Fine corsa
di David Bidussa
Alla fine le vittime pagano. Per una strana sorte nella lunga parabola (36 anni dall'evento) sembra che la vicenda di Piazza Fontana sia davvero chiusa. Nessuno se la sente di dire che "giustizia è fatta". Sono passati 36 anni, ci sono stati 11 processi, di cui quattro approdati in Cassazione, 13 imputati principali e innumerevoli colpi di scena perché si possa capire che cosa sia successo davvero allora e in tutti questi anni. Una cosa è certa: dopo 36 anni siamo senza un risultato, anzi con un risultato agghiacciante: non ci sono colpevoli. In compenso ci sono le vittime che devono risarcire coloro che ora sono assolti. Alle volte la realtà è più creativa della più scoppiettante fantasia.
Ieri il meridiano della storia italiana è sembrato tornato indietro. Ci separano da Piazza Fontana almeno due generazioni di italiani e almeno cinque di politici (l'"Italia del centrosinistra, quella "da bere", quella di Tangentopoli; quella della società civile indignata e quella attuale). Era l'Italia di Rumor, del presidente Saragat, delle manifestazioni per le 40 ore settimanali, e la lunga stagione del '68 italiano. Improvvisamente ciò di cui ognuno prese atto era la fine di una "vacanza". Qualcosa nel meccanismo che pure non era stato indolore, ma che aveva permesso la Ricostruzione e poi il boom economico, si era definitivamente rotto.
Alle 16.40 del 12 dicembre 1969 (un venerdì) il tempo della storia italiana è cambiato.
Per anni avremmo avuto molte versioni di quella storia. Noi italiani avremmo familiarizzato con molti nomi: il primo, quello di Pietro Valpreda, evocava lunghe e consolidate paure. Era la paura per l'anarchico (qualcosa che nell'immaginario pubblico sembrava un individuo con il coltello fra i denti molto simile ai pirati prodotti dalla fantasia di Salgari). Poi sarebbero venuti quelli di Franco Freda e Giovanni Ventura due strane figure, legate al neofascismo, che lungo l'asse tra Padova e Treviso avrebbero aperto la pista di una controstoria italiana segnata da molti non detti, dai "non so", "non ricordo", comunque dagli "omnissis". Improvvisamente scoprivamo un Veneto diverso da quello che avevamo visto in fuga e disperato vagare lungo il Polesine o correre per rintracciare le proprie cose lungo la piana del Vajont. Non era più il Veneto dei poveri, era l'Italia del sommerso che veniva fuori.
Ci sarebbero stati molti processi per tentare di dipanare quella lunga storia e quella profonda vicenda che sembrava portasse molto indietro da quel dicembre 1969 (almeno fino all'inizio degli anni '60) e spesso anche molto lontano con diramazioni che puntavano verso la Spagna, poi verso l'America Latina.
Dopo il lungo dopoguerra diventavamo un "Paese mondo", ma era un mondo poco attraente: dentro stavano le lunghe continuità di un'Italia che era uscita - soprattutto nei suoi apparati istituzionali - senza sostanziali modifiche o ristrutturazioni dal ventennio fascista; si profilavano commistioni tra nostalgici e neoentusiasti dei regimi forti, nonché il fascino per il colpo di stato della Grecia dei Colonnelli nell'aprile 1967 (un sistema di tortura che sarebbe crollato solo nell'estate 1974).
Piazza Fontana con i suoi sedici morti, i 50 feriti, i testimoni che parlavano e poi ritrattavano, era ancora lì ogni tanto a riemergere in processi sempre più incomprensibili - e soprattutto sempre più lontani in sedi disagiate - dove gli indagati sparivano, e uniche presenze costanti rimanevano i familiari delle vittime, in attesa che si compisse una giustizia, che si fuoriuscisse da una condizione di mistero, che si trovasse prima ancora di un perché, un chi e soprattutto un come.
Dopo l'ultima scena dell'ultimo atto scritto ieri si potrebbe dire che Piazza Fontana esce dalla cronaca ed entra nella lunga galleria dei misteri italiani. Potrebbe essere consolatorio prendere atto di questo passaggio. Ma non è così. Perché Piazza Fontana non è mai entrata nella cronaca, ma è stata un atto che si è codificato nella memoria collettiva come mistero.
Nella storia recente americana tutti coloro che erano coscienti a se stessi sanno dove erano il 22 novembre 1963 nella tarda mattinata. L'assassinio di J. F.Kennedy è uno spartiacque del loro vissuto interiore.
Così è Piazza Fontana per noi. Nel nostro immaginario collettivo la storia italiana si divide tra un prima e un dopo. Uno spartiacque è proprio quel 12 dicembre. Come gli americani nemmeno noi sappiamo molto di quel che accadde quel pomeriggio di dicembre 1969 in una piazza dietro il duomo di Milano a pochi passi dalla Statale e a 50 metri dall'Arcivescovado. Ma lì abbiamo collettivamente perduto l'innocenza. Dopo, con gli sforzi di alcuni, abbiamo cercato di capire che cosa era accaduto e quale lunga catena si originava da lì sotto il nome di "strategia della tensione".
La storia italiana di circa 15 anni - almeno fino alla strage del 23 dicembre 1984 - rimane ancora non spiegata. Ieri qualcuno ci ha detto che è inutile cercare. L'inchiesta è finita. Ma le risposte non ci sono.