Uomini e Caporali
Siegmund Ginzberg
Nel primo della serie di processi a carico di militari accusati per le sevizie ad Abu Ghraib, una corte marziale Usa ha condannato il caporale Charles A. Graner, la notizia è di ieri sera, a 10 anni di carcere. L’hanno anche congedato con «disonore» e degradato. Nei prossimi processi l'imputato più alto in grado è un sergente.
Dopo 8 separate inchieste ordinate dal Pentagono (tre ancora in corso), anche qualche generale è stato trasferito, ma nessuno incriminato. Quanto ad Alberto Gonzales, il giurista della Casa Bianca che nei suoi memorandum al presidente aveva raccomandato di non farsi legare le mani della Convenzione di Ginevra sui prigionieri di guerra e dalle remore sulla tortura, è stato nominato ministro della Giustizia.
«Siamo uomini o caporali?», era una delle più indimenticabili battute di Totò. Ma qui viene quasi da spezzare una lancia a favore dei caporali. Il caporale Graner, che ora dopo la condanna a 10 anni è stato degradato a soldato semplice ed è senza paga, non ispira invero molta simpatia. Ma non è un serial killer, ha fatto cose disgustose, ma in fin dei conti non ha ammazzato nessuno. La sua colpa maggiore, a ben vedere, non è nemmeno di essere un sadico, che si divertiva, prendeva gusto a tormentare i suoi prigionieri. È di essere un cretino, che di quel che faceva scattava istantanee, e poi le mandava in giro come e-mail, anche ai suoi bambini in America. Con didascalie tipo: «Ancora una notte di lavoro massacrante», oppure «Come far trascorrere una giornata in inferno ad un bastardo». Senza quelle «prove» forse non gli avrebbero nemmeno fatto mai un processo. Scusate, ma mi fa più impressione l'«esperto» della difesa che era venuto a testimoniare dinanzi alla corte marziale sul carattere «creativo» di quelle foto di ammucchiate di detenuti nudi. E, se vogliamo dirla tutta, anche la requisitoria dell'accusa, il capitano Chris Graveline, quando ha detto che «l'imputato è intelligente, ed è il principale istigatore di quel che è successo ad Abu Ghraib». A meno che non si voglia considerare diabolica dissimulazione di intelligenza il modo in cui, per tutta la durata del processo aveva continuato a sorridere tranquillo, il modo in cui ha entusiasticamente salutato col segno di pollice su i reporter che lo attendevano dopo la sentenza. Ad un certo punto gli avevano chiesto se provava rimorso nei confronti dei detenuti. «Quali detenuti?» era stata la risposta. Graner ieri non ha dato segno di emozione alcuna, quando è stata letta la sentenza: l'ha ascoltata in silenzio, ed è rimasto tranquillo anche quando le guardie lo hanno portato via per rinchiuderlo nel carcere. Quando gli è stato chiesto se provasse rimorso per quanto inflitto ai prigionieri, Graner ci ha pensato su, e alla fine ha risposto: «Forse vi è sfuggito che c'è una guerra in corso. A quanto pare, ho eseguito un ordine illegale». La tranquillità dell'imputato era esibita anche durante la ultima sua ultima deposizione: nelle due ore e mezza trascorse nell'attesa della sentenza, Graner ha parlato con tranquillità dei delitti, ed ha ha commentato con qualche sorrisetto il racconto delle torture e maltrattamenti da lui inferti. Ha accusato di tutto l’intelligence militare.
Sappiamo anche che è un buon cristiano: distribuiva Bibbie agli iracheni, era venuto a raccontare un altro testimone per la difesa. «Sì. Il cristiano che è in me sa che certe cose sono sbagliate, ma l'addetto al centro di correzione che è in me non riesce a non godere quando uno di questi farabutti si piscia addosso», aveva detto al collega sergente che per primo aveva spifferato al mondo su quel che succedeva ad Abu Ghraib. Il caporale ha, come tutti, una mamma. «Un figlio stupendo, gentile, che si da fare per il prossimo. No, niente affatto il mostro che dipingono. Ai miei occhi sarà sempre un eroe», ha testimoniato.
La mamma è sempre la mamma. Ma il vero problema è che così la pensino apparentemente molti altri. Tra i capi di imputazione di cui il caporale è stato ritenuto colpevole non figura esplicitamente quello di «tortura» e il fatto che sia stato condannato a dieci anni, rispetto al massimo di 15 che prevedevano i capi d’imputazione, fa supporre che sia stata concessa qualche attenuante. Si parla di «maltrattamenti», l'accusa più grave di «lesioni» è stata fatta cadere, di «associazione a delinquere» con altri (a cominciare dalla sua amica Lynndie England, il cui processo si svolgerà a ruota), di violazioni della disciplina militare, si ha quasi l'impressione che l'accusa più grave, quella che lo ha perso, sia stata quella di «oscenità», l'aver dato alle sevizie quei toni di perversione sessuale così inaccettabili al cuore puritano dell'America. Raramente si parla di «tortura», specie tra gli addetti ai lavori. Non credo che il termine abbia mai figurato esplicitamente nei documenti, redatti con così ammirevole precisione burocratica, dei ragionieri del terrore del Terzo Reich, e nemmeno nelle minute degli interrogatori alla Lubjanka.
In un recente articolo, lo scrittore uruguaiano Eduardo Galeano ha ricordato che quando la Corte suprema israeliana aveva autorizzato raccolta anche dura di informazioni dei detenuti palestinesi sospetti di terrorismo, aveva parlato di «moderata pressione fisica», che per anni in America latina si usò il termine «tecniche di interrogatorio» e che ancora oggi in Uruguay si chiama «pressione fisica illegale». Il termine «tortura» fu evocato invece di recente, crudo o nudo, in modo del tutto esplicito così esplicito, nei sondaggi in America subito dopo l'11 settembre. E la risposta di metà degli intervistati era stata che non gli sembrava una così cattiva idea, se «usata contro i terroristi che rifiutano di dire quel che sanno». Non solo rozza «vox populi», è l'autorevole Wall Street Journal a insistere che «non fa bene essere troppo buoni».
Ora sappiamo che nel caso di Abu Ghraib non era nemmeno questa la motivazione. Molti dei detenuti sottoposti alle sevizie ed umiliazioni non erano nemmeno «politici», ma accusati di crimini comuni. Uno degli argomenti della difesa del caporale Graner era che gli orrori si verificarono in un momento di particolare tensione, quando l'occupazione cominciò a sfuggire di mano e prima che venisse catturato Saddam Hussein. A parte il fatto che non sembra che le cose siano davvero migliorate molto dopo la cattura di Saddam, che risale ormai al dicembre di due anni fa, l'argomento ricorda quello per cui la «soluzione finale» sarebbe scattata e le cose sarebbero degenerate solo quando Hitler si accorse che stava perdendo la guerra. Un altro argomento è che non avrebbe fatto che obbedire agli ordini.
Nessuno comunque ha chiamato a testimoniare davanti alla corte marziale quelli che gli ordini glieli davano direttamente, o hanno dato direttive attorno all'argomento tortura e interrogatori, non un generale, nemmeno un colonnello. Non gli specialisti dell'Fbi che hanno recentemente denunciato i metodi dei colleghi militari a Guantanamo, non il generale Ricardo Sanchez che sui Talebani detenuti a Guantanamo aveva verificato l'efficacia comparativa di 32 diversi metodi di «tattiche di intimidazione e pressione» (cioè tortura). Che però si sono poi rivelate tutte inutili o assolutamente controproducenti. Tanto meno è stato chiamato a dire la sua Alberto Gonzales, troppo occupato nelle audizioni a Washington per la sua conferma (che si dà ormai scontata) ad Attorney general. Ha fermamente respinto il sospetto che da ministro della giustizia tollererebbe la tortura, ma alla domanda se fosse stato lui a sollecitare un parere legale che la caldeggiava, ha risposto: «Non ricordo». Tanto, di questi tempi, tutti hanno la memoria corta.
Mah condannato un soldato che è letteralmente in fondo alla catena di comando, per dei fatti altamente simbolici per l'impatto e significativi dal punto di vista della violazione del diritto, ma anche marginali se rapportati all'orgia di abusi, sofferenze e decessi che questa guerra rappresenta.
I mandanti politici godono di ampia popolarità. I mandanti morali, gli elettori e l'opinione pubblica, non sembrano scossi da dubbi.
What have we done about it? What have you done about it? (vedere mio ultimo post).
ciao