I girotondi: D’Alema? Meglio tardi che mai
di Simone Collini
ROMA Riconoscimento tardivo, forse anche parziale, ma comunque ben accetto. I protagonisti della cosiddetta «primavera dei movimenti» commentano così la frase pronunciata l’altro ieri da Massimo D’Alema, che a un’iniziativa organizzata dal quotidiano web AprileOnLine aveva detto: «Se quella sera a piazza Navona Nanni Moretti non ci avesse detto andate via, forse non avremmo avuto la frustata per reagire alla sconfitta». Ritengono sia invece sbagliato il giudizio dato dal presidente dei Ds sull’«antiberlusconismo, un radicalismo piccolo borghese estraneo alla sinistra».
Tre anni fa inventarono la marcia dei professori a Firenze, i Girotondi a Milano, poi a Roma, e poi via via di manifestazione in manifestazione si ritrovarono in un milione a piazza San Giovanni. Oggi, parlano delle loro creature inesorabilmente al passato: «Il nostro non era radicalismo, ma intransigenza», spiega la romana Silvia Bonucci. «I Girotondi non rappresentavano soltanto l’ala radicale», aggiunge la milanese Daria Colombo, «ma erano un contenitore in cui si esprimevano tutti quelli, anche moderati, che volevano difendere le istituzioni». Chi più chi meno, sono tutti tornati a tempo pieno alle loro occupazioni originarie. A cominciare dallo stesso Moretti, praticamente inavvicinabile visto che è alle prese con gli ultimi ritocchi a copione e casting prima di iniziare le riprese del nuovo film, “Il caimano” (pellicola su Berlusconi, che dovrebbe uscire nel marzo prossimo e che se si va a elezioni anticipate ad ottobre rischia di perdere parte della sua finalità).
Chi oggi continua a dedicare parte del tempo libero alle iniziative politiche, lo fa soprattutto contro la riforma della Costituzione portata avanti dalla Casa delle libertà. “Pancho” Pardi è uno di questi, e delle parole di D’Alema dice: «Il riconoscimento a Moretti arriva dopo tre anni, ma non è questo il problema, perché è comunque bene accetto. Il problema è che è stato compensato dal seguito del discorso di D’Alema, e cioè che il centrosinistra non ha perso, nel 2001, perché è stato troppo morbido con il centrodestra, ma perché non ha dato risposte alla domanda di riforme proveniente dalla società. Ecco - dice il professore fiorentino - non vorrei che un governo di centrosinistra vada avanti sulla strada aperta dal Polo, proponendo un premierato magari meno assoluto di quello loro, ma pur sempre pericoloso per la difesa del quadro sostanziale della democrazia italiana».
I timori di Pardi potrebbero essere fugati se venisse assicurata ai rappresentanti di movimenti e società civile la loro partecipazione alla definizione programmatica della coalizione. È un concetto che viene espresso da Daria Colombo: «Mi aspetto che la valutazione di D’Alema circa il contributo dato da Moretti si ripercuota sull’agire politico. Se è vero che si vince con la gente, con i movimenti, si deve tener conto di loro anche nella stesura del programma e poi nella futura azione di governo». Chi si dice alquanto scettica su questo punto, però, è Silvia Bonucci: «Saremmo ben contenti di poter dare una mano, ma questa è un’intenzione che i partiti non esprimono più da tempo». La girotondina romana era in sala (su un barcone sul Tevere non lontano da piazza Navona) quando D’Alema ha pronunciato quelle parole, e l’impressione complessiva che ne ha ricavato è che il presidente della Quercia «non ha cambiato minimamente le sue posizioni». Che poi è quello che lo stesso D’Alema ha rivendicato durante il colloquio con Lidia Ravera e con il direttore di AprileOnLine Aldo Garzia. «C’è stato un riconoscimento nei confronti di un gesto fatto da un individuo in un singolo giorno», dice la Bonucci. «Ma nessun riconoscimento c’è stato per i movimenti, come soggetto collettivo che è sbagliato ridurre alla sola sinistra radicale, e che veniva guardato con diffidenza quando sulla Costituzione e sulle televisioni esprimeva posizioni che oggi vengono espresse dallo stesso Prodi».