Serve la corsa al centro?
di GLORIA BUFFO
Dove vanno i riformisti Italiani? Non è un domanda oziosa. Se si accostano le prese di posizione di queste settimane sull’uso della forza, l’amministrazione Bush, il papato di Ratzinger, la flessibilità nel lavoro, i diritti degli omosessuali e persino la fecondazione assistita l’opzione moderata e la torsione verso il centro emergono con chiarezza e si accentuano. Tanto è vero che Blair, vincitore delle elezioni ma fortemente ridimensionato in seggi e consensi, è citato ad ogni piè sospinto. Altrettanto frequentemente si prendono le distanze da Zapatero, nitido nel rispettare le promesse sul ritiro dei soldati dall’Iraq, e altrettanto nel distinguere il ruolo della legge da quello della chiesa.
A questo punto è giusto chiedersi se questa corsa al centro è ciò che occorre per vincere le elezioni politiche e soprattutto se l’impianto blairiano al governo è ciò che ci chiede l’Italia di oggi. È vero che il vento di liberazione da Berlusconi che ha soffiato sul voto regionale è potente e non guarda per ora tanto per il sottile. Ma se vinceremo lo farà e temo saranno guai. Guai che si intravedono già ora quando al centrosinistra viene chiesto che scelte farà una volta al governo. Il problema tocca questioni di primordine. A partire dalla flessibilità: è giusto che si sappia se il centrosinistra, una volta al governo si propone di ridurre la flessibilità del lavoro o – come dicono ormai molti riformisti – si impegna soltanto a predisporre un sistema di ammortizzatori sociali in modo che l’inevitabile flessibilità non si traduca sempre e tout court in precarietà. La differenza è molto consistente in termini di politiche del lavoro e politiche sociali e ancor di più in termini di esito sulla vita di milioni di persone. Noi non sappiamo ad oggi quale sarà la scelta. Per ora si registrano le differenti posizioni sulla legge 30.
Ancora più rilevanti sono i dubbi su ciò che il centrosinistra sosterrà a proposito di politica internazionale. È di grande peso quanto ha sostenuto D’Alema al recente e solenne seminario della Fondazione Italiani Europei: ovvero che la democrazia può, a certe condizioni, essere esportata con il ricorso alla forza. E che l’amministrazione Bush, pur compiendo scelte sbagliate, ha posto tuttavia una questione giusta: il vecchio rispetto per la sovranità nazionale non può, per il presidente dei Ds, essere un valore assoluto.
Fassino, coerentemente con questa impostazione, ha riconosciuto i meriti dell’attuale leadership statunitense: questa, a differenza di altre che nel passato si ispiravano ad una cinica real-politik, secondo il segretario dei Ds, fa della democrazia un principio non negoziabile. Il fatto politico è che tutti insieme siamo stati contrari alla guerra in Iraq e tuttavia i giudizi sulla situazione internazionale e il ruolo dell’amministrazione Bush sono profondamente differenti. In omaggio ad un’idea tradizionale e “atlantica a priori” della geografia politica internazionale, Fassino, D’Alema, i riformisti della coalizione rinunciano a vedere la politica imperiale in atto, faticano a indicare la strada di un altro ordine mondiale, non mettono al centro la scelta del disarmo. E per questo chiedono il ritiro delle truppe italiane dall’Iraq con molti “se” e molti “ma”.
Le critiche al gollismo dello Chirac che si è opposto alla guerra in Iraq, la freddezza verso Zapatero, le lodi a Blair, sono d’altronde coerenti con questo impianto. Niente di male a pensarla diversamente, solo che questa differenza è strategica e non corre lungo i confini dei partiti: nei Ds a pensarla diversamente dai nostri due dirigenti più importanti sono in moltissimi. Il richiamo di D’Alema all’enfasi concessa dalla stampa alle posizioni diverse dalle sue non dà conto della vera geografia di posizioni nell’Unione.
Questa accelerazione dei riformisti verso posizioni moderate diventa incandescente non solo per il futuro del governo ma anche per la vicenda politica italiana. Chi sterza più decisamente verso posizioni di centro vuole anche fare dei Ds, della Margherita e dello Sdi un unico soggetto politico che si distingua da altri esattamente su questi punti: la flessibilità del lavoro, la politica internazionale, le privatizzazioni… ovvero questioni su cui perdemmo le elezioni del 2001 e su cui l’elettorato, una volta sgombrato il campo da Berlusconi, sarà critico ed esigente.
Siamo dunque in presenza di nodi cruciali: che non si risolveranno riunendo Prodi, Fassino, Rutelli, Mastella, Bertinotti. Non sono decisioni da prendere in sei o sette. Sarebbe la strada peggiore, destinata a registrare il fallimento della coalizione. Dove sarebbe rappresentato chi sta nei Ds ma non la pensa come Blair e D’Alema sull’uso della forza o come Fassino sulla flessibilità del lavoro? Dove potrebbero oggi dire la loro tanti elettori, iscritti ai partiti, attivisti dei movimenti? Sarà meglio scoprire tutte le carte dell’Unione adesso o i nodi verranno al pettine dolorosamente sulle questioni sociali, come sulle materie internazionali prima di quanto non si creda. E sarà bene non forzare sul soggetto unico, prospettiva che finora ha dato fiato nell’Unione alle forze che al centro ci stanno già.
PS
Sono rimasta, forse non da sola, molto impressionata dalle prese di posizione, mentre si decide il programma, di tanti esponenti della sinistra sul nuovo Papa e, a seguire, sulla fecondazione assistita. In più di un intervista (Vendola, Fassino, Turco) ho letto o ascoltato giudizi favorevoli alla critica di Ratzinger al relativismo culturale. Accompagnati dalla considerazione che un Papa dal pensiero forte costringerà tutti a cimentarsi con impegno sui valori fondativi.
C’è da sperare che non sia la scelta di un pontefice anziché di un altro a calibrare l’impegno morale e intellettuale della cultura e della politica sulle domande di fondo del nostro tempo. Ma, detto ciò, com’è possibile fare un’apertura di credito a una polemica antirelativistica che condanna accomunandoli senza distinzioni l’illuminismo, il liberalismo, il collettivismo? Com’è possibile cimentarsi davvero con i problemi aperti della modernità scambiando questa corposa posizione fondamentalista con la critica del pensiero debole?
E poi, scusate, si può simpatizzare con chi critica il relativismo, arrivare ad apprezzare persino il punto tenuto da Bush sulla “democrazia come valore” senza rendere esplicito dove si colloca per noi il valore della vita umana? Quante vite stroncate può valere l’esportazione del valore assoluto della democrazia? E a proposito di precarietà, la dignità di chi lavora è un valore assoluto o “relativo”?
Speriamo che la discussione migliori, o temo che saremo travolti insieme a questi fragili ragionamenti.
C’è da sperare che sul referendum sulla fecondazione assistita - cimento concreto dell’incontro tra vita reale e valori - impegneremo tutta la nostra forza. Caro D’Alema, ho letto che hai dei dubbi sulla fecondazione eterologa e che non saresti contrario a consentirla solo in caso di malformazioni del feto. Noi ci siamo battuti e ci battiamo perché anche una donna che si è dovuta sottoporre alla chemioterapia e per diventare madre abbia bisogno di un ovulo di un’altra donna, vi possa ricorrere. O perché possa diventare genitore anche chi soffre di una sterilità grave. Come vedi, i valori di libertà e responsabilità della persona e di laicità della legge sono più saggi ed umani del pensiero che assolutizza l’embrione o mette il legame di sangue prima del legame tra genitori e figli.