglia (dopo quelle per Totti e Bettarini). Ma se davvero Andreotti è stato assolto, se insomma «è andata benissimo», come mai la signorina Giulia aveva scritto 530 pagine di ricorso per far annullare (invano) dalla Cassazione la sentenza d'appello?
Infine, Andreotti. Appare a reti unificate assiso come un papa su un trono dorato con cuscini cremisi, benedicendo l'«ottimo verdetto». Parla di «manipolazione dei pentiti» (falso: nemmeno uno dei 39 che l'accusano è stato denunciato per calunnia). Sostiene che la Cassazione non poteva far altro perché, per annullare la prescrizione, «avrebbe dovuto entrare nel merito e ordinare un nuovo processo» (falso: se non condivideva la sentenza d'appello, la Cassazione poteva annullarla senza rinvio ad altro processo. Come ha fatto per Carnevale e per lo stesso Andreotti nel caso Pecorelli. Invece ha confermato). E conclude: «Sono felice di esser arrivato vivo fin qui». Purtroppo, Piersanti Mattarella non può dire altrettanto. C'è chi può e chi non può.