Un anonimo svela il progetto di un attentato contro il procuratore di Palermo e contro il pm romano Tescaroli
Il piano del boss mafioso Provenzano: uccidere Piero Grasso come Falcone
Sandra Amurri
«Mi sorprenderei se Cosa Nostra non mi considerasse un nemico!». Il Procuratore di Palermo, Piero Grasso affida all’ironia, com’è nel suo stile, il primo commento alla notizia che Cosa Nostra vuole eliminarlo. E alla domanda se sapeva che la mafia aveva deciso di ucciderlo risponde: «Ne ero a conoscenza ma l’avevo rimosso, non perché non venga sfiorato dal sentimento, tutto umano, della paura, ma perché questo è il lavoro che ho scelto di fare, rischi compresi».
Poi aggiunge: «Sono soddisfatto, vuol dire che la pressione nelle zone mafiose viene percepita con la stessa forza con cui viene effettuata».
La sentenza di morte
La sentenza di morte nei confronti di Grasso e del magistrato Luca Tescaroli, a lungo pm antimafia in Sicilia, oggi a Roma, colpevole di aver fatto condannare all’ergastolo il boss catanese Turi Pillera,e di due confidenti che forniscono notizie sui suoi spostamenti, è stata emessa da Bernardo Provenzano in persona, così come è scritto in una lettera anonima giunta alla Procura di Caltanissetta in cui si legge che Grasso «deve morire come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino per quello che sta facendo anche a Bagheria». E che invece, il pm Tescaroli, deve essere catturato «vivo», dunque sequestrato. Una bomba per Grasso, forse, la prigionia per Tescaroli. La febbre alta che costringe il Procuratore Grasso a letto rende la sua voce lenta ma non priva le parole della consueta efficacia. «Sono protetto - ci dice al telefono - ed è impensabile che possano esistere misure maggiori di quelle a cui sono sottoposto, ma come abbiamo visto, non sono state sufficienti per salvare Falcone. È evidente che se ci fosse stata una vigilanza attiva dei cittadini, una coscienza civile collettiva non avrebbero potuto lavorare per mesi indisturbati per imbottire di esplosivo un tratto di autostrada. È stato possibile solo perché chi ha visto ha fatto finta di non vedere e chi sapeva ha taciuto.
Una battaglia comune
Sconfiggere Cosa Nostra non può continuare ad essere una battaglia solo di chi è deputato a combatterla ma deve diventare una battaglia condivisa da tutti, cittadini, rappresentanti delle istituzioni, politici, giornalisti, senza divisioni, senza se e senza ma». Eppure, come storia insegna, ogni volta che la Procura di Palermo è impegnata in inchieste che tentano di colpire il rapporto mafia-politica, viene investita dai veleni. E quel passaggio della lettera anonima, scritta verosimilmente da un mafioso colto da un improvviso sussulto di sgomento di fronte alla concreta possibilità di una nuova strage, in cui si fa riferimento a Bagheria non può certamente passare inosservato. Bagheria, feudo di Provenzano ma anche di Aiello, re della sanità siciliana, l’uomo che viene ritenuto prestanome di Provenzano finito in carcere assieme ai marescialli Ciuro e Riolo.
I voti della mafia
Aiello, un anello di congiunzione tra mafia, affari e politica, capace di spostare voti, tanti, che il Governatore della Sicilia Totò Cuffaro, incontra nel retro di un negozio di abbigliamento proprio a Bagheria. E mai, come ora, le parole pronunciate dal procuratore Grasso il 27 novembre scorso a Firenze al convegno sulla riforma dell’ordinamento giudiziario organizzato dalla Fondazione Caponnetto risuonano come un grido di dolore e aiuto di chi, appunto come apprendiamo oggi, sapeva di essere stato condannato a morte da Cosa Nostra, che come si sa, può attendere ma non dimenticare. Parole che, confessa l’onorevole diessino Giuseppe Lumia, anch’egli relatore al convegno, «mi avevano fortemente turbato tanto mi erano suonate come una sorta di testamento morale».
Il limite superato
«Si è superato il limite tra esercizio del diritto di critica all’operato dei magistrati e denigrazioni della categoria, diffamatorie, violente e ripetute per far passare l’immagine di una magistratura parziale - diceva il procuratore - , rea di far politica, che tenta di prendere il potere contro il volere del popolo…spero che dietro questa riforma non ci sia il subdolo scopo di intimidire, di rendere inoffensivi quei magistrati che, pur non essendo stati eletti dal popolo, trovano saldi punti di riferimento nel rigore etico, nella strenua e inflessibile difesa della cosa pubblica, delle istituzioni e della società. Quei magistrati matti o utopistici che credono che in Italia si possa ancora riuscire a processare oltre ai mafiosi,anche la mafia dei colletti bianchi, gli infiltrati nelle istituzioni, i corruttori di giudici,di pubblici funzionari e di politici, coloro che creano all’estero società fittizie per riciclare denaro sporco. E come può venire in mente di concedere l’impunità a quest’area di supporto criminale alla mafia proponendo di eliminare il concorso esterno in associazione mafiosa?».
E poi la conclusione, un invito alla rivolta morale: «Adesso è tempo di dire basta, non è più tempo di analisi. Basta, come lo direbbe Nonno Nino, siamo pieni fino alla nausea. Basta, civilmente ci ribelliamo, occorre una rivolta morale per una società più libera, più giusta, più solidale. Una rivolta morale contro la cultura dell’immagine del singolo anziché l’etica della solidarietà, contro una classe dirigente che invece di servire le istituzioni talvolta se n’è servita per la propria libidine di potere, che della propria discrezionalità ha fatto arbitrio e dell’arbitrio ha fatto legge».
Mai allentare la presa
Dobbiamo lottare ogni giorno, ogni attimo senza mai allentare la presa perché ormai sappiamo che la libertà non potrà essere elargita dagli altri. Non vi sono liberatori, ma solo uomini che compiono ogni giorno il proprio dovere sentendosi parte di un progetto:quello di Nonno Nino, uomini che rimangono, come me, degli inguaribili idealisti. Come Procuratore di Palermo non posso che pensare alla repressione, alla lotta alla mafia nella quale credo con tutte le mie forze, potendo contare, motivati da alta spinta ideale e coraggio, su tanti appartenenti alle forze di polizia, carabinieri, Guardia di Finanza, ma anche su tanti uomini delle scorte. Pensate che nella mia c’è n’è uno scampato alla strage di Borsellino che ha chiesto di farla a me.
Sono sicuro che ci sono tante persone che credono, come me, nella legalità e allora dobbiamo dire loro: fate sentire la vostra voce, ne abbiamo bisogno, ora, adesso, non domani. Da parte mia spero di poter vivere tanto da poter un giorno raccontare ad un nipotino seduto sulle mie ginocchia una storia che inizi con: c’era una volta la mafia».
Sono vicino a tutte le persone che con coraggio svolgono il loro dovere mettendo in gioco non solo ciò che possiedono ma addirittura se stessi e la propria vita.
Vorrei dire a tutti quelli che difendono con le unghie e coi denti i propri soldi e il proprio lavoro che non sanno dire no, per salvaguardare i propri interessi e il proprio diritto alla paura,che chiedono a queste persone coraggiose di portare il peso loro ma soprattutto quello dei loro figli che il coraggio che loro non sanno cercare lo dovranno trovare proprio questi ultimi,affrontando difficoltà e pericoli molto più grandi.Il coraggio della testimonianza é richiesto moralmente a tutti e nessuno ha diritto di scappare:parlare é l'unica strada per difendere e per difendersi...non lasciamo sole queste persone coraggiose,facciamo sentire la nostra voce e... in ogni occasione.
Il mio ringraziamento a tutti coloro che non hanno dimenticato che cosa significa essere uomini.