«No alla guerra preventiva in Iran»
Martin Schulz: la visita di Bush è un passo importante, ma l’Europa resta un’area di pace
Sergio Sergi
«Sí, sono prudente. Mi riservo il giudizio...». Martin Schulz, il presidente del Gruppo del Pse al Parlamento europeo, non sembra disposto a dare un benvenuto acritico a George W. Bush. Ha consegnato a "Der Spiegel" una valutazione secca su quello che dovrebbe essere il nuovo corso delle relazioni tra Europa e Usa. E, in una dichiarazione, pensata insieme ad uno dei suoi vice, l'olandese Jan Marinus Wiersma, ricorda che l'Ue è «area di pace e stabilità a cui vogliono aderire un crescente numero di Paesi» mentre gli Stati uniti «perdono amici e incontrano una crescente resistenza su scala globale». Ed è anche arrabbiato, Schulz, per il fatto che il presidente Usa, pur ripetutamente invitato, non ha accettato di andare al Parlamento europeo. Il cui presidente, Borrell, ha dovuto faticare le sette proverbiali camice per poter partecipare oggi al summit, accanto ai leader dell'Unione.
Non è proprio un caloroso benvenuto, on. Schulz...
«Per carità. Tutto il nostro rispetto per l'ospite gradito. La campagna di charme che ha preceduto il suo arrivo è da salutare con favore. Dopo quanto è accaduto nei rapporti transatlantici, si tratta di un passo importante. Ma solo un primo passo. Certamente è positivo che il presidente Bush, dopo la rielezione, compia la sua prima visita in Europa. Non nego questo».
Però?
«Però, io aspetto i fatti. Mi interessano i contenuti. Sinora il messaggio degli Usa, anzi di Donald Rumsfeld, ci è stato consegnato con il sorriso di Condoleeza Rice. Quanto alla sostanza, non mi pare che sia cambiato molto».
Prendiamo il cancelliere Schroeder. Sembra esserci una forte disponibilità alla collaborazione…
«Certo. Il cancelliere, per esempio, ha messo sul tappeto la necessità di una riforma della Nato che, così com'è adesso, non va più bene. Le riforme da fare sono tante: c'è l'esigenza di mutare le procedura di decisione sul piano internazionale. Parlo dell'Onu. Ma voglio dire con estrema chiarezza che, per noi europei, il presidente Bush non ha escluso che vi possano essere altre azioni preventive di carattere militare. Noi non siamo d'accordo. Non lo fummo per l'Iraq, non lo saremo per altre, eventuali e sciagurate iniziative simili».
Lei pensa all'Iran? Arrivato a Bruxelles, Bush ha rivolto dei forti moniti a Iran e Siria.
«Guardi, la politica della guerra preventiva non appartiene agli europei. Non è la linea dell'Unione. E questo il presidente lo sa bene. Poi, esistono altri temi che gli europei pongono all'attenzione degli Usa. Vogliamo parlare o no della firma americana sotto il protocollo di Kyoto? L'Unione lo chiede ufficialmente alla Casa Bianca. Vogliamo affrontare o no il riconoscimento della Corte penale internazionale? Bush assuma un impegno per la firma. Questo gli viene chiesto. E per la riforma dell'Onu sarebbe davvero auspicabile un ruolo costruttivo dell'amministrazione americana. Dunque, è bene che gli europei si confrontino con gli Usa ma deve esser chiaro che non possono accettare un approccio del tipo: noi americani diamo l'indirizzo e voi seguite».
Lei pensa che ci si trovi ancora a questo punto?
«Io penso che gli Usa debbano accettare e rispettare le opinioni degli europei».
Dunque, grande attenzione sulla visita e sui contenuti ma senza facili entusiasmi?
«Ripeto: siamo di fronte ad un primo, nuovo passo nelle relazioni transatlantiche. Ma resta molto su cui discutere e confrontarsi. Sulla strategia della guerra preventiva noi non possiamo né dobbiamo cambiare opinione. Vedo che anche il governo della Gran Bretagna si è associato a questa posizione dell'Unione europea. Mi pare un fatto molto importante che aiuterà nel rapporto con Washington. Sono certo che ciò servirà anche a far progredire gli sforzi della "trojka" europea che sta negoziando con le autorità di Teheran sul nucleare. Gli europei dicono agli Usa che non ci sarebbe alcuna giustificazione per eventuali colpi di forza. Al contrario, l'amministrazione Usa dovrebbe sostenere l'azione degli europei, incoraggiarla piuttosto che osteggiarla. È vero, come dice Bush, che Usa e Europa devono rappresentare i pilastri del mondo. Ma il partenariato si traduce in stessi diritti e stessi livelli. Due livelli che devono accettarsi reciprocamente».
Tuttavia, quando Condoleeza Rice, qualche giorno fa, è arrivata in avanscoperta in Europa, la via dei rapporti Ue-Usa è risultata più sgombra. O si è trattato solo di un'impressione?
«Non v'è dubbio che l'atmosfera è migliorata, si è visto un po' più di sereno. Molto bene. Tuttavia, tutti sanno che la politica non si decide sulla base dell'ambiente più o meno sereno. Può aiutare, senz'altro. Però sono i contenuti del negoziato a risultare decisivi. Ed io non vedo in quale maniera sia cambiata la posizione della prima amministrazione Bush. Per me, sino a prova contraria, il messaggio resta quello di Rumsfeld. E non quello affidato al sorriso della signora Rice».