Il cinese ci ripensa
di Nicola Tranfaglia
L’intervista che Sergio Cofferati ha dato alla "Stampa" nel giorno in cui si è aperto a Roma il terzo Congresso dei Democratici di sinistra merita una certa attenzione.
La tesi che sostiene l’attuale sindaco di Bologna è singolare: visto che la maggioranza di Pesaro ha accettato quello che sostenevo io quando ero segretario della Cgil ora posso votare per Fassino segretario e per D’Alema presidente.
Sembra di aver le traveggole. Ma Cofferati, da presidente di Aprile, non era un critico severo della politica americana in Medio Oriente? Non riteneva che con l’attuale centrodestra il dialogo più o meno morbido fosse impossibile? E non predicava ogni giorno che i partiti dovevano aprirsi ai movimenti e alla società civile? Che la linea di D’Alema e Fassino ci avrebbe portati alla scomparsa della sinistra nel tentativo continuo di piazzarsi al centro e che, dunque, l’unione con la Margherita di Rutelli non era proponibile? Che, insomma, la Federazione a quattro e il "partito riformista" erano improponibili?
Ed ora che la maggioranza dei Democratici di sinistra calendarizza - come si dice con brutta espressione - per il 27 febbraio la nascita della Federazione, Cofferati ha dimenticato tutto quel che diceva fino a un anno fa ed è d’accordo perfino con il D’Alema teorizzatore del dialogo costante e quotidiano con Berlusconi e della flessibilità del lavoro al punto da votarne la conferma alla presidenza del partito.
Mai come questa volta, e pur con tutto il rispetto per il neosindaco di Bologna, viene da dire che parla cinese ai suoi compagni di un tempo. In maniera cioè oscura e incomprensibile.
Chi scrive, come tanti, ha percorso l’Italia negli ultimi mesi trovando dovunque orfani di Cofferati che avevano visto in lui il possibile leader di una grande e nuova sinistra capace davvero di dialogare in maniera fruttuosa con tutti i movimenti che avevano riempito le strade e le piazze nel biennio 2002-2003 di opposizione alla destra e di rinnovare i gruppi dirigenti del centrosinistra.
Dove è andato a finire quell’uomo che aveva acceso tanti cuori e fatto sperare che un forte vento di rinnovamento scuotesse la sinistra e costruisse un progetto culturale e politico di profonda alternativa all’Italia di Berlusconi che ancora latita nelle stanze strette delle segreterie dei partiti e che non sembra emergere dal Palazzo romano della Lottomatica? Non lo sappiamo proprio. E ci dispiace.