C’è un bel coro nella tv del padrone unico
I giornalisti ospiti dei giornalisti conduttori
di Maria Novella Oppo
La morte di Jader Jacobelli, come spesso succede con le persone perbene, ci ha fatto misurare dolorosamente la distanza tra il suo stile e quello che oggi manca. Lui, che avrebbe voluto essere invisibile, fu spinto da Bernabei ad abbandonare la radio per il video, con l'argomento piuttosto brutale che ormai in tv ci andavano anche «cani e porci». Figurarsi oggi, che anche i giornalisti della carta stampata vogliono a tutti i costi essere visibili e spadroneggiano i «conduttori». Figure che, in fondo, derivano più da Pippo Baudo che da Jacobelli e che imprimono sul programma il loro marchio a fuoco, come padroni delle grandi mandrie televisive. Sono loro gli autori e i registi, gli intervistatori e i commentatori che danno e tolgono la parola, alzando le braccia come direttori di un'orchestra che dirige la musica del potere. Il loro e quello vero, che si confondono sempre più. E se il giornalista dei tempi delle prime tribune politiche faceva di tutto per scomparire (tranne poi incappare nelle caricature di Noschese), il conduttore di oggi vuole essere il deus ex machina che fa pesare al massimo il suo ruolo, in cambio del quale, si capisce, si aspetta di avere, in futuro, qualcosa di altrettanto prezioso. Ovviamente il conduttor dei conduttori di oggi è Bruno Vespa, l'uomo che diede la notizia che il mostro Valpreda era stato preso e che oggi finge di giocarsela da pari a pari (se non da compari) con il presidente del Consiglio. Fatta piazza pulita, con soddisfazione reciproca, dei concorrenti maggiori, come Enzo Biagi e Santoro che avevano l'abitudine criminosa di fare domande non concordate e perfino sgradite. La tv del padrone unico ha cercato di sostituire quelli troppo bravi con la schiera dei volenterosi cobelligeranti, ma finora non è riuscita ad ottenere sul territorio occupato che risultati molto scarsi. Come nel caso di Antonio Socci, che, avendo fatto il peggior programma di informazione televisiva mai visto, è stato premiato con la direzione di una scuola di giornalismo televisivo. Oppure Masotti e Vergara, che, dopo il vertice raggiunto con la puntata riparatrice sulla mafia, ora possono fare qualsiasi cosa che nemmeno il padrone gliene sarà più grato. Fanno coro ai giornalisti conduttori, i giornalisti ospiti, una compagnia stabile (non più di una decina di nomi, sempre gli stessi) per lo più composta da direttori di giornali amici, che partecipano ai dibattiti facendo domande gradite, o sgradite solo all'opposizione. Eredi di quel Mangione che entrò nella storia (quella minima del malcostume televisivo) leggendo a Togliatti un brano dell'Unità completamente falso. E non sapeva di anticipare così Berlusconi, che infatti è indietro di quarant'anni nel metodo della polemica politica. Come ogni tanto gli rimprovera Giuliano Ferrara che, essendo tra i dipendenti l'unico a sapere quello che fa, è doppiamente colpevole di farlo. A margine, possiamo notare anche che il padrone unico consente qualche isola di ristretta autonomia professionale, utile come foglia di fico per coprire la vergogna di tutte le altre. Purché non si esageri e non si tocchino temi troppo delicati in momenti delicati. Allora interviene direttamente lui da qualche lontana Bulgaria, oppure fa intervenire il suo braccio armato (Cattaneo) con argomenti «tecnici». Tipo sostenere che la satira di Sabina Guzzanti non fa ridere perché contiene notizie vere o che un brano letto da Paolo Rossi diventa comunista anche se scritto da Pericle nel Quinto secolo avanti Cristo o da Molière nel Seicento.