Un milione e mezzo in piazza in nome di Hariri
A un mese dall’attentato, imponente manifestazione dell’opposizione libanese contro Damasco
di Umberto De Giovannangeli
Verità. Democrazia. Indipendenza. È su queste aspirazioni che vive la «primavera di Beirut». Una «primavera» tornata a risplendere in Piazza dei Martiri. Con una manifestazione imponente, un milione e mezzo di persone, pacifica, festosa. Una manifestazione «giovane», come la stragrande maggioranza dei suoi protagonisti. L'opposizione ha vinto la «sfida delle piazze», mobilitando un numero di manifestanti superiore a quello che l'8 marzo aveva risposto all'appello del movimento sciita Hezbollah e altri 17 gruppi filo-siriani a dimostrare in favore di Damasco e contro le «ingerenze straniere».
Piazza dei Martiri è un immenso «tappeto» umano bianco e rosso, i colori della bandiera nazionale libanese, quei colori divenuti il simbolo della Rivoluzione di velluto. Beirut si risveglia nel clamore assordante dei caroselli di auto che - a clacson spiegati - invitano la popolazione a partecipare al grande raduno del pomeriggio. Lo sforzo organizzativo è senza precedenti. Per aggirare i giganteschi ingorghi che hanno presto intasato le vie di accesso alla città, nella località costiera di Batroun (40 km. a nord di Beirut) sono stati addirittura organizzati collegamenti via mare con alcuni battelli. Decine di migliaia di manifestanti confluiscono a Beirut da tutto il Libano anche a bordo di centinaia di autobus sulla cui fiancata sono affisse foto di Rafik Hariri, l'ex premier ucciso in un attentato proprio un mese fa. E in suo nome che Beirut torna a chiedere verità e giustizia, a esigere le dimissioni dei capi dei servizi di sicurezza, a rivendicare libertà e indipendenza, a invocare il ritiro totale e in tempi brevi dei soldati di Damasco e lo smantellamento dei famigerati servizi di informazione che la Siria ha impiantato nel Paese dei cedri. E lo fa con compostezza, dignità, orgoglio. E senza violenza, neanche verbale. Come da ormai quattro lunedì consecutivi, la maggior parte di negozi e uffici restano chiusi e alle 12:55, l'ora dell'attentato di San Valentino, risuonano nella Piazza dei Martiri, già stracolma, i rintocchi della vicina cattedrale di San Giorgio, mentre dalla Grande Moschea giunge la voce del muezzin che recita la «fatiha», la preghiera islamica per i morti. Prima di immergerci tra la folla, incontriamo il cardinale Nasrallah Boutros Sfeir, nella sede del patriarcato maronita a Bkerke, sulle colline a nord-est di Beirut. Sfeir è un'autorità morale indiscussa per l'opposizione e i ragazzi di «piazza della Libertà». Il cardinale nutre grande speranza nei giovani protagonisti della «primavera di Beirut». «Alle manifestazioni - dice a l'Unità - sono state date direttive ai giovani chiedendo loro di esibire soltanto la bandiera libanese. E l'hanno fatto. Ci si può solo rallegrare per questo. Hanno cancellato le differenze per far emergere soltanto l'idea del Libano». «E questo è un bene - prosegue il cardinale Sfeir -. Non c'è alcuna differenza tra Paul e Pierre, Mohammad e Mustafa. Si sono ritrovati attorno a un sentimento puramente libanese. È una novità straordinaria ma occorre che possa nutrirsi e crescere, perché ci sono sempre delle mani e delle menti che seminano zizzania in questo Paese». Il patriarca cristiano maronita dovrà fare i conti con la marea umana che si riversa su Beirut: Sfeir viene trasferito in elicottero all'aeroporto della capitale, da dove è poi partito per gli Usa, poiché le strade della città sono completamente bloccate a causa della manifestazione indetta dall'opposizione.
«Indipendance 05»: è lo slogan, l'obiettivo, l'impegno condiviso dal milione e mezzo di libanesi che per l'intera giornata hanno «occupato» pacificamente Beirut. «Siamo noi il futuro», dice orgoglioso Talal, 16 anni, avvolto in una bandiera bianco-rossa. «La speranza è qui», gli fa eco Antoine, 41 anni, che porta con sé un grande ritratto di Hariri. Il futuro è qui, in questa piazza stracolma all'inverosimile. È nei cortei infiniti che attraversano per ore e ore le strade di Beirut paralizzando il traffico. Il futuro è nelle scolaresche della «Fondazione Hariri» che distribuiscono rose bianche ai soldati che dalle prime ore dell'alba presidiano il centro della città. L'unità possibile è nel ragazzo, jeans attillati e orecchino, che sfila, mano nella mano, con una ragazza in chador. Un gruppo di studenti intona l'inno nazionale a ritmo di rap: il futuro è anche questo, tradizione e modernità. Lo spirito di un popolo è racchiuso in un immenso striscione inalberato dai manifestanti: «Grandi giorni per la libertà"» Alle 16:00 (le 15:00 in Italia) la manifestazione ha inizio. In una piazza stracolma il primo a prendere la parola è Akram Shehaieb, deputato del Partito socialista progressista del leader druso Walid Jumblatt. «Siete grandi, siete la forza del Libano», scandisce Shehaieb, scatenando le urla e gli applausi di una folla in delirio. Questa imponente manifestazione, aggiunge, «ha gettato le fondamenta della libertà, della sovranità e dell'indipendenza» del Libano. Nella zona circostante Piazza dei Martiri, continuano intanto ad affluire manifestanti, che non riuscendo a entrare nella piazza si ammassano nelle vie circostanti e sul grande cavalcavia del viale Fuad Shiab. Sul palco come in piazza, nei cortei, non c'è distinzione etnica o di fede religiosa. Dopo il druso Shehaieb a parlare è l'ex generale Nadim Lteif, rappresentante del Movimento patriottico libero di Michael Aoun (l'ex premier cristiano in esilio in Francia): «Non dimenticheremo mai - dice - la macchina da guerra siriana che ha bombardato le nostre città e i nostri villaggi e non diremo grazie». All'altro esponente cristiano dell'opposizione Boutros Harb, che dal palco grida: «Vogliamo sapere chi ha ucciso Hariri», la folla risponde con un boato: «Surya, Surya», la Siria, la Siria.
Una convinzione assoluta che sembra suffragata dal rapporto stilato dagli esperti Onu incaricati di indagare sull'assassinio dell'ex premier; dal rapporto, fanno filtrare fonti vicine alla famiglia Hariri, emergerebbero pesanti responsabilità ai più alti livelli servizi segreti di Beirut e Damasco nell'insabbiamento di prove sulla strage del 14 febbraio. Dal palco c'è chi sostiene che il «regime siriano cadrà nel dimenticatoio», chi invece giura che il tempo non lenirà le ferite inferte dai siriani ad una parte del popolo libanese. Riusciamo ad avvicinare per qualche attimo Mona Hrawi, vedova dell'ex presidente Elias Hrawi che era stato eletto negli anni '90 con l'appoggio di Damasco. La signora Hrawi si dice «fiera» di far parte di questo «moto di libertà» e sui rapporti con Damasco afferma: «Ringraziamo i nostri fratelli siriani, che ci hanno aiutato, ma ora è tempo che i libanesi si governino da soli». Il momento più toccante giunge alla fine quando a prendere la parola è la deputata dell'opposizione Bahia Hariri, la sorella dello scomparso premier. In questa ex insegnante cinquantenne, dal carattere deciso e dai modi gentili, parlamentare sunnita dal 1996 e paladina dei diritti delle donne nel mondo arabo, la gigantesca folla che ha occupato Beirut vede il futuro leader di un Libano indipendente. Le elezioni, esordisce, «devono tenersi alla scadenza prevista» di maggio. Il suo discorso infiamma Piazza dei Martiri e viene interrotto più volte dagli applausi. Bahia Hariri torna a chiedere una commissione d'inchiesta internazionale sull'attentato costato la vita al fratello ex premier. Poi un messaggio rassicurante che sembra indirizzato agli sciiti Hezbollah: se l'opposizione andrà al governo, promette Bahia Hariri, il Libano «preserverà la resistenza» contro Israele e sarà l'«ultimo Paese arabo» a firmare la pace con lo Stato ebraico. La richiesta di un ritiro totale delle truppe siriane non significa volontà di rottura con Damasco: «Non diremo addio alla Siria ma arrivederci a presto». Alla fine, il giuramento solenne: «Ti promettiamo di difendere il Libano e di mantenere Beirut la capitale della libertà», proclama Bahia Hariri, con lo sguardo rivolto alla vicina tomba del fratello, a fianco della Grande Moschea, e con il pugno destro levato, mentre la folla esplode in un boato.
Le ombre della notte calano su Beirut quando la gente comincia a lasciare Piazza dei Martiri. Le auto ricominciano i caroselli festanti per le vie della capitale. I caffè di rue Monot tornano ad animarsi, come le tende in «piazza della Libertà». Beirut trattiene il sapore di una giornata indimenticabile.
Bene, era ora. La Siria ha pesanti ingerenze nell'area mediorientale. E i suoi "metodi" sono tristemente noti a tutti (tranne forse a quel pisquano di Diliberto che poco fa coi nostri soldi è andato a baciare l'anello dello sceicco Nasrallah, il leader degli Hezbollah - cose da pazzi...)
Leggevo ieri che sì, va bene che la Siria si ritiri dal Libano, ma se non se ne andranno anche gli 007 siriani sarà come se non fossero mai andati via da lì.
Vedremo, senza dubbio non sarà un processo rapido ma è già qualcosa!
Siria un grande esempio di democrazia!! 3% di Alauiti imperano sul resto della popolazione come una casta prepotente. E' rimasto qualche Curdo sul territorio? Qualcuno ricorda l'assedio di Tel El Zahtar quando un zilione di palestinesi fu massacrato (Libano)? E che dire del flusso di nazisti in fuga divenuti consiglieri militari costì. Mia moglie è di Aleppo , se avete voglia un giorno vi racconto il trattamento riservato agli ebrei in quel paese. Oggi no.