Lettera Aperta a Romano Prodi
Paolo Flores d’Arcais
Caro Romano, rompi gli indugi: fatti leader! Perché i giochi sono tutt’altro che fatti, purtroppo (anche se da ieri il bicchiere sembra quasi “mezzo pieno”, e di queste lune non è poco). Diventare leader dell'opposizione non dipende solo da te, naturalmente. Ma dipende innanzitutto da te, di questo sono fermamente convinto.
Finora ti sei rivolto solo ai partiti del centrosinistra, anzi ai loro dirigenti. Ma questi dirigenti non ti vogliono come leader, ti vogliono come candidato (quasi tutti): e non è affatto la stessa cosa. Un candidato unico le opposizioni lo dovranno accettare comunque, anche obtorto collo, perché senza questa minestra, nel maggioritario ad un turno, si salta dalla finestra, cioè si perde senza nemmeno giocare.
Ma le opposizioni, per vincere, hanno bisogno proprio di un leader (un leader), non di un candidato. Di un leader riconosciuto come tale, dotato di tutto il potere decisionale (e responsabilità conseguenti, sia chiaro) che a un leader compete. Senza di che, la litigiosità permanente, le ambizioni sfrenate alla visibilità personale, la babele programmatica, i ricatti e i ricattucci, e insomma tutto l'indigeribile masochismo che ci viene propinato quotidianamente da troppi dirigenti del centrosinistra (e che in tre mesi ha consentito a Berlusconi di colmare i quindici punti - quindici! - di svantaggio che aveva nei sondaggi), diventerà canea e frastuono onnipervasivo. Non trombe di vittoria ma tromboni di sconfitta.
Conosco bene l'obiezione, dalle accattivanti sembianze democratiche (e da una impressionante caratura di ipocrisia): ma noi non vogliamo un leader alla Berlusconi, un leader-padrone. Vogliamo un leader che sia sintesi di tutte le diversità che fanno la ricchezza della coalizione di centrosinistra. Naturalmente. Ma l'alternativa non è tra l'autocrate massmediatico di una coalizione asservita, e la rissa permanente tra piccole primedonne d'apparato. La via democratica è ovvia e tautologica e respinge entrambe i corni di questa ingannevole alternativa.
Cioè: se vogliamo un leader democraticamente rappresentativo, basta sceglierlo democraticamente. Dunque, Romano, fatti leader! Rifiuta esplicitamente il ruolo di semplice candidato di una mera coalizione di partiti. Questo ruolo lo hai già svolto, e sappiamo come è andata a finire. Rimanere invischiato in una replica significherebbe rendersi complice di una ribollita di scadentissima qualità.
Tutti ti indicano come unico leader possibile. Con una metà della lingua, però. So che può sembrare ingeneroso, e addirittura eccentrico (i soliti “intellettuali astratti”, insomma) insistere oggi con queste tesi, visto il documento quasi unanime (De Mita rappresenta solo se stesso?) della Margherita. Ma sai bene che non sono affatto un “incontentabile”. Anzi, sono tra quelli che - appena c'è un po' d'acqua - il bicchiere lo vedono subito “mezzo pieno”. Temo piuttosto, proprio da riformista moderato e gradualista quale sono, dunque in nome del più sobrio realismo politico, che - di fronte alla strapotenza mediatica, finanziaria e di prevaricazione istituzionale del regime - l'altra metà del bicchiere sia assolutamente indispensabile per vincere.
E si chiama, questa irrinunciabile metà, unità dal basso, come scriveva l'altro giorno in queste pagine Clara Sereni. Cioè partecipazione e potere, nella costruzione della coalizione, dei militanti di base cui le singole appartenenze vanno ormai strette, e dei tantissimi cittadini che non si riconoscono in nessun partito. È solo con loro, infatti, con la loro partecipazione-potere, che si possono conquistare consensi dentro quel 30/40% - decisivo - di elettori indecisi (o attualmente decisi a non votare).
Dunque, fatti leader, sottraendoti all'abbraccio troppo avvolgente di quanti indefettibilmente ti vogliono, ma solo come punto di equilibrio dei rapporti di forza tra i partiti, come firmatario, senza poteri di coreografo, di una quadriglia tra dirigenti che vogliono restare proprietari incontestati dei rispettivi “pacchetti azionari”.
Fatti leader! Cioè avanza la tua candidatura, direttamente ed esplicitamente, presso tutti i cittadini dell'elettorato potenziale che dovrà mettere fine al regime populista di Berlusconi. E non limitarti a rispondere che lo hai già fatto, poiché hai proposto le primarie entro maggio. Queste primarie, possono restare una ipoteca sul nulla, al massimo un palliativo per porre un freno alle schermaglie logoranti degli apparati.
E invece: elenca innanzitutto e senza reticenze i poteri che tutti i partiti devono riconoscere a un leader democraticamente eletto: tra i quali, ineludibilmente, il dovere/diritto di avere l'ultima parola sulle candidature nei collegi, quando si scatenerà il sabba di tutti gli appetiti, dai più legittimi ai meno confessabili. Diritto/dovere irrinunciabile, proprio per essere garante della articolata ricchezza dell'opposizione (dei partiti e della società civile), di cui tutti si riempiono la bocca ma che non sempre coltivano nel cuore. E per non essere ridotto a notaio che mette un timbro di credibilità civile su accordi partitocratici e altri scambi di figurine realizzati in camera caritatis.
E proponi nel modo più netto le modalità che rendano le primarie un esercizio vivente ed esemplare di democrazia e non l'ennesima e formalmente inattaccabile manipolazione del consenso. Il che significa come minimo tre cose: a) un'effettiva molteplicità delle candidature, non solo di partiti ma anche (direi: soprattutto) dalla società civile; b) l'impegno solenne dei candidati a una campagna elettorale di rigorosa par condicio (sempre confronti tra i candidati, in tv, nei giornali, nelle piazze, nei teatri, e mai monologhi personali di potenza comunicativa inevitabilmente asimmetrica); c) la proibizione, certosinamente garantita (anche senza gli osservatori internazionali di Jimmy Carter) che non ci sarà intervento alcuno degli apparati per convogliare elettori ai seggi e altre apparizioni di “truppe cammellate”.
Senza questa fioritura certa di democrazia, la primavera delle primarie naufragherebbe invece nel boomerang delle speranze sbandierate e poi brutalmente (o peggio: sottilmente) vanificate. Cerchiamo di non fare altri regali al regime.
Dando invece dimostrazione di quanto la democrazia possa essere presa sul serio, l'opposizione si assicurerebbe una ipoteca sulla vittoria elettorale che tutto lo strapotere mediatico e finanziario berlusconiano (con annessi abusi istituzionali) non riuscirebbe a sradicare. Perché c'è una voglia di democrazia coerente che circola in profondità in una parte cospicua dell'elettorato decisivo: quello incerto e quello del non voto. E solo chi conquisterà quei cittadini (o ne allontanerà il minor numero) vincerà le elezioni.
Conosco a memoria anche l'altra obiezione: ma così si delegittimano i partiti. Niente affatto. Anzi, farai loro un regalo: alla loro base ma anche ai loro poco realisti dirigenti, troppo spesso refrattari ad ascoltare chi poi li dovrà votare.
Eugenio Scalfari, per dire una persona piuttosto autorevole che non ha i partiti in uggia, anzi, e che non può proprio essere accusato di estremismo movimentista, ha parlato delle prossime elezioni come di uno scontro decisivo tra democrazia ed autocrazia. Non si poteva dire meglio e più sobriamente. Ma se l'autocrazia populista berlusconiana - che ha fallito in tutto - ancora regge e minaccia anzi di tornare a vincere, è solo perché costituisce comunque una risposta al monopolio partitocratico d'antan, esecrato ormai da una maggioranza di cittadini schiacciante e irreversibile. Risposta illusoria, sia chiaro, cura peggiore del male. Che si sconfigge, però, solo con un'alternativa vera, con un surplus di democrazia, e non segnando il passo o praticando il surplace dei vecchi riti di apparato.
Per cui, caro Romano, fatti leader. E da leader agisci subito. Ora.
Questo giornale, ha avanzato alcune settimane fa la proposta di una grande manifestazione a Roma, in piazza San Giovanni: di tutte le opposizioni, partiti e società civile. Ha sollevato entusiasmi. Se non alimentati, tuttavia, si spegneranno. E si pagherà un prezzo anche elettorale.
Una tua immediata e autonoma decisione di partecipare - invece - non concordata o mediata con vertici di partito, moltiplicando quegli entusiasmi ne garantirebbe il successo, la farebbe diventare l'occasione irrinunciabile di mobilitazione per tutti i militanti di partito e per tutti i “moderati intransigenti”, cittadini senza partito ma in cerca di una politica degna della democrazia presa sul serio.
Fatti leader, e troverai da subito un mare di cittadini democratici pronti a vincere con te le elezioni del 2006. Il momento dove si decide se la possibilità diventa “destino” o si spegne in illusione (il momento come kairos), è ora. Non domani. Cogli l’attimo.
Un abbraccio