Una prova di maturità
Lidia Ravera
«Un congresso non è un luogo di dibattito, bensì di ratifica del già detto, già dato, già stabilito. Questo qui, poi, con il 79% di plauso precotto per il segretario di lungo corso Fassino Piero, figurati quanto ci sorprenderà... è come andare a vedere un film di cui sai già tutto, storia, conflitto finale, personaggi e interpreti, regia, luci e ombre, pubblico potenziale. Sarà una festa, sarà una palla, sarà una sfilata, una celebrazione della maggioranza vittoriosa e quindi il nulla osta implicito, per forza soverchiante, alla cacciata della minoranza detta correntone dai cieli del più forte partito del centro sinistra...». Così argomentavo, dentro di me, recandomi al Palalottomatica, curiosa, sì, come sempre, ma poco incline all'ottimismo. Pensavo che mi sarei sentita più marginale che mai, in tasca la mia fragile tesserina di Aprile, nato da una costola della sinistra Ds anni fa e ormai da tempo orgogliosamente autonomo e solitario, a spasso nella via lattea dei movimenti, luminosa ma frammentaria. Mi aspettavo conferme un po' noiose della morfologia del territorio diessino e un po' di irritazione. E per questo mi aggrappavo ben stretta al mio blocnotes, dato che chi va per raccontare sa bene perché sta dove sta e non ha ragione di arrabbiarsi e poi, a me, fare il cronista, mi incute un po' di equilibrio, mi aiuta a tenere sotto controllo le intolleranze elementari (il club maschile, la rincorsa al centro, le mossette da manuale, il linguaggio paludato... tanto per fare qualche esempio). Ero, dunque, pronta a tutto, ma non a registrare il sentimento che ho provato: un senso, caldo e imprevedibile, di appartenenza. Una bizzarra emozione a cui, lì per lì, non ho saputo dare un titolo. Alla quantità, e anche alla qualità della presenza umana, ero preparata. Ero preparata al rosso, all'ordine, alla scenografia... anche al fatto che tutti gli interventi contenessero qualcosa di buono ero preparata: il «pci,pds,ds» ha pur sempre la più forte tradizione di «cultura politica diffusa» di tutte le formazioni in campo dal dopoguerra in avanti... ma non era soltanto questo, c'era dell'altro. L'intelligenza di Fabio Mussi? Si sa, quando parla lui tutti chiudono il giornale. Meno applausi di quelli ricevuti dai soci di maggioranza perché i delegati sono gente ordinata, ma sentiti e precisi. E nei punti giusti... Era per questo che cominciavo a essere contenta o era per Barbara Pollastrini che parlava di «squadre di donne» e chiedeva il 50% di presenza femminile nel governo Prodi e rendeva omaggio al femminismo («La rivoluzione più dolce e più profonda del Novecento») il che è doveroso quanto inconsueto... era perché incominciavo a sentirmi a casa, a sentire che le affinità possono coprire le distanze?
Forse sì, forse, ma non solo. L'ho capito dopo, che cosa mi stava succedendo e perché ero contenta, l'ho capito quando ha parlato Romano Prodi. È una forza, quella che ho percepito, una compattezza composta di patti fra diversi, ma - per una volta - non tenuta insieme dal babau del comune nemico (il mai così poco citato Berlusconi) bensì dalla spinta nutriente di una responsabilità condivisa: disegnare una società diversa, renderla possibile, governarla. Per il bene di tutti. Prodi ha parlato in un silenzio che non era dettato dal rispetto delle gerarchie. Era il silenzio avido e teso di chi ha bisogno di capire. Parla bene, Prodi. Ha questo tono da massaia, antiretorico, concreto, un tantino didattico, chiaro e propositivo. È quello che ci vuole in questo momento. Siamo tutti stanchi di dibatterci su questioni antiche come riformismo e radicalità, massimalismo e realismo. Vogliamo ricominciare a parlare una lingua che tutti capiscono. Così quando Prodi ha detto «guardate che da soli, non ce la possiamo fare, ci vuole un'Europa forte» e lo ha detto accorato, aprendo una finestra di dati sulla Cina, sull'India, è scattato un'applauso vero, senza cautele. E l'applauso è cresciuto quando ha lanciato una dichiarazione di intenti coraggiosa, mai ascoltata prima: dobbiamo abbassare i prezzi. Il che è difficile «come far rientrare nel tubetto il dentifricio», ma va fatto lo stesso. È vero ed è una battaglia che la gente capirà e appoggerà. Altro che i giochetti sulle tasse, basati su un populismo deteriore, che fa perno sull'assenza di solidarietà di renitenti fiscali e potenziali evasori. Noi parleremo coi commercianti, con gli osti... ha detto Prodi, con quella bella faccia larga che sorride anche quando non sorride. Il catino di delegati diesse era tutto con lui. E perfino D'Alema, che ha chiuso la mattinata con il consueto stile da primo della classe (non legge, non prende mai una stecca, ha un rapporto disumano perfino con la punteggiatura), non ha ridotto il senso di armonia aleggiante nel palazzetto. Anzi. D'Alema, il burbero, ha aperto affettuosamente alla sinistra. Ai compagni «preoccupati». Li ha invitati a collaborare al new deal. A portare contenuti e valori. Risorse e proposte. Che sia finita l'età del malessere, il climaterio del postcomunismo, con le sue vampate destabilizzanti e le sue depressioni da crisi identitarie? Certo è che questo scorcio di congresso comunica, al di là di ogni previsione, l'immagine di una bella maturità.
di tutto l'articolo condivido solo il timido elogio a D'Alema, UNICO profeta nel deserto politico del centro-sinistra!! politico di rara abilità che ha imparato, a suon di batoste, che la moderazione e il buonsenso sono la chiave magica che apre tutte le porte. su prodi poi (passato, presente e quello che potrebbe essere il futuro) preferisco stendere un velo pietoso...
prepariamoci ad altri 5 anni di berlusconi, minimo.
i ds sono irrecuperabili e completamente distaccati dalla realta' legati alle loro certezze da ceto medio, il risveglio sara' molto duro.
I DS hanno completato la loro decadenza, hanno un presidente indecente, un segretario senza fantasia, un gruppo dirigente che comprende una notevole dose di cialtroni, eccetera eccetera. Ma oggi la priorità è battere berlusconi e su questo occorre concentrarsi. La scelta di Veltroni, Cofferati e Ravera (tra le pochissime persone "pubbliche" che stimo) per me è importante: la leggo come una decisione dolorosa di accettare mediocrità e indegnità dello schieramento politico con l'obiettivo di liberare l'Italia dal regime Mediaset. Per quanto disgustoso, il d'alemismo lo è meno del berlusconismo e questo mi basta.
d'accordissimo, alberto. qualsiasi altra scelta, purtroppo, è destinata a rivelarsi più dannosa. non ci sono alternative.