Socialisti e Riformisti
Massimo L. Salvadori
L’iniziativa assunta da vari autorevoli esponenti dei Democratici di Sinistra, tra i quali Spini, Ruffolo, Trentin e Reichlin, e appoggiata dalle firme di alcune centinaia di militanti, con la quale ci si rivolge al prossimo congresso del partito al fine di ottenere che nel simbolo di quest'ultimo il richiamo all'appartenenza al socialismo europeo assuma una maggiore evidenza, suggerisce alcune considerazioni. La prima è che questa iniziativa testimonia dell'irrisolto contrasto all'interno del partito a proposito della sua natura; la seconda, che il dibattito su di essa si trascina da oltre dieci anni, con tempi che richiamano quelli dei processi penali italiani; la terza, che appare quanto meno curioso che un problema così importante, in assenza di un dibattito serio e ampio in termini di cultura politica, emerga in relazione al quantum di visibilità da concedersi al richiamo al socialismo europeo nel simbolo del partito.
In effetti, un certo dibattito c'è stato e c'è, ma condotto un po' alla piratesca, affidato prevalentemente alle prese di posizione di questa o quella corrente, di questo o quel gruppo, di questo o quell'esponente del partito, che si affidano alle agenzie di informazione, alle interviste, ai documenti di parte, senza che mai la questione sia divenuta oggetto di un congresso finalmente chiarificatore. Ma poiché i nodi restano, è da prevedersi che essi prima o poi vengano sciolti senza seguire la via più auspicabile.
A giudizio di chi scrive la radice prima di un siffatto trascinare senza esiti soddisfacenti l'irrisolta crisi di identità dei Ds è il non aver avuto la forza di dissipare un equivoco di fondo, vale a dire di rendere palese a quale tipo di riformismo essi intendono ancorarsi. La sostanza dell'equivoco è che quanto più insistente e diffuso diventa, tanto più il richiamo al riformismo rischia di rivelarsi non costruttivo a causa dell'eccesso di significati che contiene, lasciando aperte troppe strade. Infatti, sino a che resta un aggettivo, il termine “riformista” prende significato dal sostantivo che lo accompagna; quando invece diventa un sostantivo senza aggettivi esso delinea bensì la frontiera, ormai troppo generale, che divide i riformisti dai non riformisti, ma non consente di fare alcuna chiarezza nel distinguere tra i molti riformismi. Mi spiegherò parafrasando Bobbio.
Quando D'Alema parlò della necessità di attuare in Italia una “rivoluzione liberale”, Bobbio commentò: “Avrei preferito che un grande partito di sinistra, invece di lasciarsi sedurre dalla riproposizione della rivoluzione liberale, quando ormai tutti erano diventati liberali e naturalmente in primo luogo gli avversari, risollevasse la bandiera della giustizia sociale, che era sempre stata quella sotto la quale avevano percorso una lunga strada milioni e milioni di uomini e donne che avevano fatto la storia del socialismo”.
Orbene, oggi tradurrei così: “preferirei che un grande partito di sinistra, invece di lasciarsi sedurre dalla riproposizione di un generico riformismo, quando quasi tutti sono diventati riformisti, e in primo luogo gli avversari, risollevasse la bandiera della giustizia sociale collegandosi una volta per tutte al socialismo in un'epoca nella quale gli stessi diritti politici perdono largamente di significato nel momento in cui i diritti sociali vengono ogni giorno di più impoveriti e persino calpestati”. Il che rimanda alla questione se e in qual modo il socialismo possa continuare ad avere un senso nel mondo attuale.
È evidente che quanti all'interno dei Ds rispondono che esso è cosa d'altri tempi traggono la conclusione che si debba andare verso la formazione di un partito riformista unificato, che abbia come sua giustificazione e obiettivo di contrapporsi sia ai “falsi riformisti” sia ai “radicali”. Ma perché un simile obiettivo acquisti una piena forza di convinzione, occorre ritenere che il richiamo a un riformismo specificamente socialista sia di fatto fuori gioco. Per parte mia, cercherò qui di indicare quelle che a me sembrano invece le ragioni essenziali che militano a favore di un riformismo socialista autonomo. Esse sono nel loro insieme le seguenti. Sottolineo il termine “insieme”, poiché ritengo che, se alcune di essere appartengono a buon diritto anche ad altri riformismi, nessuno di questi le leghi le une alle altre come quello socialista.
I. La consapevolezza che i recenti sviluppi del capitalismo hanno dato vita ad una nuova ed enorme questione sociale, la quale, pur nella varietà delle sue forme a seconda dei paesi, del loro grado di sviluppo e delle conseguenze che comporta, ha una dimensione mondiale e influisce in maniera determinante sulla totalità dei rapporti politici e sociali.
II. L'assunzione come valore guida che è compito del potere pubblico legittimato democraticamente creare, mediante opportune politiche economiche e sociali, le condizioni affinché i singoli individui dispongano delle risorse materiali e culturali necessarie a sviluppare la propria personalità, a contribuire alla creazione della ricchezza comune in condizioni di un'accettabile sicurezza, a partecipare alla democrazia come cittadini attivi e consapevoli e non come “consumatori”.
III. L'opposizione all'idea propria del conservatorismo neoliberista secondo cui spetta unicamente ai meccanismi di un mercato di fatto diretto dalle oligarchie finanziarie e industriali provvedere alla produzione e alla distribuzione delle risorse; e quindi la difesa dei principi ispiratori di fondo del ruolo di regolazione e anche di intervento del potere pubblico.
IV. La battaglia per dare ai governi, troppi dei quali sono ormai ridotti a organi “amministrativi” nazionali quotati in borsa al servizio della plutocrazia dominante, la capacità di affermare il primato delle decisioni politiche con tutte le conseguenze che ne derivano.
V. La lotta per l'affermazione della laicità dello Stato democratico come mezzo per rivendicare e affermare l'eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alle leggi, indipendentemente da ogni differenza di credo, di etnia, di razza, in società nelle quali, quando la laicità cede alle invadenze e alle pretese degli integralismi di varia parte e natura, non può che venirne una condizione di crescenti intolleranze e di conflitti che minacciano il civile pluralismo.
VI. Il rilancio dell'etica della solidarietà e dei diritti sociali in contrasto con un dilagante spirito che trae il suo segno da un particolarismo che addita come modello l'acquisizione predatoria dei beni a vantaggio dei più forti, dei più spregiudicati e dei più insensibili.
VII. L'idea che la difesa di questi valori ed esigenze in un mondo sempre più interdipendente - caratterizzato da una crescente degradazione delle condizioni del lavoro sia nei paesi sviluppati sia, e tanto di più, nei paesi dove queste assumono la forma della servitù e persino della schiavitù, al servizio di imprenditori che non hanno altro scopo che non sia il profitto a tutti i costi - possa essere efficacemente affidata solo ad una grande organizzazione come l'Internazionale socialista (che ha bisogno di un profondo rinnovamento, cui occorre contribuire).
Queste mi sembrano le buone ragioni del socialismo: ragioni della cui attendibilità o meno bisogna, appunto, discutere a fondo, affinché i simboli che le incarnano non abbiano a ridursi ad una mera operazione di marketing.
Non è obbligatorio (anzi è +ttosto improbabile) avere simpatie per D'Alema. Però la "rivoluzione liberale" incompiuta, per cui la borghesia doveva rivolgersi ai partiti di sinistra, è un argomento sollevato già da Togliatti