Moni Ovadia porta per la prima volta sul palcoscenico il capolavoro dello scrittore ebreo russo Isaac Babel', intellettuale e rivoluzionario morto nel 1941 in un campo di concentramento stalinista. Babel' guarda "da dentro" la guerra civile che fece seguito alla Rivoluzione d'Ottobre, che sente come fallita, perché non è riuscita a mantenere l'impegno di giustizia, uguaglianza, solidarietà. Babel' racconta la rivoluzione con una serie di ritratti di uomini semplici e disperati, tra cui l'affascinante robivecchi ebreo Ghedali, cui i polacchi hanno cavato gli occhi. Ghedali gira col suo carretto, gridando
«Dov'è la dolce rivoluzione? La rivoluzione è gioia e felicità. Noi lo sappiamo che cos'è l'Internazionale, dateci un'Internazionale di uomini buoni. Noi tessereremo ogni anima al partito e le diremo: siediti alla tavola della vita anima e gioisci!».
Questo personaggio (in cui Ovadia ha messo tutto il suo talento) riassume valore e significato dell'opera di Babel', una celebrazione del legame fra ebraismo e rivoluzione, con una determinante presenza ebraica in tutti i movimenti rivoluzionari socialisti, comunisti e anarchici. A margine: il primo partito rivoluzionario dell'est Europa fu il Bund, organizzazione degli operai ebrei di Russia e di Polonia, così come il primo rivoluzionario della storia fu Abramo, che frantuma gli idoli, simbolo di una religione usata dai tiranni come strumento di sottomissione.
Konarmija è un lavoro breve e secco, ma faticoso. Moni recita per tutti i personaggi, affiancandoli con l'italiano quando gli attori parlano in russo o yiddish. A volte le voci si accavallano ed è difficile seguire la vicenda in atto. Felicissimi tutti i momenti musicali, quai tutti elaborazioni in chiave gloriosa di motivi tradizionali: qui in cui Ovadia eccelle, come sempre, grazie a una voce radicata nei Balcani, ma contaminata e arricchita dalle più disparate esperienze artistiche.
La scenografia è bellissima, suggestiva, con uno fondale su cui scorrono filmati e immagini (curati da Mauro Contini, stretto collaboratore di Carmelo Bene), elaborati fino a trasformarli in un quadro in movimento.
Concludo con due chicche: l'unica storiella ebraica raccontata da Moni in questo spettacolo (
«L'ebreo se fa freddo si avvicina alla stufa; se fa molto freddo l'accende») e la citazione finale di una frase di
Gino Strada:
«I diritti devono essere estesi a tutti, altrimenti non sono diritti, ma privilegi».
Moni Ovadia, grande artista, uomo di cultura, testimonial della pace. Avercene...
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