L’Italia avviata verso il declino. Imprese e famiglie in affanno come mai era accaduto
di Bianca Di Giovanni
«La maggioranza, che ha il mandato di governare, governa». Parole sante quelle del premier nell’Aula di Palazzo Madama. Peccato che in fatto di politica economica di governo se ne sia visto davvero poco. Una latitanza che dopo 4 anni consegna un Paese al disastro: economia reale sempre più fragile, finanza pubblica fuori controllo e finanza privata vittima di scandali e giochi truccati. Altro che orgoglio del cammino fatto, altro che «anni più difficili della storia recente», altro che «burrasca dell’11 settembre». Alla crisi repentina e inattesa innescata dall’attentato alle due Torri non crede neanche l’ex ministro Giulio Tremonti, anche se in pubblico non lo ammetterà mai. Che nel 2001 ci si trovasse di fronte a un passaggio delicato (ma non peggiore della crisi finanziaria della Russia di qualche anno prima) lo dicevano i numeri dell’economia Usa già da mesi. Soltanto i «berluscones» mostravano (o fingevano) di non crederci, evocando favolistici miracoli da realizzare grazie alla liberazione degli animal spirits del capitalismo nostrano. Bastano due nomi (con doverosi distinguo tra i due): Antonio Fazio e Antonio D’Amato.
I numeri del declino I miracoli non sono mai arrivati. In compenso il declino, già innescato da un paio di decenni, è letteralmente esploso. La produzione industriale, è calata costantemente dal 2001 al 2004. I posti di lavoro complessivi sono passati da 21 milioni e 604mila del 2001 a 22milioni 404mila del 2004 (dati Istat): 800mila unità in più. Una crescita dal ritmo molto più lento di quello degli anni precedenti. E non solo: il monte ore lavorato è rimasto lo stesso. Segno che più persone si «dividono» lo stesso lavoro. Insomma, aumenta la precarietà. Ma il dato più preoccupante sta tutto nella bilancia commerciale. Il saldo tra importazioni e esportazioni nel 2004 diventa per la prima volta negativo: -393 milioni, dagli oltre 9 miliardi del 2001, i 7,8 dell’anno dopo e il miliardo e mezzo del 2003. Colpa della Cina? Non pare proprio: il gigante d’Oriente sta pesando oggi sui traffici mondiali, non certo due tre anni fa.
Bilancio pubblico Il deficit è in corsa verso il 3,5%. Speriamo. E sì, perché il dato potrebbe essere molto peggiore (già oltre il 4% quest’anno e verso il 6% l’anno prossimo), se Eurostat rivedrà in negativo le voci messe sotto accusa il primo marzo scorso. Gli statistici europei potrebbero decidere già oggi il loro verdetto sulla finanza creativa inaugurata da Tremonti e da Domenico Siniscalco. Si saprà di più con la Trimestrale di cassa, che il Tesoro aveva annunciato per questa settimana ma che la crisi ha rinviato alla prossima. Forse. Dubbi pesanti anche sul debito, tenuto sotto controllo finora con operazioni finanziarie non ripetibili. Le agenzie di rating hanno già acceso i riflettori sui conti italiani. Le casse languono, ma il centro-destra continua a promettere sgravi fiscali. A fronte di una quota di 200 miliardi annui che sfuggono all’imposizione fiscale. In media un mancato gettito per circa 40 miliardi, una Finanziaria pesante.
Le imprese Nel 2000 ancora 31 società italiane comparivano nelle classifiche «global mille» sulla grandezza delle imprese. Nell’estate del 2004 quel numero si era ridotto a 23. Tra i primi italiani la Edison (chissà se sarà ancora italiana), Luxottica, Fiat (chissà se avrà mentenuto la sua quotazione) e Finmeccanica. Ma il drappello delle «top» cala da posizioni attorno al 650esimo posto a oltre l’800 nel 2004. La quota italiana sull’export mondiale era al 4% 5 anni fa, oggi è al 3%. Sul mercato europeo dell’auto la quota italiana si è dimezzata in 10-12 anni. Colpa del governo di centro-destra? Non solo, certo. Sta di fatto che in Francia si è risposto alle crisi favorendo accordi internazionali (quando si «sposerà» Alitalia?) e concentrazioni. Da noi nulla.
Lavoratori Il governo di centro-destra si è occupato molto di loro: per diminuirne i diritti e anche le condizioni economiche. Ma il braccio di ferro con i sindacati alla fine è risultato perdente. La riforma Maroni (chiamata Biagi dal governo) non ha fatto altro che aumentare le tipologie di contratti già varati dal «pacchetto» Treu. Un po’ poco per definirla riforma. Gli effetti sono devastanti. «Uno dei drammi è che la precarietà è aumentata molto di più che in Francia e in germania - osserva l’economista Luciano Gallino - In una situazione di salari fermi in termini reali e di redistribuzione del reddito peggiorata». Il costo del lavoro un problema per le imprese esportatrici? Solo in Italia. «La Germania, che è il primo Paese esportatore al mondo - osserva Gallino - ha un costo del lavoro tra il 20 e il 40% più alto che in Italia».
L’altra riforma vantata dal centro-destra è quella sulle pensioni, i cui effetti sono tutti da verificare. Per il momento una sola cosa è certa: almeno la metà dei giovani di oggi potranno attendersi una pensione pari al 30% del salario medio, cioè di 350 euro mensili (dato Inpdap). E i giovani dovranno pagare l’affitto degli uffici pubblici, venduti da Tremonti, e i pedaggi sulle strade statali, vendute da Siniscalco. È l’eredità lasciata da Berlusconi.
se berlusconi ride bondi inneggia aulicamente.
"la veritá vi renderá liberi" perché questa frase suona familiare...?
leggete al sito:
http://www.forza-italia.it/notizie/pol_6468.htm
Ma al funerale dei suoi parenti oltre a ridere racconta anche le barzellette?
Ma se rideva anche ieri sera dopo alla premiazione del Liverpool........