«La vera colpa della Polonia? Chiuse gli occhi»
Lo studioso di storia polacca:«I campi di sterminio furono costruiti dai nazisti ma tutti sapevano»
Bruno Gravagnuolo
Chi costruì materialmente il campo di Auschwitz-Birkenau in Polonia? E quali le responsabilità polacche, se ve ne furono, nella Shoah? La mozione europea per il Giorno della Memoria ha riaperto ferite che parevano rimarginate in Polonia. Squadernando implicazioni storiche non del tutto chiarite. Ad esempio il ruolo dell’antigiudaismo e dell’antisemitismo latente nella cattolicissima Polonia. Dove era concentrata la maggioranza degli ebrei centro-orientali. E dove gli ebrei, già inseguiti dai pogrom nella Polonia russa, patirono una triplice persecuzione. Sterminati dai tedeschi, poi accusati di essere stati liberati e favoriti dall’Urss e infine perseguitati come sionisti dopo il 1967. Ne parliamo con Francesco Cataluccio, direttore editoriale dela Bruno Mondadori, attentissimo studioso di storia polacca moderna, a cui ha dedicato molti saggi, e curatore anche di Io sono un assassino» (Feltrinelli), diario di un poliziotto ebreo collaborazionista nel ghetto di Varsavia contro i suoi fratelli.
Cataluccio, sono solo tedesche e hitleriane le responsabilità in ordine alla costruzione e all’individuazione del campo di Auschwitz in Polonia?
«Il nucleo di Auschwitz-Birkenau era in origine un insieme di caserme costruite dagli austriaci durante la prima guerra mondiale e poi utilizzate come prigioni. I tedeschi dopo il 1939 lo usarono come campo di lavoro per prigionieri polacchi, ebrei e di altre nazionalità. Fu dopo la pianificazione alla Waansee dello sterminio, e dopo l’invasione dell’Ucraina e della Bielorussia, che Auschwtiz divenne Auschwitz. Il progetto e la messa in opera furono tutti tedeschi».
Quali allora le eventuali colpe polacche?
«Stanno nell’indifferenza di cui la maggior parte dei polacchi si rese colpevole rispetto a quanto avveniva: evacuazione dei ghetti, trasporti forzati verso i campi. Quando il regista francese Claude Landsman girò il suo film Shoah intervistò il macchinista del treno che trsaportava gli ebrei ad Auschwitz. E anche i contadini nei dintorni. Erano consapevoli dello sterminio, ma dichiararono che non avrebbero potuto far nulla. Furono pochissimi quelli che si opposero».
E la Resistenza?
«Aiutò gli ebrei che si ribellarono nel ghetto di Varsavia, ma non fece molto di più. Gli indifferenti erano la maggioranza»
Ma non c’era un larvato antisemitismo a nutrire l’indifferenza in un paese che Leon Poliakov definì appunto come quello dell’«antisemitismo attivato»?
«La maggior parte dei pogrom in Polonia avvenne nella zona controllata dei Russi, prima del 1918. Quanto alla seconda guerra, ci fu invece una minoranza di polacchi delatori e approfittatori, che trasse vantaggi dalla spoliazione degli ebrei deportati dai nazisti. Ingiusta viceversa l’accusa secondo la quale la maggior parte dei campi si trovasse in Polonia. Era un fatto logistico sullo scacchiere centro-orientale, e legato al fatto che il grosso degli ebrei europei viveva in Polonia».
Veniamo al dopoguerra. Come spiega l’antisemitismo polacco proprio dopo la Shoah?
«Questo è un altro capitolo, diverso e non meno tragico. Vi fu nella popolazione un’identificazione arbitraria tra ebrei e comunismo. Per il fatto che molti ebrei si erano rifugiati in Urss, erano stati liberati dai Russi ed erano ritornati con l’arrivo dell’Armata rossa. Non di rado anche con incarichi politici di rilievo nella nuova Polonia. Di qui il pogrom di Kielce, contro gli ebrei esuli in Urss e tornati a occupare le case da cui erano fuggiti, abitate ormai da polacchi. La polizia segreta accreditò nel 1947 la tesi della razzia ebraica e degli omicidi rituali dei bambini, per poter reprimere e controllare la popolazione cattolica “retrogada e fanatica”. Ci furono settanta morti: un intreccio paradossale tra dittattura e pulsioni antisemite latenti. Qualcosa di simile, con ingredienti diversi, avvenne dopo il 1967, quando la persecuzione antiebraica si consumò nel segno dell’antisionismo anti-israeliano».
Vi furono responsabilità dell’episcopato polacco in tutta questa sequenza di eventi?
«La Chiesa polacca fu reticente e ostile agli ebrei. Contribuendo a mettere in ombra la specificità ebraica della Shoah, vista in chiave solo nazionale e polacca. Ma a a partire dai primi anni settanta ha fatto abbondante autocritica. Infine, per completezza di informazione, vanno anche ricordati i fatti di Jedbawne, paesino finito sotto controllo sovietico. Dove gli abitanti massacrarono i concittadini ebrei contando sull’impunità loro assicurata dai tedeschi in arrivo, che filmarono il tutto nel 1942. Un episodio spaventoso, sintomo di antisemitismo latente e rafforzato dall’accusa agli ebrei di essere comunisti, o di essere stati aiutati dai comunisti».
Per valutare meglio se i polacchi hanno la responsabilità dello sterminio degli ebrei ed erano cosi passivi si veda la storia e le statistiche della medaglia "Giusti tra le nazioni" (in ebraico: חסידי אומות העולם, traslitterato Khasidei Umot HaOlam) che è stato utilizzato per indicare i non-ebrei che hanno agito in modo eroico a rischio della propria vita per salvare la vita anche di un solo ebreo dal genocidio nazista.
Uno dei capi della resistenza polacca, Jan Karski, si reco in Gran Bretagna e poi negli Stati Uniti per mettere sull'avviso i leader occidentali, ivi compresi Anthony Eden e Franklin D. Roosevelt. Quando Karski disse loro che i tedeschi stavano uccidendo nelle camere a gas milioni di Ebrei, nessuno gli credette, e il giudice della Corte suprema americana Felix Frankfurter, che ascolto incredulo la storia di Karski, gli disse con franchezza: Signor Karski, un uomo come me, quando parla a un uomo come lei, deve essere del tutto sincero. Le dico allora che non posso crederle». Karski fu uno dei molti testimoni oculari dell'Olocausto che cercarono disperatamente di comunicare al resto del mondo quanto avevano visto. http://www.lager.it/tedeschi_guerra_pace.html
Wladislaw Bartoszewski
Animatore della resistenza polacca, creò un'organizzazione clandestina, composta prevalentemente di cattolici, per salvare gli ebrei. Si adoperò per procurare documenti falsi ad alcuni ebrei che abitavano fuori dal ghetto di Varsavia. Nell'autunno del 1942 collaborò a fondare un'organizzazione, il Consiglio per il soccorso agli ebrei, che riuscì a salvarne molti dalle camere a gas.
Perché i Polacchi non hanno fatto "niente"?
Nel suo diario, il 15 ottobre 1942, Emmanuel Ringelblum una delle anime della resistenza [ebraica nel ghetto di Varsavia]scrisse: "Perché non ci siamo opposti quando hanno cominciato a trasferire da Varsavia trecentomila ebrei? Perché ci siamo lasciati portare al macello come tante pecore? Perché per il nemico tutto è stato tanto facile? Perché i carnefici non hanno subito nessuna perdita?
Mi sembra che nell'epoca in cui non si smette di parlare dei "campi di concentramento polacchi" si debba essere prudenti nell'attribuire le rispettive responsabilità e il loro peso.
Chi scrive è polacco, figlio di un prigioniero polacco nel campo di sterminio nazzista a Majdanek