L’impegno democratico contro il terrorismo ci rende più liberi e riafferma in noi la convinzione che questa lotta ha bisogno non solo di legittimità, ma che deve essere portata avanti nella più stretta osservanza della legalità, senza indulgere in interpretazioni di comodo della teoria hegeliana del Diritto Perverso, che privilegiano l'opportunità a detrimento della legge, la falsa sicurezza e la paura a scapito della libertà.
Dimenticando le sagge parole dello scienziato Benjamin Franklin: “chi antepone la sicurezza alla libertà non ha diritto né all'una né all'altra”.
Vivere in un mondo più sicuro non deve comportare necessariamente vivere in un mondo meno libero, in cui le garanzie dei cittadini e delle cittadine si degradino e si appannino fino a scomparire del tutto, e in cui il principio di equità ed eguaglianza di fronte alla legge scompaia in favore dell'arbitrarietà e dell'assenza di limiti alla volontà di coloro che hanno in mano il potere.
Qualcuno ha detto, e io lo ritengo vero, che viviamo nell'epoca della vergogna, la vergogna del terrore, della corruzione, della guerra, dell'oblio e della xenofobia, ma forse ora, in questo momento, siamo prossimi a dischiudere le porte dell'epoca della tolleranza, intesa come principio attivo che porta al rispetto delle differenze e della diversità, e come strada unificante e inclusiva che ci condurrà alla comprensione tra le razze, le culture e le religioni.
Tutti noi aspiriamo a una vita collettiva nella quale i dissidi e le divergenze trovino armonia nel cammino unico della concordia, della giustizia, della cultura e della pace. Una pace unificante che racchiuda le nostre aspirazioni e le nostre frustrazioni, in un contesto né aggressivo né violento per le persone e per l'ambiente, e che esiga dai governi e dalla società una lotta reale contro la povertà e l'emarginazione, garantendo uno sviluppo integrale, intimamente equo e solidale, che superi qualsiasi residuo di dominazione egemonica o unilaterale basata sulla forza delle armi o del potere economico e finanziario.
È tempo dunque che la ragione della forza lasci spazio alla forza della ragione; che il Diritto prenda corpo e dispieghi la sua efficacia nella risoluzione dei conflitti, in una prospettiva che concili la sicurezza con la difesa dei diritti umani.
Questo equilibrio esige che i principi della democrazia si accompagnino ai principi della giustizia, e che entrambi costituiscano il fondamento della sicurezza umana.
Sono stati necessari migliaia di massacri, genocidi e crimini contro l'umanità, attacchi terroristici, guerre, esplosione della miseria in vaste aree del mondo in forme di povertà estrema, la violenza contro i più indifesi (le donne) e tanti altri eventi atroci perché, finalmente, le nostre comode coscienze consumistiche si risvegliassero dal letargo e comprendessero che l'unico cambiamento possibile è nell'azione e che la responsabilità ricade su noi tutti. Qualunque sia il luogo dell'attacco, universale è il danno, universali le Vittime e universale la risposta nei diversi ambiti, culturali, economici, giudiziari.
Lentamente, stiamo passando da una sensibilità epidermica a una sensibilità di fondo, coerente con la gravità del momento che stiamo vivendo, in cui comincia a prender forma un impegno ribelle e democratico volto a ricostruire il malconcio edificio della Comunità Internazionale sulle nuove basi della tolleranza come elemento unificante della convivenza pacifica; della giustizia come principio basilare per impedire l'esistenza di zone di impunità, di cui si debbono far carico non solo gli appropriati sistemi nazionali ma anche organismi come la Corte Penale Internazionale: la prima grande iniziativa di pace degli ultimi tempi, che trascende i limiti intrinseci di un mero tribunale per costituire il faro che illumina la ragione e il significato della Comunità Internazionale, unitamente a delle Nazioni Unite rinnovate e dinamiche in grado di appianare le gravi divisioni che attualmente lacerano i Paesi che ne fanno parte.
Nella difesa dei diritti umani, tutti dobbiamo partecipare allo sforzo e portare avanti quella porzione di lavoro che ci spetta, senza paure e con fermezza, nella convinzione che nessuna società è destinata a spaccarsi a causa dell'applicazione della giustizia, giacché, come diceva Montesquieu: “un'ingiustizia nei confronti di una sola persona è una minaccia per tutti”. O, come diceva Willy Brand: “Tollerare la prima ingiustizia significa aprire la porta a tutte quelle che seguiranno”.
Finora ho parlato di sicurezza, tolleranza, libertà, democrazia e giustizia come valori fondamentali della società moderna. Ho fatto altresì cenno, e su questo ora insisto, al ruolo da protagonista dei giudici in una società nella quale i conflitti globali, in particolare le aggressioni operate ai danni dei diritti della Comunità Internazionale, sono una realtà di fronte alla quale nessuno può sottrarsi alle proprie responsabilità.
Il fenomeno del terrorismo, il crimine organizzato transnazionale, la corruzione, la protezione delle minoranze e dei soggetti più deboli, l'intransigenza ferma e risoluta verso i comportamenti razzisti e xenofobi, richiedono giudici che siano non solo dei professionisti in grado di adempiere alla massima di Montesquieu secondo cui essi sono “la bocca muta che applica la legge”, ma anche e soprattutto giudici informati e impegnati nei riguardi della società cui prestano servizio e che debbono difendere da quelle minacce.
Ma non sono solamente questi - in particolare la giustizia - i valori che debbono occupare un posto centrale nelle nostre vite. Valori essenziali sono anche altri, come l'educazione e la cultura. Quando domandavano a Victor Hugo, “Maestro, cosa dobbiamo fare per combattere la corruzione?”, lo scrittore rispondeva: “Costruite scuole”.
La cultura, nella sua accezione più genuina, richiede un'azione critica demolitrice arricchita di capacità d'indignazione e anticonformismo, che ci porti a smuovere le “acque stagnanti” della nostra compiacente cultura occidentale. Con la “cultura del sospetto” ormai radicatasi nelle nostre vite, per cambiare le cose dobbiamo imparare a far uso della nostra immaginazione creativa; e a questo non si sottrae neppure la giustizia, nell'opera pedagogica che è tenuta a svolgere verso i cittadini.
La vera cultura proclama ai quattro venti che “un altro mondo è possibile”. L'eco dei versi di Pedro García Cabrera risuonano ostinatamente nell'aria: “basta con le statistiche / basta con i numeri astrusi / con anni e anni di giustizia promessa e mai mantenuta / basta con le nostre terre natie trasformate in cimiteri”. È l'ora delle decisioni. È l'ora che la ribellione della gioventù, l'unica mai doma, alzi la sua voce ed esiga soluzioni democratiche e non retoriche.
Se è necessario ricordare Auschwitz, lo è perché la tragedia si può ripetere. L'esperienza limite dell'orrore e le sue innumerevoli conseguenze seguitano a causarci insonnia e incubi.
L'ingiustizia sociale, l'emarginazione, la miseria, i massacri impuniti di innocenti, l'indicibile orrore dei sequestri, ci fanno rabbrividire come Paul Celan quando ci parla delle vittime che “bevono il nero latte dell'alba, scavano una fossa in aria e attendono l'inevitabile morte”. Dinanzi a tante morti consentite e moltiplicate fino a rasentare l'intollerabile, solo l'impegno verso coloro che soffrono e muoiono ci può salvare dalla desolazione e dalla barbarie. Sábato disse: “Per me la memoria è una timida luce che rischiara un sordido museo della vergogna”, ma è cosa buona e giusta conservare questa memoria in modo da non dover “mai più” assistere alla negazione dell'uomo e all'idea dell'uomo di cui parlava Elie Wiesel nel ricordare gli orrori dell'Olocausto.
La cultura dichiara guerra agli imperi. L'impero della nostra epoca non ha frontiere, sospende la storia - alla maniera di Fukuyama - e impone per decreto una falsa “pace universale” che introduce un nuovo tipo di guerre, quelle dell'intervento preventivo in nome di principi universali - sebbene infrangano principi universali e diritti fondamentali. L'impero si converte in un bio-potere centrato sul controllo totalitario, che annulla il meticciato e l'interculturalità. Di fronte ad esso, dobbiamo alzare la nostra voce e impegnarci per conquistare la vera pace unificante e responsabile.
La cultura ci munisce di riferimenti etici; come diceva Borges: “Preferirei pensare che, nonostante tanto orrore, nell'universo ci sia un fine etico, che l'universo risponda al bene, ed è in questa considerazione che ripongo le mie speranze”. Ed è per questo che di fronte agli intolleranti che seminano odio; di fronte a coloro che esercitano il potere e auspicano che si uccida, o che la paura si impossessi di un'umanità messa sotto sequestro, e di fronte a quelli che confondono la religione con il fondamentalismo fanatico, l'unica via di salvezza è, ora più che mai, dare nuova linfa all'etica della persuasione insieme all'etica della responsabilità.
La cultura deve condurci a ripetere pervicacemente le parole di Amos Oz quando dice: “non è mia intenzione sopportare la crudeltà, la pazzia, la menzogna e le sofferenze che le persone si arrecano vicendevolmente”.
guardate che baltazar garzon e' lo stesso pezzo di merda che ha messo fuori legge qualsiasi tipo di rappresentanza politica, sindacale, civile, della sinistra basca radicale (abertzale).