Dopo il primo quarto d'ora ero incerto se stesse per prevalere il sonno o il mal di testa. Un po' come stare in mezzo a una discussione di calcio o politica in cui tutti parlano arabo o russo (complice in questo la demenziale traduzione del titolo originale -
Eternal Sunshine of the Spotless Mind - che certo non aiuta a capire che diavolo stia succedendo sullo schermo). Finito il primo tempo, qualche cosa si è smosso e la storia di
Se mi lasci ti cancello mi è diventata un po' più comprensibile. Ho quindi potuto apprezzarne i messaggi (la mancanza di consapevolezza molto americana, che porta a ripetere i percorsi senza tener conto dell'esperienza; la difficoltà di gestire un rapporto di coppia in cui le differenze si trasformano da attrattiva in peso; l'importanza di saper rielaborare il vissuto per crescere), ma nonostante questo non posso dire che mi sia piaciuto granché.
Ho trovato inutilmente prolisso (e pure un bel po' autocompiaciuto) l'antefatto, che dura per tutto il primo tempo e un po' del secondo; altrettanto prolisso l'ondeggiare tra immaginazione e realtà del secondo tempo. Del tutto inutile la storia di contorno con le tresche tra i personaggi di contorno, tra cui un
Elija Wood (Frodo Baggins nel mondo reale) che non si capisce che bisogno aveva di questa partaccia. Ancora: mi è incomprensibile dove stia la bravura di
Jim Carrey, con quella sua espressione perennemente stralunata, che arriva al limite di suscitare pensieri omicidi quando mima il bimbetto di quattro anni (unica eccezione,
A man on the moon, ma c'è voluto un regista come Milos Forman e un personaggio come Andy Kaufman).
Il film è ovviamente piaciuto a molti, tra cui
Marina Massironi che stava seduta dietro di me (tra l'altro, l'ho trovata parecchio sbattuta, porella), confermando la mia solida consapevolezza che per me il cinema è una lingua spesso difficile da digerire.