I dubbi di Israele, le colombe sono stanche e i falchi hanno fallito
di Amos Oz - dal Corriere del 7/11/2004
Le colombe di Israele sono stanche. I suoi falchi sono al fallimento. La stanchezza non è negativa quanto il fallimento. Non so che cosa ci diranno i medici di Arafat da qui a un' ora o a un giorno. Nessuno di noi, né colombe né falchi, può permettersi di lasciare che Arafat, vivo o morto, confonda o travisi la frattura che c'è fra noi. La frattura della società israeliana non è legata agli alti e bassi di Arafat e dei suoi successori. E' legata alla domanda sul chi siamo, quali sono lo scopo e il significato dello Stato di Israele, dove vogliamo andare, che cosa è possibile e che cosa è impossibile, che cosa possiamo e che cosa non possiamo fare e, soprattutto, che cosa vogliamo essere. La debolezza delle colombe nei decenni di dibattito circa il futuro dei territori occupati, della guerra e della pace, ha avuto una causa principale. Non siamo mai riusciti a convincere i cittadini poveri e deprivati di Israele del legame diretto fra la loro condizione e il sogno di un Grande Israele che ha sopraffatto l' anima del Paese dopo la sua vittoria militare nella Guerra dei Sei Giorni del 1967. (C' è un legame diretto identico fra la spaventosa povertà dei territori occupati e le ambizioni di una Grande Palestina da parte degli estremisti palestinesi e dei loro leader). Il legame non si limita al fatto che per oltre trent' anni Israele ha investito miliardi di dollari per la costruzione e il mantenimento degli insediamenti nei territori occupati. Denaro che poteva essere impiegato per l'educazione, l'assistenza sociale, il progresso della cultura e della scienza, e lo sviluppo della Galilea e del Negev. E' un legame molto più profondo dello stanziamento di risorse per gli insediamenti e il possesso di territorio palestinese. La politica degli insediamenti che ha drenato risorse dai poveri peggiorandone il destino, le sofferenze e la disperazione, li ha resi più nazionalisti. Sono rimasti intrappolati in una prigione di paura, di ostilità e di odio nei confronti degli arabi, fuorviati dall' estremismo aggressivo e religioso. E' stato un circolo vizioso: incoraggiamento dei coloni e spoliazione dei poveri, conseguente disperazione fra i più svantaggiati e spinta verso l' estremismo. Le colombe non sono riuscite a spezzare il cerchio. I soggetti deprivati non hanno mai smesso di vedere la pace come un progetto dei benestanti, preoccupati del benessere dei palestinesi più che dei disoccupati e delle fasce più povere dei lavoratori. Le colombe continueranno a soffrire di questa stanchezza fino al giorno in cui supereranno la frattura ed entreranno nel cuore e nella mente delle masse di israeliani indigenti che per anni hanno pagato il prezzo della politica di occupazione e di repressione dei loro governi. Nel dibattito parlamentare della settimana scorsa, nessuno dei falchi, quelli che si oppongono al disimpegno di Ariel Sharon, ha risposto alla più semplice delle domande: che cosa proponete, allora? Di continuare l' occupazione? Di continuare ad aggrapparsi al Grande Israele finché il popolo ebraico diventerà una minoranza fra il Giordano e il Mediterraneo? Di diventare uno Stato con l' apartheid? Di abolire la legge degli uomini e sostituirla con la legge dei rabbini? I falchi hanno tutti eluso la domanda. L' hanno elusa perché non hanno una risposta. O perché credono nei miracoli. Può darsi che ci sia qualcuno fra loro che, non visto, bisbiglia una risposta tanto mostruosa e criminale da non osare pronunciarla in un consesso umano? Invece di rispondere alla domanda semplice sul che cosa accadrà a noi, su che cosa succederà se continueremo a dominare e a reprimere e a opprimere con violenza un' altra nazione, gli esponenti del campo che rifiuta qualsiasi pace se la sono cavata con la demagogia. «Ritirarsi da Gaza è un premio al terrore», dicono. Ammettiamo che lo sia. Ma dobbiamo continuare a sopportare quella punizione che è Gaza semplicemente per impedire che i terroristi ricevano un premio? Ci avvertono che evacuare Gaza senza negoziati non ridurrà gli attacchi contro Israele. E chi gli impedisce di negoziare e di cercare di lasciare Gaza nel quadro di un accordo con i palestinesi o in collaborazione con i Paesi arabi o con le grandi potenze del mondo? Il fallimento dei sostenitori del Grande Israele è soprattutto evidente dal fatto che hanno smesso di dichiarare le loro vere convinzioni. Non esiste più un falco che osi dire che ci è proibito ritirarci anche da un solo centimetro di Terra di Israele. Hanno tolto questa merce dagli scaffali forse perché anche loro sono arrivati a rendersi conto che era immangiabile. Adesso brontolano che ritirarsi è pericoloso militarmente, che è molto doloroso per i coloni, che incoraggerà Hamas o che va fatto nel quadro di un accordo e non unilateralmente. Questo significa che i falchi sono già passati, in totale silenzio, alla ritirata più decisiva. Si sono ritirati dalla loro posizione precedente, e cioè che non si può evacuare nemmeno un centimetro di territorio perché appartiene tutto a noi e soltanto a noi. Questa profonda, rivoluzionaria ritirata da parte dei falchi va accettata dalle colombe con apprezzamento e sollievo. Le colombe non devono rallegrarsi della tragedia dei falchi: per il semplice motivo che se sei stanco non devi sprecare le forze che ti sono rimaste in sentimenti illusori come l' arroganza, l' orgoglio e il disprezzo. Un comportamento del genere allontanerebbe ancora di più le colombe dagli svantaggiati e dagli oppressi senza i quali è impossibile fare la pace.