Dalle lobby soldi contro studi su fumo e cancro
Lancet: finanziate le ricerche che smentivano i rischi di malattia
Stefano Menna
Assoldare un gruppo di ricercatori e consulenti per gettare fango sugli studi che dimostrano che il fumo provoca il cancro. Non è la trama dell'ultimo thriller sfornato da Hollywood, ma quanto hanno fatto sistematicamente, almeno fino al 2001, le multinazionali del tabacco. A rivelarlo è un'indagine sul tabagismo pubblicata dalla prestigiosa rivista medica britannica The Lancet.
Stavolta Al Pacino non c'entra. Ma la storia è proprio quella del film che lo vede protagonista nei panni di un reporter contro le multinazionali del tabacco, «Insider, dietro la verità». Del resto anche nel film si racconta una storia vera: quella di Jeffrey Wigand (interpretato da Russell Crowe) che è stato uno dei testimoni chiave nella causa intentata dal Missisippi e da altri 49 Stati americani contro l'industria del tabacco, che si è conclusa con un risarcimento di 246 miliardi di dollari. Il povero Wigand, prima di arrivare a rendere pubblico quanto aveva scoperto lavorando come capo ricercatore e dirigente aziendale della Brown & Williamson, rischiò anche l'arresto. Ne venne fuori solo grazie all'aiuto del giornalista Lowell Bergman (Al Pacino).
Stavolta nei panni di Wigand non ci sono attori famosi, ma solo i ricercatori della Università della California di San Francisco (Ucsf), il più piccolo dei campus californiani, ma specializzato nella ricerca biomedica, Stanton Glantz e i suoi colleghi del Centro di ricerca per il controllo e l'educazione sul tabacco.
Lo studio che le major volevano mettere in discussione riguarda le mutazioni cancerogene causate dal fumo in un gene chiamato «p53». Normalmente si tratta di un gene preposto alla soppressione dei tumori; sotto l'effetto del fumo, però, questo gene si altera e conduce a una proliferazione anarchica delle cellule. Nel 1996 una ricerca dimostrò che le sostanze chimiche presenti nelle sigarette causano esattamente le stesse mutazioni riscontrate poi nei casi di tumore al polmone.
Gli autori dello studio hanno accusato le multinazionali del tabacco di essere passate al contrattacco finanziando a lungo una ricerca che li smentisse.
«Oggi l'industria del tabacco dice di lavorare con la comunità medica per sostenere un unico, significativo messaggio pubblico sul ruolo giocato dalle sigarette nelle malattie dei fumatori, ma fino al 2001 hanno reagito alla ricerca sul p53 in un modo ambiguo, che lascia intuire che non ci sono stati cambiamenti nel loro atteggiamento», ha detto Stanton Glantz, direttore del Centro di ricerca per il controllo e l'educazione sul tabacco dell'Ucsf.
Nel rapporto pubblicato da Lancet, Glantz e i suoi colleghi hanno esaminato 43 documenti riservati dell'industria del tabacco, grazie ai quali hanno trovato le prove di ricerche portate avanti dopo il 1996 per negare il vincolo tra fumo e tumori. «In due casi», afferma Glantz, «ricerche che smentivano questo legame furono adottate e diffuse da individui legati alle multinazionali del tabacco». Secondo «Cancer Research UK», una delle organizzazioni no-profit che più attivamente partecipano alla ricerca sui tumori, lo studio dimostra che gli scienziati devono tenere alta la guardia contro i continui tentativi delle multinazionali di influenzare e distorcere le ricerche, e ha esortato le università a rifiutate i finanziamenti dalle major del tabacco. La portata e la sofisticazione del coinvolgimento dell'industria del tabacco nella ricerca sul gene «p53» dovrebbe spingere autori, editori, direttori e lettori delle riviste scientifiche ad essere vigili su questo genere di conflitti d'interesse: Glantz invita infatti anche le università e gli istituti di ricerca a non accettare denaro dai produttori di sigarette, proprio per minimizzare il rischio di attacchi all'integrità della ricerca scientifica. La denuncia ha suscitato l'indignazione anche del dottor Peter Boyle, direttore del Centro internazionale di ricerche sul cancro (Circ), l'agenzia internazionale sui tumori dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), con sede a Lione, in Francia. «L'impiego di consulenti che omettano di dichiarare la loro associazione all'industria del tabacco, per pubblicare critiche prezzolate a ricerche scientifiche, sembra restare uno degli approcci strategici chiave dell'industria del tabacco». Boyle qualifica i consulenti che si presterebbero a questo ruolo come «uomini di paglia... nel migliore dei casi contrari alla deontologia, nel peggiore di grande viltà. Se l'industria del tabacco è sincera nel proposito recentemente dichiarato di lavorare per le istanze della salute pubblica, non può aspettarsi alcuna collaborazione con inuando a perseguire questo tipo di attività», aggiunge Boyle.