E Pasolini disse: siamo Tutti in Pericolo
L’ultima intervista
di Furio Colombo
Questo che pubblichiamo è il testo dell’intervista di Furio Colombo a Pier Paolo Pasolini pubblicato sull’inserto “Tuttolibri” del quotidiano “La Stampa” l’8 novembre del 1975.
Questa intervista ha avuto luogo sabato 1° novembre, fra le 4 e le 6 del pomeriggio, poche ore prima che Pasolini venisse assassinato. Voglio precisare che il titolo dell’incontro che appare in questa pagina è suo, non mio. Infatti alla fine della conversazione che spesso, come in passato, ci ha trovati con persuasioni e punti di vista diversi, gli ho chiesto se voleva dare un titolo alla sua intervista.
Ci ha pensato un po’, ha detto che non
aveva importanza, ha cambiato discorso,
poi qualcosa ci ha riportati sull’argomento
di fondo che appare continuamente
nelle risposte che seguono. «Ecco
il seme, il senso di tutto - ha detto - Tu
non sai neanche chi adesso sta pensando
di ucciderti. Metti questo titolo, se
vuoi: “Perché siamo tutti in pericolo”».
Pasolini, tu hai dato nei tuoi articoli
e nei tuoi scritti, molte versioni
di ciò che detesti. Hai aperto
una lotta, da solo, contro tante
cose, istituzioni, persuasioni,
persone, poteri. Per rendere meno
complicato il discorso io dirò
«la situazione», e tu sai che intendo
parlare della scena contro
cui, in generale ti batti. Ora ti
faccio questa obiezione. La «situazione» con tutti i mali che tu
dici, contiene tutto ciò che ti consente
di essere Pasolini. Voglio
dire: tuo è il merito e il talento.
Ma gli strumenti? Gli strumenti
sono della «situazione». Editoria,
cinema, organizzazione, persino
gli oggetti. Mettiamo che il
tuo sia un pensiero magico. Fai
un gesto e tutto scompare. Tutto
ciò che detesti. E tu? Tu non resteresti
solo e senza mezzi? Intendo
mezzi espressivi, intendo...
Sì, ho capito. Ma io non solo lo
tento, quel pensiero magico, ma ci credo.
Non in senso medianico. Ma perché
so che battendo sempre sullo stesso
chiodo può persino crollare una casa.
In piccolo un buon esempio ce lo danno
i radicali, quattro gatti che arrivano
a smuovere la coscienza di un Paese (e
tu sai che non sono sempre d’accordo
con loro, ma proprio adesso sto per
partire, per andare al loro congresso).
In grande l’esempio ce lo dà la storia. Il
rifiuto è sempre stato un gesto essenziale.
I santi, gli eremiti, ma anche gli intellettuali.
I pochi che hanno fatto la storia
sono quelli che hanno detto di no,
mica i cortigiani e gli assistenti dei cardinali.
Il rifiuto per funzionare deve
essere grande, non piccolo, totale, non
su questo o quel punto, «assurdo» non
di buon senso. Eichmann, caro mio,
aveva una quantità di buon senso. Che
cosa gli è mancato? Gli è mancato di
dire no su, in cima, al principio, quando
quel che faceva era solo ordinaria
amministrazione, burocrazia. Magari
avrà anche detto agli amici, a me quell’Himmler
non mi piace mica tanto.
Avrà mormorato, come si mormora
nelle case editrici, nei giornali, nel sottogoverno
e alla televisione. Oppure si
sarà anche ribellato perché questo o
quel treno si fermava, una volta al giorno
per i bisogni e il pane e acqua dei
deportati quando sarebbero state più
funzionali o più economiche due fermate.
Ma non ha mai inceppato la macchina.
Allora i discorsi sono tre. Qual è,
come tu dici, «la situazione», e perché
si dovrebbe fermarla o distruggerla. E
in che modo.
(...)
Che cos’è il potere, secondo
te, dove è, dove sta, come lo
stani?
Il potere è un sistema di educazione
che ci divide in soggiogati e
soggiogatori. Ma attento. Uno stesso
sistema educativo che ci forma
tutti, dalle cosiddette classi dirigenti,
giù fino ai poveri. Ecco perché
tutti vogliono le stesse cose e si comportano
nello stesso modo. Se ho
tra le mani un consiglio di amministrazione
o una manovra di Borsa
uso quella. Altrimenti una spranga.
E quando uso una spranga faccio la
mia violenza per ottenere ciò che
voglio. Perché lo voglio? Perché mi
hanno detto che è una virtù volerlo.
Io esercito il mio diritto-virtù. Sono
assassino e sono buono.
Ti hanno accusato di non distinguere
politicamente e ideologicamente,
di avere perso il segno della
differenza profonda che deve
pur esserci fra fascisti e non fascisti,
per esempio fra i giovani.
Per questo ti parlavo dell’orario ferroviario
dell’anno prima. Haimai visto
quelle marionette che fanno tanto riderei
bambini perché hanno il corpo voltato
da una parte e la testa dalla parte
opposta? Mi pare che Totò riuscisse in
un trucco del genere. Ecco io vedo così
la bella truppa di intellettuali, sociologi,
esperti e giornalisti delle intenzioni
più nobili, le cose succedono qui e la
testa guarda di là. Non dico che non c’è
il fascismo. Dico: smettete di parlarmi
del mare mentre siamo in montagna.
Questo è un paesaggio diverso. Qui c’è
la voglia di uccidere. E questa voglia ci
lega come fratelli sinistri di un fallimento
sinistro di un intero sistema sociale.
Piacerebbe anche a me se tutto si risolvesse
nell’isolare la pecora nera. Le vedo
anch’io le pecore nere. Ne vedo tante.
Le vedo tutte. Ecco il guaio, ho già
detto a Moravia: con la vita che faccio
io pago un prezzo... È come uno che
scende all’inferno. Ma quando torno -
se torno - ho visto altre cose, più cose.
Non dico che dovete credermi. Dico
che dovete sempre cambiare discorso
per non affrontare la verità.
E qual è la verità?
Mi dispiace avere usato questa parola.
Volevo dire «evidenza». Fammi
rimettere le cose in ordine. Prima tragedia:
una educazione comune, obbligatoria
e sbagliata che ci spinge tutti dentro
l’arena dell’avere tutto a tutti i costi.
In questa arena siamo spinti come
una strana e cupa armata in cui qualcuno
ha i cannoni e qualcuno ha le spranghe.
Allora una prima divisione, classica,
è «stare con i deboli». Ma io dico
che, in un certo senso tutti sono i deboli,
perché tutti sono vittime. E tutti sono
i colpevoli, perché tutti sono pronti
al gioco del massacro. Pur di avere.
L’educazione ricevuta è stata: avere,
possedere, distruggere.
Allora fammi tornare alla domanda
iniziale. Tu, magicamente
abolisci tutto. Ma tu vivi di
libri, e hai bisogno di intelligenze
che leggono. Dunque, consumatori
educati del prodotto intellettuale.
Tu fai del cinema e
hai bisogno non solo di grandi
platee disponibili (infatti hai in
genere molto successo popolare,
cioè sei «consumato» avidamente
dal tuo pubblico) ma anche di
una grande macchina tecnica, organizzativa,
industriale, che sta
in mezzo. Se togli tutto questo,
con una specie di magico monachesimo
di tipo paleo-cattolico e
neo-cinese, che cosa ti resta?
A me resta tutto, cioè me stesso,
essere vivo, essere al mondo, vedere,
lavorare, capire. Ci sono cento modi di
raccontare le storie, di ascoltare le lingue,
di riprodurre i dialetti, di fare il
teatro dei burattini. Agli altri resta molto
di più. Possono tenermi testa, colti
come me o ignoranti come me. Il mondo
diventa grande, tutto diventa nostro
e non dobbiamo usare né la Borsa,
né il consiglio di amministrazione, né
la spranga, per depredarci. Vedi, nel
mondo che molti di noi sognavano (ripeto:
leggere l’orario ferroviario dell’anno
prima, ma in questo caso diciamo
pure di tanti anni prima) c’era il padrone
turpe con il cilindro e i dollari che
gli colavano dalle tasche e la vedova
emaciata che chiedeva giustizia con i
suoi pargoli. Il bel mondo di Brecht,
insomma.
Come dire che hai nostalgia di
quel mondo.
No! Ho nostalgia della gente povera
e vera che si batteva per abbattere
quel padrone senza diventare quel padrone.
Poiché erano esclusi da tutto
nessuno li aveva colonizzati. Io ho paura
di questi negri in rivolta, uguali al
padrone, altrettanti predoni, che vogliono
tutto a qualunque costo. Questa
cupa ostinazione alla violenza totale
non lascia più vedere «di che segno
sei». Chiunque sia portato in fin di vita
all’ospedale ha più interesse - se ha ancora
un soffio di vita - in quel che gli
diranno i dottori sulla sua possibilità di
vivere che in quel che gli diranno i
poliziotti sulla meccanica del delitto.
Bada bene che io non facio né un processo
alle intenzioni né mi interessa ormai
la catena causa effetto, prima loro,
prima lui, o chi è il capo-colpevole. Mi
sembra che abbiamo definito quella
che tu chiami la «situazione». È come
quando in una città piove e si sono
ingorgati i tombini. l’acqua sale, è
un’acqua innocente, acqua piovana,
non ha né la furia del mare né la cattiveria
delle correnti di un fiume. Però, per
una ragione qualsiasi non scende ma
sale. È la stessa acqua piovana di tante
poesiole infantili e delle musichette del
«cantando sotto la pioggia». Ma sale e
ti annega. Se siamo a questo punto io
dico: non perdiamo tutto il tempo a
mettere una etichetta qui e una là. Vediamo
dove si sgorga questa maledetta
vasca, prima che restiamo tutti annegati.
E tu, per questo, vorresti tutti
pastorelli senza scuola dell’obbligo,
ignoranti e felici.
Detta così sarebbe una stupidaggine.
Ma la cosiddetta scuola dell’obbligo
fabbrica per forza gladiatori disperati.
La massa si fa più grande, come la
disperazione, come la rabbia. Mettiamo
che io abbia lanciato una boutade
(eppure non credo) Ditemi voi una altra
cosa. S’intende che rimpiango la
rivoluzione pura e diretta della gente
oppressa che ha il solo scopo di fari
libera e padrona di se stessa. S’intende
che mi immagino che possa ancora venire
un momento così nella storia italiana
e in quella del mondo. Il meglio di
quello che penso potrà anche ispirarmi
una delle mie prossime poesie. Ma non
quello che so e quello che vedo. Voglio
dire fuori dai denti: io scendo all’inferno
e so cose che non disturbano la pace
di altri. Ma state attenti. L’inferno sta
salendo da voi. È vero che sogna la sua
uniforme e la sua giustificazione (qualche
volta). Ma è anche vero che la sua
voglia, il suo bisogno di dare la sprangata,
di aggredire, di uccidere, è forte ed è
generale. Non resterà per tanto tempo
l’esperienza privata e rischiosa di chi
ha, come dire, toccato «la vita violenta». Non vi illudete. E voi siete, con la
scuola, la televisione, la pacatezza dei
vostri giornali, voi siete i grandi conservatori
di questo ordine orrendo basato
sull’idea di possedere e sull’idea di distruggere.
Beati voi che siete tutti contenti
quando potete mettere su un delitto
la sua bella etichetta. A me questa
sembra un’altra, delle tante operazioni
della cultura di massa. Non potendo
impedire che accadano certe cose, si
trova pace fabbricando scaffali.
Ma abolire deve per forza dire
creare, se non sei un distruttore
anche tu. I libri per esempio, che
fine fanno? Non voglio fare la
parte di chi si angoscia più per la
cultura che per la gente. Ma questa
gente salvata, nella tua visione
di un mondo diverso, non
può essere più primitiva (questa
è un’accusa frequente che ti viene
rivolta) e se non vogliamo usare
la repressione «più avanzata»...
Che mi fa rabbrividire.
Se non vogliamo usare frasi fatte,
una indicazione ci deve pur
essere. Per esempio, nella fantascienza,
come nel nazismo, si
bruciano sempre i libri come gesto
iniziale di sterminio. Chiuse
le scuole, chiusa la televisione,
come animi il tuo presepio?
Credo di essermi già spiegato con
Moravia. Chiudere, nel mio linguaggio,
vuol dire cambiare. Cambiare però
in modo tanto drastico e disperato
quanto drastica e disperata è la situazione.
Quello che impedisce un vero dibattito
con Moravia ma soprattutto con
Firpo, per esempio, è che sembriamo
persone che non vedono la stessa scena,
che non conoscono la stessa gente,
che non ascoltavano le stesse voci. Per
voi una cosa accade quando è cronaca,
bella, fatta, impaginata, tagliata e intitolata.
Ma cosa c’è sotto? Qui manca il
chirurgo che ha il coraggio di esaminare
il tessuto e di dire: signori, questo è
cancro, non è un fatterello benigno.
Cos’è il cancro? È una cosa che cambia
tutte le cellule, che le fa crescere tutte
in modo pazzesco, fuori da qualsiasi
logica precedente. È un nostalgico il
malato che sogna la salute che aveva
prima, anche se prima era uno stupido
e un disgraziato? Prima del cancro, dico.
Ecco prima di tutto bisognerà fare
non solo quale sforzo per avere la stessa
immagine. Io ascolto i politici con le
loro formulette, tutti i politici e divento
pazzo. Non sanno di che Paese stanno
parlando, sono lontani come la Luna.
E i letterati. E i sociologi. E gli esperti
di tutti i generi.
Perché pensi che per te certe cose
siano talmente più chiare?
Non vorrei parlare più di me, forse
ho detto fin troppo. Lo sanno tutti che
io le mie esperienze le pago di persona.
Ma ci sono anche i miei libri e i miei
film. Forse sono io che sbaglio. Ma io
continuo a dire che siamo tutti in pericolo.
Pasolini, se tu vedi la vita così -
non so se accetti questa domanda
- come pensi di evitare il pericolo
e il rischio?
È diventato tardi, Pasolini non ha
acceso la luce e diventa difficile prendere
appunti. Rivediamo insieme i miei. Poi
lui mi chiede di lasciargli le domande.
«Ci sono punti che mi sembrano un
po’ troppo assoluti. Fammi pensare,
fammeli rivedere. E poi dammi il tempo
di trovare una conclusione. Ho una
cosa in mente per rispondere alla tua
domanda. Per me è più facile scrivere
che parlare. Ti lascio le note che aggiungo
per domani mattina».
Il giorno dopo,
domenica, il corpo senza vita di
Pier Paolo Pasolini era all’obitorio della
polizia di Roma.
Renzo Pasolini era un grande pilota motociclistico degli anni '60 e '70, rivale dell'altro grande Agostini ("Ago" e "Paso").
Lapsus freudiano, il mitico Paso, di umili origini, vero pilota di sinistra, romagnolo e militante, era il mio idolo di ragazzino. Quando batteva l'odioso bergamasco bello e ricco era una pacchia. Anche lui morì prematuramente, ahimè.
alberto, ti faccio e vi faccio un po' a tutti una domanda provocatoria (e un po' off topi, ma solo un po', prometto): a fronte di quanto dice in questa intervista, sofferta dura e molto, temo, poco capita allora (ma io ero un bimbo putroppo ancora troppo piccolo e quindi non posso saperlo direttamente), pensate che oggi Pasolini comprerebbe L'Unità?
e chi lo sa?
magari a forza di essere avanti a tutti di avrebbe doppiato, magari sarebbe diventato di destra, chi lo sa?
del resto sono anni che penso ad un paragone Pasolini - Guareschi, cantori paralleli della morte della civilta' contadina.
Pasolini è stato qualcosa di unico, in un paese come l'italia. Qualcosa di difficile d'assemblare anche ad anni di distanza. la sua morte mi ha sempre lasciato l'idea (a me che, ripeto, all'epoca avevo solo 3 anni) che ciò che è stato ucciso di lui sia stato in realtà l'intellettuale. Mi spiego meglio: l'intellettuale dà sempre fastidio. Vien guardato con diffidenza, sempre. E' come se facesse sentire una soglia tra se e gli altri. Ma questa la sentono solo gli altri: si sentono come dire discriminati. E il paradosso in un intellettuale come Pasolini è che lui predicava, come in questa interivista, un ritorno alla primitività. Alla semplicità. No, invece l'intellettuale è odiato, discriminato, percepito come una sofisiticheria anomala, un "diverso". "Fetuso comnusita" pare gli abbian detto, massacrandolo di botte (o, almeno così dice Pelosi) . E non mi è difficile cerede che sia stato ammazzato per fastidio, per puro bisogno di levarsi di torno un intellettuale, gay, anomalo, non amato troppo nemmeno dai comunisti. Insomma un vero, autentico itnellettuale. Come, ahimè, in Italia io, poco più che trentenne, non ho mai auvto l afortuna di conoscere. Mi sarebbe piaciuto, penso che in un certo senso in molti, della mia generazioni, si sarebbero meritati qualcosa di meglio, un intellettuale vero, come era lui. Oggi restano "solo" i libri, i film, le poesie, gli scritti corsari. Cioè in realtà, forse, a pensarci bene tutto. Però, ecco l'uomo in carne ed ossa, quello no. E l'uomo, l'intellettuale nella sua persona fisica, è imporntanta. pasolini stesso scrisse veri strali contro le vere e proprie modificazioni somatiche dei giovani di allora. Lo si legge anche in questa sofferta, ripeto, intervista. Echeccazzo, mi spiace non averlo conosciuto. Perché non so mai a chi cazzo rivoglermi quando penso certe cose.
Secondo me l'Unità di oggi non l'avrebbe comprata, quella di qualche mese fa - tosta, radicale e indipendente - sì.
"È un nostalgico il malato che sogna la salute che aveva prima, anche se prima era uno stupido e un disgraziato? Prima del cancro, dico"
Questa "immagine" è spettacolare.
Ho sempre molto ammirato Pasolini per il fatto che ha sempre detto ciò che credeva davvero, senza filtri politici o ideologici.
Ricordo la sua discussione con Calvino ai tempi dei fatti del Circeo.
Ricordo il suo rancore nei confronti di Calvino quando questi definì Izzo e combriccola: Fascisti.
Pasolini si oppose fortemente a questa interpretazione della realtà, a questo luogo comune tipico della sinistra di trovare capri espiatori nei "borghesi", "Roma", i "neofascisti".
Ma Pasolini era avanti a tutti, sia culturalmente che intellettualmente; essere "di sinistra" o "di destra" erano etichette che non gli appartenevano e traspare anche da questa intervista.
Solo quelli più piccoli di lui non lo hanno capito...praticamente tutti noi.
più di tutto mi ha colpito questa frase: "Il rifiuto è sempre stato un gesto essenziale".
si tratta delle fondamenta di una persona decente.
quando ero piccolo era abituato a sentir parlare, e quindi a pensare, di pasolini come di una specie di reietto, di persona scomoda e da non invitare a casa propria, una presenza troppo ingombrante per potersi rilassare con amici e parenti. poi però mi capitava di incontrare le sue cose ("uccellacci e uccellini" lo ricordo come un fantastico sogno ubriaco, ed ero ancora troppo "bravo bambino", lo vedevo come una favola tipo fantaghirò) e non riuscivo a mettere insieme le due cose: quella bella sensazione e lo sparlare di pasolini. poi ho capito che gli adulti sono dei poveri disgraziati, non i giganti delle favole.
tornando al rifiuto: è alla base di ciò che faccio. può darsi che me l'abbia insegnato lui, ma non saprei dirlo. ne ho il sospetto.
signori, siate un po' piu' critici nei confronti di PPP, gli renderete meglio giustizia.
rotafixa, ti ha colpito "essenziale", intendo il termine, o no?
Io fatico a esser critico, berja, per un motivo molto semplice: vedo in lui tutto quello che manca oggi e che vorrei qui in carne ed ossa.
Se proprio ci devo provare, sono rcitico nei confronti dei film. Salò a parte, che merita un discorso a sé, il resto non mi ha mai fatto impazzire. Faticavo troppo ad accettare la povertà di esecuzione e gli attori di strada. Il vangelo secondo Matteo è molto bello, però anche lì mi si ripresentava la stessa difficoltà. Se ci penso però è coerente tale difficoltà con tutto il Pasolini pensiero. E cioè proprio ciò che mi piace negli scritti e nelle prese di posizione.
essenziale è un valore: sì, quello. e rifiuto come mezzo per proporre, che è un concetto impossibile da spiegare agli adepti del "laurà" (me ne sono accorto molte volte e faccio ancora finta di non crederci).
pasolini non è un santo, ringraziando la sorte che ce l'ha dato; e quindi criticabile. ma proprio bisogna farlo? ha più meriti che demeriti.