Costituzione Ad Personam
di Corrado Stajano
«E le sue dimissioni?», ha chiesto alla Tv un giornalista al ministro Calderoli dopo l’approvazione al Senato dei 56 articoli che stravolgono la seconda parte della Costituzione e mettono a rischio anche la prima parte, i princìpi fondamentali, i diritti e i doveri dei cittadini. Il ministro non si è trattenuto e ha fatto un ammicco furbesco. Certo che Bossi sapeva. Tutto previsto, tutto calcolato: le sottili tattiche della Padania, entità storico-geografica inesistente. Ci troviamo così con un progetto governativo di riforma costituzionale approvato sotto il ricatto della Lega ai partiti della maggioranza di governo.
Partiti che evidentemente non condividono del tutto o hanno molte riserve sulla proposta di legge alla quale si è opposto come ha potuto il centrosinistra, si è opposta con giudizi critici assai severi la quasi totalità della cultura giuridica italiana e si sono opposti e seguitano a farlo i comitati, i centri civili, le associazioni, i gruppi che hanno compreso subito la gravità di un «Disegno di legge costituzionale presentato dal presidente del Consiglio, dal vicepresidente del Consiglio, dal ministro per le Riforme Istituzionali e per la devoluzione, dal ministro per le Politiche Comunitarie, di concerto con il ministro dell’Interno e con il ministro per gli Affari Regionali. Tutto in famiglia.
Nasce quindi in modo abnorme questa revisione costituzionale e l’ha ben spiegato (Repubblica, 29 marzo) Gustavo Zagrebelsky, presidente della Corte Costituzionale fino al 13 settembre 2004: «Non c’è Costituzione se la sua base di consenso non trascende le divisioni della politica comune, non trascende cioè, innanzitutto, la divisione maggioranza-opposizione. Una Costituzione del governo non è una Costituzione perché non ne ha la legittimità necessaria. Questa mancanza iniziale si rifletterà sugli atti che saranno compiuti in futuro, sulla sua base. Invece che pacificare, alimentare il conflitto. Un bel risultato “costituzionale”, non c’è che dire».
I momenti delle costituzioni nascenti (e anche di parti rilevanti, come in questo caso) dovrebbero conciliare, unire. Accadde nel 1947 quando l’Assemblea Costituente discusse il modello della Costituzione, promulgata, dopo i disastri del fascismo e della guerra, il 27 dicembre di quell’anno ed entrata in vigore il primo gennaio 1948.
Fu un periodo di intensa drammaticità. Nel maggio 1947 i socialisti e i comunisti furono sbarcati dal nuovo governo De Gasperi, ma la crisi era già iniziata in gennaio con il viaggio del presidente del Consiglio negli Stati Uniti. Il clima di restaurazione si era fatto via via più pesante, ma i lavori della Costituente andarono ugualmente avanti in nome dell’interesse del Paese. Uno spirito unitario si rivelò allora possibile perché, a differenza di oggi, pur tra avversari, non venivano negati i princìpi della comunità e della politica. Ma, bisogna ricordare che della Commissione dei 75, motore giuridico, politico e culturale della Costituente, facevano parte uomini come Lelio Basso, Piero Calamandrei, Giuseppe Dossetti, Luigi Einaudi, Giorgio La Pira, Emilio Lussu, Concetto Marchesi, Umberto Terracini, Palmiro Togliatti. E si capisce come può essere umiliante un confronto tra passato e presente, con i quattro «saggi» riuniti per tre giorni, nell’agosto 2003, in una baita di Lorenzago, nel Cadore, a imbastire questo progetto.
«La Costituzione deve essere presbite, deve vedere lontano, non essere miope», disse Calamandrei in un discorso alla Costituente il 31 gennaio 1947. Citò Dante, i versi del Purgatorio - «facesti come quei che va di notte» - per dire che non bisogna illuminare la strada a se stessi, ma a coloro che vengono dopo. Era sua costante preoccupazione cercare di far capire che nel preparare il testo impegnativo di una Costituzione democratica fosse opportuno, per una maggioranza, collocarsi secondo il punto di vista di quella che domani potrà essere la minoranza, «in modo che le garanzie costituzionali siano soprattutto studiate per difendere i diritti di questa minoranza». Figuriamoci. Il Polo delle libertà ritiene di essere eterno e di essere destinato a gestire il potere di sempre. (Analizzino questo convincimento politico, autoritario e suicida, quanti, anche nel centrosinistra, si scandalizzano davanti alla parola regime. Che trae alimento anche dal verbo durare. A tutti i costi, con tutti i mezzi leciti e illeciti).
Ancora Calamandrei, sul Ponte (9 settembre 1952): «La schiettezza di una democrazia è data dalla lealtà con cui il partito che è al potere è disposto a lasciarlo: la lealtà del gioco democratico è soprattutto nel “saper perdere”. Ma la democrazia diventa una vuota parola quando il partito che si è servito dei metodi democratici per salire al potere è disposto a violarli pur di rimanervi». E poi: «Un sintomo preoccupante di una siffatta tendenza potrebbe ravvisarsi nella leggerezza con cui (...) si è parlato di “revisionismo costituzionale” come di una faccenda di ordinaria amministrazione. È vero che nella nostra Costituzione è previsto uno speciale procedimento per rivederla; ma è anche vero che, nello spirito dell’Assemblea Costituente, questo procedimento, particolarmente lento e solenne, è stato dettato non per invogliare i posteri alle revisioni costituzionali, ma al contrario per ammonirli a non dimenticare che la nostra è una Costituzione “rigida”, le cui modificazioni saranno sempre da considerarsi come una exstrema ratio straordinaria ed eccezionale, da affrontarsi con prudente diffidenza. (...) Fa pena sentire autorevoli parlamentari della maggioranza parlare con sì scarso senso di responsabilità della opportunità di rivedere la Costituzione per comodità del loro partito».
È anche profetico, Piero Calamandrei, 53 anni fa, quando scrive dei costituzionalisti del partito di maggioranza che hanno osato sostenere che siccome «la maggioranza può tutto, essa potrebbe intanto cominciare a “smobilitare” dalla Costituzione queste fastidiose garanzie di controllo costituzionale che sono il referendum e la Corte Costituzionale, e (perché no?) la indipendenza della magistratura».
Ecco fatto. il tentativo è in corso, rabbioso, nella XIV legislatura del Parlamento repubblicano. Sono proprio le fastidiose garanzie il nemico da abbattere, l’inciampo che non deve più dar noia. Pare che i neocostituenti si siano impegnati soprattutto a creare squilibri tra i diversi poteri. Il presidente della Repubblica viene ridotto al lumicino di una rappresentanza formale. La Corte Costituzionale perde il delicato bilanciamento della sua composizione: il Parlamento può nominare infatti due giudici in più togliendo questo diritto al Quirinale e alle Magistrature. I partiti, così, possono meglio giostrare e condizionare la Corte. Il primo ministro viene a godere di un potere sovrabbondante. Ha scritto un’illustre costituzionalista, Lorenza Carlassare, che «la combinazione automatica sfiducia/scioglimento (della Camera dei deputati) mette nelle mani di una sola persona un potere di ricatto senza uscita, chiudendo egregiamente un cerchio davvero perverso». (Costituzione, una riforma sbagliata. Il parere di sessantatré costituzionalisti, Passigli Editori). E poi la devolution, l’attribuzione alle Regioni di competenze che creeranno disuguaglianze, spese incontrollabili, conflitti tra Stato ed Enti locali, turbamento dell’unità nazionale.
Dopo la seconda lettura del «Disegno di legge costituzionale» che sarà obbligatoriamente fatta dalle due Camere, senza la possibilità di modificare il testo, non resta che il referendum popolare, ultima frontiera della democrazia. I sondaggi rilevano che i cittadini sanno poco di quanto sta accadendo: un tentativo autoritario, privo di ogni volontà di dialogo, capace di stravolgere la struttura costituzionale dello Stato. Ma bisogna dire che finora a muoversi, a spiegare, a propagandare maggiormente e con passione il pericolo grave che incombe sulla Repubblica sono stati, più che i partiti di opposizione, le associazioni, i gruppi, i circoli nutriti dalla società civile.
se mai si arrivasse a toccare gli istituti di democrazia diretta e i controlli giurisdizionali della costituzione sarei il primo a scendere in piazza armato di bastone e molotov!! tuttavia, non rendersi conto che con le attuali regole le capacità governative degli esecutivi italiani sono troppo limitate è mentire a se stessi sapendo di mentire. in merito "all'impotenza del governo" (sia ben chiaro...di destra e di sinistra) siamo primatisti in europa. cinquant'anni di immobilismo decisionale, di politica ostruzionista delle opposizioni e di "questioni di fiducia" (divenute negli anni consuetudini costituzionali) ancora non sono bastati per farci aprire gli occhi sui difetti di un parlamentarismo eccessivo.
se la sinistra smettesse di fare tanta caciara e di piangere per la tanto bistrattata costituzione e iniziasse a fare delle proposte di revisione intelligenti, cercando soluzioni per accrescere ragionevolmente le prerogative del governo contrastando l'immobilismo e l'ostruzionismo fine a se stessi e mantenere intatti i principi fondamentali del nostro ORDINAMENTO COSTITUZIONALE!! perchè molto spesso ci si dimentica che ORDINAMENTO COSTITUZIONALE e CARTA COSTITUZIONALE sono due concetti diversi e che la seconda dovrebbe essere conforme al primo, non viceversa. perchè ostinarsi a non accettare che un procedimento di revisione costituzionale intelligente è necessario??