«La sinistra vince con idee e radicalità»
«Il segnale che viene dagli Usa: è finito il moderatismo. La favola della buona amministrazione non regge più»
Carlo Brambilla
«È finito il moderatismo»: il professor Massimo Cacciari sferza la sinistra d’Europa a lanciare una lotta di idee: «Piaccia o non piaccia, Bush ha vinto proprio su questo terreno». «Restando abbarbicati allo straccetto di Costituzione europea si perde».
Professor Cacciari, cosa rappresenta la vittoria di Bush?
«Una vittoria politica è sempre il risultato di una serie di fattori. Il principale va cercato nella paura, nell’insicurezza, nell’inquietudine che dominano un larghissimo settore dell’opinione pubblica americana, uno stato di cose che si esprime nella richiesta di un Capo riconoscibile. Allo stesso tempo il Capo, il Decisionista (con le maiuscole) provoca e rialimenta paura. È il perfetto circolo vizioso che Kerry non è riuscito in alcun modo a spezzare, perchè ha ondeggiato in una sostanziale accettazione del “principio paura”, parafrasando e rovesciando il “principio speranza” di Ernst Bloch. Insomma non è mai riuscito a dare risposta a questa paura nè a offrire di sè l’immagine di un Capo sicuro. E Bush è andato a nozze».
Altri fattori?
«Imprevista e imprevedibile è stata la straordinaria mobilitazione di un vasto settore evangelico-fondamentalista rappresentativo della religiosità americana. Noi qui in Europa e noi sinistra europea in particolare continuiamo ad avere degli Usa una visione assolutamente falsa, come terra della razionalizzazione, della secolarizzazione. Si tratta di un’interpretazione totalmente hollywoodiana e newyorkese. Gli Stati Uniti, e ce l’hanno insegnato i suoi grandi interpreti come i vari Steiner, Bloom, possiedono una “religio” molto simile alla “religio civilis” romana. Ecco Bush è riuscito a mobilitare questa «religio americana”, che è un misto di fondamentalismo e di missionismo e soprattutto è cementata dalla “missione apocalittica” della potenza americana. Bush ha rappresentato questa identità. Certo non è tutta l’America: c’è New York, c’è Woody Allen, ci sono i bostoniani, però l’anima profonda e radicatissima della cultura, e sottolineo cultura, americana è l’altra».
Elenco finito?
«No, c’è un terzo fattore e anche questo largamente imprevedible: Bush ha spostato parecchi voti anche dell’elettorato tradizionalmente democratico. Non solo ha fatto il pieno del “voto paura” e del voto fondamentalista, ma ha recuperato parecchio anche sull’altro fronte, forse non fra gli afro-americani, ma certamente moltissimo nella comunità ebraica e anche nelle altre minoranze. E aggiungo subito il quarto fattore: l’assoluta inadeguatezza del candidato democratico».
John Kerry non all’altezza?
«Sull’incredibile debolezza del candidato democratico ne avevo parlato fin dall’estate scorsa: uno sdentato sosia di JFK. Come abbiano fatto i democratici a puntare su di lui è davvero inspiegabile. Adesso è chiaro che Edwards qualche voto in più lo prendeva. Anche col generale Wesley Clark le cose sarebbero andate meglio».
E ora, America divisa?
«Questa storia dell’America divisa mi fa ridere. Qui si continua a scoprire l’acqua calda. L’America è sempre stata divisa. Ma l’America è anche un grande Paese assolutamente unito in una grande identità di popolo. Noi italiani siamo incredibili: la grandezza di Roma e del suo impero è scaturita dalle lotte e dai massacri fra patrizi e plebei; la decadenza è cominciata quando è tramontata questa dialettica. Sento in giro discorsi stralunati. Gli Stati Uniti sono un grande Paese proprio perchè sanno sopportare, nel senso di tenere in alto, le contraddizioni».
Che lezioni trarre dal voto Usa?
«Una su tutte: per carità non si cominci a dire e credere che Bush abbia vinto perchè ha conquistato il voto moderato di tranquilli borghesi in pantofole che guardano solo la tv. Questa è una visione da barzelletta. Lui ha fatto il pieno di voti di gente tutt’altro che moderata, gente che vuole un Capo e che vuole certezze, orientamenti sicuri, che vuole “sì” e “no”, che vuole bianco e nero. Insomma ha preso voti sul piano di una battaglia delle idee contro uno che stava lì a mettere i puntini sulle “i”. O comprendiamo che la battaglia contro questa nuova destra la si conduce col coraggio di affermare altre idee con coerenza e radicalità, oppure si perde».
È la fine del moderatismo?
«Fine Totale. Se crediamo che adesso dobbiamo affannarci ad andare in cerca di voti moderati, che non si sa nemmeno dove siano, nel vecchio senso del termine da Dc degli Anni Sessanta e Settanta, non concluderemo nulla. Oggi c’è una totale radicalizzazione perchè gli equilibri postbellici non ci sono più. Ora tutti sono in cerca di nuovi orientamenti. Oggi bisogna dire alla gente dove si va».
Già, dove si va? Bush ha chiarito le cose, affermando una visione del mondo e l’altra qual è?
«Qui sta il punto. In una prospettiva multipolare, di nuove relazioni mondiali tra pari, di nuovi equilibri tra grandi aree geografiche del pianeta, in primis l’unione “politica” europea...ecco bisogna riempire tutta questa strategia di valori, di grandi idee. A partire dall’Europa. Da una parte c’è Bush che vince mettendo in primo piano i suoi valori alti, piaccia o non piaccia, e dall’altra parte hai il centrosisinistra europeo abbarbicato su uno straccetto di costituzione e sull’euro. Ma ci rendiamo conto? Siamo prigionieri di un discorso tardo illuministico, tardo razionalistico. Un atteggiamento politicamente molto pericoloso. E infatti stiamo per assistere a manovre indovinate, anche se biecamente settarie e strumentali, della destra nostrana. Parlo di Giuliano Ferrara che sta pilotando la riscoperta dei “valori profondi” di Buttiglione. Stiamo attenti perchè questi stanno dicendo che la politica è cambiata. Quindi basta con le nostre balle che la politica si risolve nella buona amministrazione. E anche basta con i nostri sensi di colpa (fascismo-comunismo) e con la coda di paglia. È ora di tagliarla questa coda».