Il Mistero dei Prigionieri Scomparsi
di Reed Brody
Consigliere speciale di Human Rights Watch, autore del nuovo rapporto: «Disappeared: the United States’ Ghost Detainees».
© International Herald Tribune
Traduzione di Carlo Antonio Biscotto
Il prigioniero è stato portato via nel cuore della notte 19 mesi fa. È stato incappucciato e condotto in una località segreta. Da allora non si è saputo più nulla di lui. Gli incaricati degli interrogatori hanno usato la forza in maniera graduata ricorrendo anche alla tecnica dell’”annegamento”, nota in America Latina con il nome di “submarino”, con la quale il detenuto viene immerso con la forza sott’acqua e indotto a ritenere che sta per affogare. Insieme al prigioniero sono stati prelevati anche i suoi due figli di 7 e 9 anni, presumibilmente per indurlo a parlare.
Era l’esercito guatemalteco? Erano i paramilitari colombiani? No, era la Cia. Il prigioniero si chiama Khalid Sheikh Mohammed ed è il principale architetto degli attentati dell’11 settembre. È uno di una dozzina circa di operativi di vertice di Al Qaeda semplicemente spariti dopo essere stati arrestati dagli americani.
Dopo gli attentati dell’11 settembre l’amministrazione Bush ha violato le più elementari norme giuridiche in materia di trattamento dei detenuti. Molti sono stati trasferiti in prigioni fuori del territorio americano, la più nota delle quali è quella di Guantanamo Bay, a Cuba. Come sappiamo i prigionieri sospettati di terrorismo e molti contro i quali non esiste alcuna prova, sono stati maltrattati, umiliati e torturati. Ma probabilmente nessuna pratica è così fondamentalmente contraria alle fondamenta del diritto americano e internazionale quanto la detenzione per lunghi periodi dei sospetti membri di Al Qaeda in “località segrete”.
Può anche darsi che queste “sparizioni” non abbiano le stesse caratteristiche che avevano nelle “guerre sporche” delle dittature latino-americane quando sparizione era eufemismo di morte. Ma tenere dei prigionieri in assoluta segretezza sembra essere diventata una tattica essenziale degli americani nella guerra al terrorismo.
Tra i prigionieri “scomparsi” della CIA figurano anche Abu Zubaydah, stretto collaboratore di Osama bin Laden, Ramzi bin al-Shibh, che sarebbe stato tra i dirottatori dell’11 settembre se fosse riuscito ad ottenere un visto per gli USA, e Abd al-Rahim al-Nashiri, che si ritiene sia la mente dell’attentato contro la portaerei USS Cole. Secondo il recente rapporto Schlesinger sul trattamento dei detenuti, alla CIA sarebbe stato consentito di “agire con regole diverse”. Queste regole derivano in parte da un promemoria del ministero della Giustizia dell’agosto 2002 in risposta ad una richiesta di chiarimenti della CIA, nel quale si leggeva che torturare detenuti membri di Al Qaeda “può essere giustificato” e che le leggi internazionali contro la tortura “potrebbero essere incostituzionali se applicate agli interrogatori” condotti nel quadro della guerra al terrorismo.Infatti alcuni detenuti, quali Khalid Sheikh Mohammed, sarebbero stati torturati. Molti avrebbero fornito preziose informazioni segrete che avrebbero contribuito a sventare complotti e a salvare vite umane. Sembra che alcuni a causa della durezza del trattamento abbiano mentito per compiacere chi li interrogava. (Ibn Al-Shaykh al-Libi avrebbe inventato la storia, ripresa e riferita dal segretario di Stato Colin Powell alle Nazioni Unite, che l’Iraq aveva fornito a membri di Al Qaeda addestramento nell’uso di “gas velenosi e letali”).
Gli Stati Uniti hanno riconosciuto la detenzione di molti, ma non di tutti. La cosa che tutti i detenuti hanno in comune è che gli Stati Uniti si sono rifiutati di comunicare i loro spostamenti e non hanno permesso loro di vedere le famiglie, gli avvocati o il Comitato Internazionale della Croce Rossa.
Non si tratta di persone per bene, per usare un eufemismo. Perché dovremmo preoccuparci di cosa accade loro? Anzitutto perché, malgrado le informazioni raccolte da alcuni di questi sospetti, in generale il modo in cui gli Stati Uniti hanno trattato i prigionieri è stato un vantaggio e non uno svantaggio per Al Qaeda e di conseguenza il mondo è meno al sicuro dal terrorismo. Come ha detto la commissione dell’11 settembre: “le affermazioni secondo cui gli Stati Uniti avrebbero maltrattato i prigionieri in loro custodia hanno reso più difficile il compito di costruire le alleanze diplomatiche, politiche e militari di cui il governo avrà bisogno”.
In secondo luogo, la tortura e la “sparizione” dei prigionieri ad opera degli Stati Uniti invita tutti i governi più riprovevoli del mondo a fare altrettanto. Di fatto paesi che vanno dal Sudan allo Zimbabwe hanno già citato Abu Ghraib e altre azioni degli Stati Uniti per giustificare le loro pratiche o soffocare le critiche. Ma anzitutto deve preoccuparci l’accettazione di metodi antitetici ad una democrazia e che tradiscono l’identità degli Stati Uniti come Stato di diritto. Se gli Stati Uniti dovessero accettare la tortura e la “sparizione” degli oppositori, abbandonerebbero i propri ideali e diventerebbero una nazione degna di meno rispetto.