Queste nuove macerie
di Corrado Stajano
Dopo bisognerà ricostruire l’Italia, come nel ’45.
Le macerie coprivano la penisola, milioni di uomini sparsi per l’Europa cercavano di tornare a casa.
In tanti erano morti, sui fronti di guerra e sotto i bombardamenti. Adesso le macerie, dopo tre anni e mezzo di governo di destra, sono materiali, morali, civili, politiche.
E sarà, necessario, con umiltà, con coraggio, con la passione spesso perduta, ricominciare da capo, far sì che l’Italia torni a essere un Paese dignitoso dove la giustizia e la libertà siano il fondamento della vita quotidiana, dei rapporti tra le persone, i ceti, le classi sociali.
Sarà necessario, anzitutto, ricostruire la speranza che non è un’impresa da poco in un Paese dove l’idea dello Stato di diritto è incrinata, dove l’arroganza è padrona, dove le leggi e le regole vengono cancellate ogni giorno per favorire gli amici che lo pretendono con le maniere forti.
Scrisse Dante nel canto XVI del Purgatorio: «Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?». Secoli dopo quel verso sembra ingenuo. Esistono infatti giudici che applicano la legge. Ma quando la sentenza non è gradita al potere politico qual è oggi la reazione? L’uovo di Colombo, come non averci pensato prima?
La legge viene cancellata mentre il processo è in corso, se il suo esito non dà certezze a chi quelle leggi ha violato. O viene cancellata con arzigogoli giuridici quando la sentenza è stata addirittura pronunciata e così il reo svanisce come una bolla di sapone. Dev’essere un esempio di riformismo assoluto. È un caso inedito quel che accade da anni in Italia nel campo della giustizia, con un’accelerazione avvenuta nella settimana dei due processi di Milano-Berlusconi e di Palermo-Dell’Utri, degna di uno psicodramma.
Non ha alcun riscontro legale, costituzionale con quanto accade in quelle che si chiamano democrazie occidentali l’operoso lavoro intrapreso dal primo ministro e dai suoi avvocati e consiglieri che sono, tra l’altro e soprattutto, legislatori, deputati, senatori, presidenti di Commissioni parlamentari, per mettere al riparo se stessi e i loro amici, sodali, clienti, con leggi ad personam degne di qualche minore Paese centroafricano: il falso in bilancio (si attende una pronuncia della Corte europea che deve giudicare sulla sua legittimità); le rogatorie internazionali (inapplicate nella pratica giudiziaria perché prevalgono le direttive del diritto internazionale); il lodo Schifani (respinto dalla Corte Costituzionale); la legge Cirami sul legittimo sospetto (ritenuta senza effetti dalla Corte di Cassazione); la legge Gasparri sulla tv (che Ciampi non ha firmato ed è stata rinviata al Parlamento); la legge sull’ordinamento giudiziario (che Ciampi non ha firmato e ha rimandato ieri al Parlamento con un motivato messaggio); e poi la legge salva-Previti, condannato in primo grado a 11 anni per la vicenda Imi-Sir e a 5 anni per la Sme (corruzione), l’ultima vergogna nazionale, approvata giovedì dalla Camera, che gioca sull’abbattimento dei termini di prescrizione.
Si direbbe che anche nel tentativo pervicace di impedire l’applicazione delle leggi riguardanti i potenti capi, questi preziosi consulenti e avvocati non siano dei grandi giuristi. Ma colpisce il fatto che la giustizia, privata perché i reati commessi non hanno niente a che vedere con la politica come accade invece nell’inchiesta di Mani pulite, sia costantemente al primo punto di un ordine del giorno che non decade mai e che ha di certo profonde ragioni di essere. Un malpensante potrebbe anche ritenere che questa preoccupazione ossessiva, al centro dell’azione triennale del governo, nasca nei protagonisti proprio perché conoscono intimamente la verità nei protagonisti proprio perché conoscono intimamente la verità su quei fatti illeciti e ne hanno paura. Sanno che cosa hanno commesso, insomma.
Il premier - va ripetuto fino alla nausea - è proprietario di tre reti televisive e controlla la Rai-Tv. È lui che dovrebbe garantire il pluralismo e l'indipendenza dell’informazione da offrire ai cittadini attraverso il servizio pubblico rispettando la verità nel dar le notizie. E questo invece non accade. Il Tg1 e il Tg2 sono ossequianti, manchevoli, balbuzienti, omissivi. Che cosa hanno compreso milioni di persone della parola «prescrizione» nel fuoco artificiale dei telegiornali subalterni e dei giornali radio irreggimentati?
I giornali, se si eccettuano quelli grotteschi di proprietà del premier o a lui legati da un vincolo di sangue, magari di malavoglia, facendosi il segno della croce perché le schiene diritte non gremiscono l’arena politica e giornalistica, hanno dovuto spiegare, dire che la prescrizione non è l'assoluzione come hanno sbandierato i fedelissimi della vigilia.
A preoccupare è la mancanza di reazione, il silenzio. Nessuna discussione, nessuna emozione, poche persistenti proteste, anche da parte del centrosinistra, dopo due sentenze che dovrebbero far sobbalzare ogni persona di medi sentimenti. Quella di Milano che lascia una macchia sulla figura del presidente del Consiglio in una materia così delicata come la corruzione di magistrati; quella di Palermo, una condanna a 9 anni, con l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e due anni di libertà vigilata, per Dell’Utri, «il raffinato intellettuale», come lo definisce il Corriere, l’uomo forse più vicino al premier, ritenuto responsabile di concorso esterno in associazione mafiosa, che apre addirittura una voragine di interrogativi sui nuovi rapporti tra mafia e politica.
Dov’è finita la Milano pulita degli uomini e delle donne che lavorano, degli imprenditori vittime delle tangenti perenni, l’antica capitale morale? Dov’è finita la Palermo dei lenzuoli del 1992 che dopo l’assassinio di Falcone e di Borsellino si ribellò e visse nelle strade e nelle piazze quell’appassionata estate?
Ha scritto Barbara Spinelli sulla Stampa di domenica scorsa in un amaro articolo portatore di lumi: «È compito nostro chiedersi se sia moralmente lecito e politicamente accettabile dal punto di vista di come vogliamo essere governati, che un dirigente su cui continua a pesare non solo l’ombra della corruzione (lo scadere dei termini equivale a simile ombra) ma anche la complicità presunta con Dell’Utri, sia un uomo che possa aver posto nella classe politica. È compito nostro - del Quarto Potere, della società civile - ma anche di chi fa mestiere politico: sia all’opposizione, sia tra i coalizzati di Berlusconi. Quando D’Alema dice che non «commenta mai le sentenze, né prima né dopo»; quando Bertinotti consiglia di non osservare i processi «attraverso il buco della serratura della politica», dicono cose astute, ma in realtà corrive e comprensibili solo per chi, nella politica, vede un’arte tutto sommato sporca. Una volta pronunciata la sentenza, anche se solo di primo grado, si può tornare a commentare e giudicare con criteri politici. E se non si può ora, a verdetto emesso, quando si può?».
Bisogna ricostruire il Paese degradato, ridar fiato ai suoi valori. Sia Romano Prodi, sabato scorso al Palasport di Milano, sia il presidente della Confindustria Luca Cordero di Montezemolo, martedì scorso, si sono riferiti nei loro discorsi, in modi diretti, al tempo della Liberazione. Montezemolo per dire com’è grave oggi la situazione economica, come i parametri del presente sono simili a quelli del drammatico dopoguerra. Prodi per dire che bisogna rifare l’Italia come accadde sessant’anni fa.
Il leader del centrosinistra ha parlato con pacata autorità con ironia, anche. Credibile. È stato caldamente applaudito soprattutto quando ha insistito sulla necessità dell’unità - non sono più possibili le piccole gelosie, quando ha detto della legge elettorale che la maggioranza vuole mettere in cantiere violando ogni principio, quando ha parlato dello stravolgimento della Costituzione del ’47 che il premier e i suoi vogliono condurre in porto, quando ha accennato alla giustizia negata ai cittadini. E quando ha fatto sentire che non bisogna provar vergogna della parola morale applicata alla politica.
L'articolo è talmente lampante nella sua assoluta corrispondenza con i fatti che sembra impossibile che in un paese civile accadano queste cose.
speriamo che le notizie che danno per "dimesso" Colombo non siano vere.
Darwin