Un modo diverso per ricordare il piccolo nazareno messo in croce un paio di millenni fa: la visita alle sinagoghe del Ghetto di Venezia, il più antico conservato oggi in Europa. Così antico che &
laquo;è nato proprio qui il termine "ghetto" - spiega la guida, una ragaza venezianissima che sa tutto di judaica, la sua famiglia deve essere qui da mezzo millennio -
perché nel 1516 gli ebrei di Venezia vennero confinati vicino alle fonderie ("getti"). In gran parte askenaziti, non sapevano pronunciare la "g" dolce, ed ecco l'origine della parola che da allora si è diffusa in tutto il mondo». Gli ebrei veneziani erano rinchiusi da cancelli e mura dal tramonto all'alba, disponevano di sette metri quadrati a testa e non potevano avvicinarsi ad altri pozzi che quelli loro riservati nel campo.
Fu Napoleone ad aprire i cancelli, dopo la conquista di Venezia (1797), restituendo agli ebrei veneziani la libertà. Nonostante la penuria di spazio, vennero costruite cinque sinagoghe (Canton, Italiana, Tedesca, Levantina e Ponentina) di cui oggi restano in uso le due sefardite.
Il Ghetto anche oggi è un'oasi, nonostante la quasi costante piena di turisti a Venezia e sa offrire una mezza giornata serena. Dopo la visita a sinagoghe e museo, si possono sfogliare i libri acquistati alla irresistibile libreria annessa (oggi: La perfida Ester di Lia Levi per mia figlia e Contro l'idolatria di Moni Ovadia per me)seduti al bar ristorante "I quattro rusteghi" in campo (che mi sono ripromesso di visitare per provare la promessa "cucina di ispirazione levantina".
Vietato uscirsene senza un ricordo. Invece della solita Yad (la manina per leggere la Torah) o della Menorah (candelabro a sette bracci) in vetro soffiato, si può fare una pensata su una stampa di un negozio aperto di recente da
Michal Meron, delicatissima artista israeliana. Bellissima "I gatti di Venezia", oppure una delle sinagoghe.
Uscendo, basta gettare un'occhiata nella Jeshivah chassidica, per veder saltar fuori un giovane agghindato come il protagonista di un libro di Potok. E' un americano di origine polacca, trasferito al Ghetto di Venezia. Chiede, si informa, si interessa sui perché e i percome, saluta con un augurio di pace e torna dentro, dove il rabbino discute animatamente con quattro studenti.
Quasi dispiace rituffarsi in fondamenta Ormesini, ma la meta è uno spriz da Rosa Salva a San Giovanni e paolo e ce la si deve fare.