A Infreddoliti, stanchi, diffidenti. Le vittime del G8 2001, i ragazzi e le ragazze massacrati alla scuola Diaz e deportati nella piccola Abu Ghraib di Bolzaneto, sono arrivati da Berna, da Avignone, da Londra e dalla Spagna per l'udienza preliminare del processo contro i 47 imputati, tra poliziotti, carabinieri, agenti di custodia e personale medico, responsabili dei pestaggi. Sono circa 150 quelli che hanno chiesto di costituirsi parte civile, in un procedimento che muove ora i primi passi e ch e nessuno sa dire se arriverà mai a una conclusione. La cosiddetta legge salva-Previti minaccia anche questo processo che già di suo è a rischio di prescrizione. «Già ora è una corsa contro il tempo - spiega il procuratore Francesco Lalla, sfogliando i l codice e fermandosi all'articolo 608 -. Il reato che costituisce l'ossatura, la filosofia della nostra impostazione accusatoria è l'abuso di autorità, il ricorso a misure di rigore non consentite dalla legge, un reato che si prescrive in 7 anni e mezzo. Io non parlo delle leggi che non sono state ancora emanate perché fino a quando non sono pubblicate sulla Gazzetta ufficiale non possiamo sapere quale sarà il testo definitivo, ma certamente, un'ulteriore riduzione dei tempi di prescrizione non potrà che aggravare una situazione già critica».
La stessa preoccupazione la esprimono gli avvocati di parte civile e i loro assistiti, che prevedono tempi lunghi per questa udienza preliminare. Ieri hanno chiesto che vengano citati anche i ministeri della Giustizia, dell'Interno e della Difesa, come responsabili civili, ovvero come enti che rispondono, anche economicamente, del comportamento rispettivamente di polizia penitenziaria, Polizia di Stato e Carabinieri. Richiesta che è stata autorizzata dal gup Maurizio De Matteis.
Fuori dal Palazzo di Giustizia genovese un piccolo presidio del Comitato Verità e Giustizia e tanti cartelli, che citano le testimonianze di chi è stato picchiato, insultato, minacciato. Centinaia di deposizioni messe a verbale, tutte riportate nel capo di imputazione, confermate dai referti medici e che costituiscono il voluminosissimo materiale probatorio che ha consentito alla procura di contestare i reati di abuso d'ufficio, lesioni, percosse, ingiurie, violenza privata, abuso di autorità, minacce, falso, omissione di referto, favoreggiamento personale. Il reato di tortura non è stato contestato semplicemente perché in Italia non esiste. Ma è un evidente eufemismo parlare di lesioni o di abusi, quando ad esempio, nel capo d'imputazione, si legge che l'ex dirigente della Digos di Genova Alessandro Perugini «quale funzionario della polizia di Stato più alto in grado nella caserma di Bolzaneto, ha tollerato, consentito o comunque non impedito che le persone ristrette fossero sottoposte a misure vessatorie, a trattamenti umani degradanti, non rispettosi della dignità umana, consistenti in percosse, sputi, minacce, risate di scherno, urla canzonatorie, insulti di ogni genere anche con riferimento alle condizioni sociali e alla fede politica». E ancora che «fossero costretti ad ascoltare espressioni e motivi di ispirazione fascista del tipo: «Uno, due, tre viva Pinochet, quattro cinque, sei, a morte gli ebrei». Ma ha anche infierito in prima persona sui ragazzi fermati, colpendo ai fianchi e in a ltre parti del corpo Luca Nencioli, percotendo Angelo Rossomando e costringendolo a dire: «Sono una merda».
Il procuratore Lalla ha parlato di «sadismo». I ragazzi che ieri sono venuti a chiedere giustizia invece fanno fatica a parlare. Sono quasi tutti stranieri, non vogliono dire il loro nome perché non si fidano delle di un Paese che ha violato così clamoro samente le regole. C'è un giovane svizzero, arrivato da Berna, ricorda soprattutto la paura: «Era come se non ci fosse più nessuna legge, sentivo che potevano fare di noi tutto quello che volevano. Eravamo annientati. Io sono stato fortunato perché mi hanno picchiato, ma non mi hanno rotto niente. Ma era una situazione terribile e innaturale: vedevo gli agenti che picchiavano i miei compagni e non potevo fare niente, ero paralizzato dal terrore, non esistevo più».
Tra gli imputati c'è anche Aldo Tarascio, segretario provinciale del Silp, il sindacato di polizia legato alla Cgil, lo «sbirro rosso» finito nelle indagini a un anno di distanza dai fatti, per accuse - dice - che gli arrivavano soprattutto dai suoi coll eghi. È convinto che a inguaiarlo siano state alcune dichiarazioni che rilasciò nei giorni immediatamente successivi al G8, quando disse che «nell'ordine pubblico nulla accade che il politico non voglia o non sappia».
E questo processo dovrà sciogliere anche questo nodo: da chi partirono gli ordini, cosa sapevano i ministri dell'Interno, della Difesa, delle giustizia? E cosa sapeva il vice-premier Gianfranco Fini che come è noto rimase sempre nella cabina di regia? L'udienza preliminare è aggiornata al 19 febbraio e durerà qualche mese, al ritmo di due udienze a settimana. Al termine il gup deciderà se archiviare o rinviare a giudizio i 47 imputati.