Occhetto: non basta spazzare via la classe dirigente di destra
L’ex segretario del Pds conclude il convegno del suo «Cantiere per il bene comune». «Il dopo non potrà essere la riedizione di alcune degenerazioni già viste»
di Bruno Gravagnuolo
«Non basta spazzare via la classe dirigente di destra, dobbiamo spingere per cambiare anche la classe dirigente di sinistra». Si conclude così, con le parole di Occhetto, la mattinata «programmatica» indetta ieri a Roma - in una saletta del Parlamento europeo in via Quattro Novembre - dal «Cantiere per il bene comune», costola politica della ex lista Di Pietro-Occhetto e di una parte dei girotondi. Con dentro adesioni come quella di Giulietto Chiesa e di Articolo 21. C’erano con Occhetto e oltre a Chiesa, Sabina Guzzanti, il corrispondente dell’«Economist» David Lane, Diego Novelli, Antonello Falomi, Marco Travaglio, Nicola Tranfaglia, Claudio Fracassi e Paolo Sylos Labini pugnace come al solito. Atteso ma assente anche il direttore del «Riformista» Antonio Polito, bersaglio di qualche strale ironico. E assente giustificato Furio Colombo, bloccato in aeroporto. E la conclusione di Occhetto, con un pacchetto di proposte per la «Fabbrica di Prodi», è un po’ la sintesi della filosofia politica del Cantiere per l’immediato futuro. La stessa che traspariva da tutti gli interventi.
E cioè, prima di tutto con Berlusconi la partita non è ancora conclusa. E occorre non mollare. Anche perché - come ricordava Marco Travaglio molto applaudito in una sala strapiena - il tycoon ha appena realizzato ingenti plusvalenze dalla vendita di azioni di Madiaset, pronte ad essere investite nell’ultima decisiva battaglia. E poi perché c’è un «dopo». E il dopo non potrà essere una riedizione di sinistra di alcune degenerazioni già viste della politica, di cui Berlusconi è stata l’espressione conseguente. Dunque, no al lobbismo. No al finto pluralismo sotto forma di privatizzazioni, che premiano i soliti noti dell’industria e della finanza. No all’eclissi del lavoro nella nostra società. Di cui, sostiene Chiesa, «l’intrattenimento televisivo è il vero artefice, nell’immaginario e nella cultura di massa». Insomma, «no al berlusconismo di sinistra». Ecco, era questo il filo conduttore dell’intera mattinata. Con in più una preoccupazione. Non lasciarsi trovare impreparati da un eventuale referendum sulla riforma costituzionale, e anzi impiegare gli ultimi fuochi del berlusconismo per far capire quanto importante sia «La Carta costituzionale più bella del mondo» (Occhetto). Che il berlusconismo, il leghismo e il post-fascismo vogliono devastare, come avversario del loro progetto liberista e neoautoritario per l’Italia. E allora il Cantiere si pone come pungolo per la spllata finale a Berlusconi. Come guardiano della formula che ci ha fatto vincere: l’unità tra radicali e riformisti. E come promessa di cimento futuro per una sinistra nuova e di programma, con al centro diritti, legalità e informazione. Contro il trasformismo, contro il gattopardismo e contro il «pericolo oligarchico» di un’Italia di centro e neomoderata del post-Berlusconi. Tutti d’accordo quindi su questa linea, dal fondatore del Pds a Sylos Labini. Il quale, ricordando il suo maestro Salvemini, ha spiegato perché la Resistenza abbia scongiurato un’edizione neoreazionaria alla Churchill della democrazia italiana.
E tutti d’accordo con le denunce di Elio Veltri, che ha evocato un dato drammatico: l’essere immersa l’Italia di oggi nel più grande pantano di illegalità della sua storia. Lo dicono i numeri dell’evasione fiscale e quelli del fatturato delle mafie. Che da soli bastano a eguagliare e a risolvere il debito dello stato italiano. Applauditisimo ancora Giulietto Chiesa: «L’economia oligarchica trova nell’immaginario dei media e nell’intrattenimento il suo volano. È qui che bisogna agire. E basta con Vespa...».
E poi Travaglio: «No ai riciclati politici che arrivano a frotte». E Tranfaglia: «Anche l’offensiva sulla storia in Tv è stata regime»». Infine la solita domanda: conta la Tv? Certo, è decisiva. Lì nacque Forza Italia. Lì si aggrega «regime». Che non è mai - precisa Tranfaglia - blocco ermetico. Ma tendenza strisciante alla dittatura della maggioranza. Dalla quale si può uscire - dice Chiesa - «laddove ci sono partiti, sindacati, movimenti di opinione». E le forze che in Italia non hanno mollato su «anomalia Berlusconi» e democrazia a rischio. Alla fine una battuta augurale di Sabina Guzzanti riassume bene il concetto: «Usiamo la lezione Berlusconi per diventare davvero un paese libero».