Bruce Pavarotti
di Toni Jop
Non eravamo noi che attribuivamo l’ostracismo istituzionale nei confronti del rock a un codinismo fesso e cieco? Eccoci a fare i conti con la fine di quella provinciale diffidenza e con il conseguente ingresso della macchina del rock nei circuiti di serie A, quelli ai quali il sistema dedica le sue migliori attenzioni e i suoi investimenti. Il primo risultato di questa mutazione epocale è la drastica esclusione dei ragazzini dai concerti dei maestri del rock , e di tutti coloro che, in questa società che si vanta del suo precariato non hanno i mezzi per pagarsi un biglietto costoso come un palchetto della Scala. Così, restano fuori dalla porta proprio quei soggetti ai quali il rock - quando non degenera in frattaglie industriali - si rivolge da sempre: i deboli, gli oppressi, gli esclusi, i non rappresentati, i senza potere. C’è stato un tempo non lontano in cui il rock se non era vietato in tv poco ci mancava. Per apparire doveva travestirsi di eccellenza, mascherare la sua sostanziale intrattabilità con una stravaganza socialmente accettabile. In quel tempo, il rock, nudo e crudo, stava di casa non solo ma soprattutto, nelle feste dell’Unità. In quei piazzali, sotto quelle bandiere rosse, questa meravigliosa musica conservava il suo antagonismo mentre, assieme a quelle bandiere, costruiva con pazienza la storia di una cultura che al sistema non era gradita. A dire il vero, non era gradita neppure a una bella quantità di compagni che avevano in odio il «rumore» del rock e sognavano mazurke e liscio. Nessuna nostalgia di quell’ordine binario, ma nostalgia di un luogo che consegnava al rock il suo pubblico, quello giusto, questo sì. Il rock, non ce lo inventiamo noi, non è solo la musica, il palco, l’artista; il rock c’è quando c’è il pubblico, quel pubblico. Ci ricordiamo di quel sontuoso funerale celebrato da Paul McCartney un paio d’anni fa dentro le mura del Colosseo: il primo a pagare le conseguenze di un ridicolo snaturamento del pubblico cici-cocò sintetizzato per l’occasione fu proprio McCartney che suonò male, cantò caramelloso e, nel complesso, sfiorò la pornografia. Ora, Springsteen inventa, con i prezzi di quei biglietti, una variazione sul tema e dice: vengano al mio concerto solo quelli che sono disposti a quasi tutto pur di vedermi. È una ipotesi di lavoro che sta tutta dentro la deriva della musica di oggi: ogni musica corrisponde a una tribù e ciascuna tribù celebra i suoi riti, prestigiosi - si fa per dire - ed esclusivi. E poi, in fondo, i ragazzini che a noi sembrano esclusi se ne stanno volentieri fuori gioco perché la loro musica è altra rispetto a quella offerta, per esempio, dal Boss e tutti sono contenti. No, non ci crediamo. Ci sembra pericolosa questa comunicazione privatissima e adorante messa in scena da biglietti che costano 100 euro. È una questione politica che questo rock ormai adulto non può non affrontare.
La cosa che mi fa specie è che per il SOLO diritto di prevendita di un biglietto di Springsteen paghi come un biglietto dei Subsonica. Ora, tralasciando gusti, differenze, fama, etc (anche se io rispetto molto quei gruppi che fanno un refrain in due battute da 7/4 seguito da un 6/4 ;-) mi sembra il giocattolo non solo sia rotto, sia proprio da buttare....
Aggiungo la segnalazione
http://www.beppegrillo.it/archives/2005/04/ma_bruce_spring.html
Meditiamo insieme, gente, meditiamo ...
già il bruce quyando mi ha lodato gli u2 alla rock and roll wall of fame mi è scaduto... un conto è che io, per pura perversione, ascolti gli u2, un conto è che lui dica bene di loro che gli devono troppo. Ah! bruce bruce!
non mi sembra che gli U2 debbano qualcosa a Springsteen, sia per testi, sia per musica. le loro radici sono altrove, patti smith, television etc.
hai ragione, gli U2 non devono nulla a Springsteen. Sopratuttto se ci si ascoltano i loro primi album. Forse solo l'irlanda li accomuna: Springsteen è per parte di padre di origine irlandese.
Detto questo non capisco che c'entra Patty Smith con gli U2. E francamente anche su television ho qualche dubbio. I primi album degli U2, October e Boy sono un'assoluta novità: un mix di new wave, punk, e sound anni ottanta. Difficilissmo da catalogare. In quello fu (poi si fermò dopo "unforgettable fire") la loro straordinaria novità e irripetibilità.
scusate per l'OT.
Ok, penso però che l'irlanda centri poco con Bruce. In quanto agli U2, è ammissione degli stessi che il punk new yorkese fu il loro punto di partenza. In un'intervista a Rolling Stone dell'epoca di Ruttle and Hum, Bono disse di non avere mai ascoltato dischi precedenti al 76, e che aveva iniziato da poco a colmare le sue lacune musicali, per la precisione da una famosa serata con Keith Richards e Bob Dylan passata a suonare blues dei maestri neri. Ovviamente Bono era un emarginato in quell'occasione!
Comunque concordo in pieno per i primi quattro dischi (UF è il mio preferito ad oggi), anche se dire che il loro suono è "un mix di new wave, punk, e sound anni ottanta" è come dire che i Beatles sono un mix di beat, rock'n'roll e sound anni sessanta: ad ognuno la sua collocazione nel calendario.