Il fare comune per il comune giornale
Ivan Della Mea
Caro direttore, a proposito della “lettera aperta dell'assemblea delle redazioni de l'Unità” pubblicata su questo giornale martedì 15 febbraio c.a. Alcune riflessioni. Tu e Padellaro dirigete il quotidiano fondato da Gramsci e certo avete memoria che Antonio Gramsci, in carcere, fu lasciato, lui comunista da altri comunisti, in uno stato di solitudine affatto esiziale se non per il corpo certo per il morale. Voi due, tu e Padellaro non siete nemmeno comunisti e dunque potete schiattare tout court che tradotto significa cavarvi da l'Unità, anda, raus e chissene; e ancora, tu, proprio te, caro il mio Colombo, andando per categorie di comodo saresti, meglio, sei, a mio parere, un moderato massimalista, vale a dire un ossimoro vivente e praticante. Tu credi e ti batti e ti sbatti perché la moderazione informi l'agone politico affinché sia la forza della ragione a dare lumi (Holbach, Diderot, D'Alembert und Voltaire) e non la ragione delle forze politiche (che per solito i lumi li spengono). Tu e Padellaro volete che la politica sia uno dei modi d'essere del consorzio civile. Ora, questo, richiede due presupposti: primo, che il consorzio sia consorzio e dunque animato da una comune volontà di essere e di fare consorzio; secondo, che sia civile, il che ovviamente non è dato in vacanza del punto primo.
Io ho imparato a stimarvi. Per vero dire ho avuto più possibilità di rapportarmi con te Furio che non con Padellaro, ma questo poco o nulla cambia poiché la mia personale stima si fa sull'apprezzamento del vostro lavoro e del vostro impegno per il comune giornale. Morale: mi sento offeso dalla sola ipotesi di un vostro allontanamento perché avrebbe ragioni tutte di potere nel senso più retrivo e berlusconiano del termine. Capisco che il vostro praticato laicismo, la pratica quotidiana dell'apertura mentale che informa l'Unità, possano turbare e infastidire i perseveranti facitori di una politica che si fa sulle personalissime presunzioni di “gerenti-gestori” della cosa pubblica assai più avvezzi a pratiche da conventicola, al fascino del tutto indiscreto del piccolo e del grande potere.
Forse portarvi la mia solidarietà fatta di stima e di affetto e di voglia di continuare il fare comune per il comune giornale non è un gran che, ma è esattamente quello che provo e che ho da dirvi e da darvi; ed è anche, infine, il modo più preciso che mi viene per dire che non potrei concepire l'Unità senza di voi poiché non mi riuscirebbe di viverla come mia.