Soccorso rotto
di Marco Tavaglio
Appena il Cavalier Bellachioma fa passare due o tre giorni senza far rimpiangere Al Capone, subito dalle parti dell'opposizione si dimentica chi è e cos'ha fatto in questi undici anni, e si diffonde una gran voglia di dialogare con lui. O, meglio ancora, di dargli una mano. Anche perché, da quelle parti, c'è un assembramento di consiglieri che non ne hanno mai azzeccata una e dunque insegnano agli altri come si vive e si vince.
Primo: visto che Blair trascina il Labour al minimo storico e il suo stesso partito gli intima lo sfratto entro un anno, bisogna seguire il modello Blair.
Secondo: siccome l'Iraq è un cimitero quotidiano e gli angloamericani studiano una «exit strategy», cioè come scappare al più presto, occorre evitare di chiedere il ritiro delle truppe italiane, e anzi elogiare l'idea geniale di esportare la democrazia con la forza, possibilmente - come ha notato Prodi - consentendo a Calderoli e a Martino di scavalcare a sinistra l'opposizione.
Terzo: essendo Bellicapelli in crisi con gli Usa per il caso Calipari, sostenere Bellicapelli in nome dell'antiamericanismo, anche se le frottole della versione italiana (per esempio, sul riscatto) superano di gran lunga quelle del rapporto americano.
Quarto: visto che i pugliesi han votato Vendola perché non ne potevano più dei vecchi ras all'ombra di Raffaele Fitto, evitare segnali di discontinuità nella nuova giunta del centrosinistra, scaricando i Comunisti italiani e imbarcando alla Sanità un ex assessore socialista che, come primo atto, getta a mare il programma elettorale e promette ancora ticket e ancora tagli dei posti letto.
Quinto: visto che il governo si sputtana tentando di salvare i bancarottieri, è bene che anche la sinistra si schieri in difesa dei bancarottieri, per consentire alla Cdl di dire che «erano d'accordo anche esponenti della sinistra». Si segnala, a questo proposito, un fondamentale editoriale sul "Riformista" del vicedirettore Oscar Giannino, che invita a non retrocedere sul salva-Tanzi e a mantenere gli sconti di pena con prescrizione assicurata, in nome di una «visione d'impresa liberale e liberista» contro il «giustizialismo».
Sesto: visto che nella Banda Bellachioma si stanno scannando per il nuovo vertice Rai, è bene dar loro una mano offrendo disponibilità sulla conferma di Cattaneo o sul ritorno di Saccà, in cambio della presidenza (idea lanciata dal solito Riformista) a Claudio Petruccioli, detto Cuor di Leone per la strenua difesa dei censurati Biagi, Santoro, Luttazzi, Guzzanti, Fini, Beha, Hendel & C. Magari (ma qui si oppone persino il Riformista) con un accordo blindato che perpetui il duo per tre anni, cosicché i partiti tengano le grinfie sulla Rai vita natural durante. Ad abundantiam, visto che Berlusconi ha perso le regionali e fa quasi tenerezza, la linea è che «le tv non contano» (come deducono acutamente Pigi Cerchiobattista e Lucia Annunziata). Ergo non sarebbe male conservare la Gasparri e la Frattini sul conflitto d'interessi, per evitare «misure punitive». Fondamentale poi evitare parolacce come «antitrust» o «conflitto d'interessi», gravi sintomi di radicalismo e penuria di riformismo. Molto meglio concentrarsi sulla privatizzazione della Rai, così da mettere sul mercato altre tv e consentire al Cavaliere (o chi per lui) nuovi investimenti. Un noto sovversivo come l'avvocato Franzo Grande Stevens, l'altro giorno, osservava che il conflitto d'interessi si porrebbe se Berlusconi fosse il «mero fattorino» di Mediaset. Invece è solo «mero proprietario», che sarà mai.
In questa gran voglia di «dialogo», sembra sfuggire un dato: il dialogo funziona quando i dialoganti sono alla pari. Ma non pare questo il caso, visto che da una parte siede un signore che «Forbes» colloca al 25° posto nella classifica degli uomini più ricchi del mondo e al primo in quella degli uomini politici più ricchi del mondo. Un signore seduto su un patrimonio familiare di 9,6 miliardi di euro, che guardacaso s'è triplicato negli ultimi 11 anni, da quando bevve l'«amaro calice» e decise di «scendere in campo». In una splendida inchiesta di Ettore Livini, ieri la Repubblica illustrava le ragioni della prodigiosa espansione. Dal '94, i titoli delle sue tv hanno guadagnato il 187 per cento, mentre il settore televisivo di tutt'Europa perdeva in Borsa il 4 per cento. La quota Mediaset in tasca al premier è salita da 2 a 6 miliardi. La quota Mondadori è raddoppiata (il che non è male, visto che, per il Tribunale di Milano, la casa editrice appartiene a un altro proprietario, a cui fu scippata comprando un giudice). E la quota Mediolanum è triplicata. Da tutto ciò deriva che il mero proprietario incassa uno «stipendio» dal suo gruppo di 5.2 milioni di euro mensili, niente male visto il periodo di ristrettezze. Merito delle grandi doti manageriali dei berluscones, si capisce. Ma anche un po' della legge Tremonti-1 (121 milioni di euro risparmiati in tasse), della Tremonti-bis (altri 150 milioni) e della Tremonti sulla tassazione delle plusvalenze (340 milioni di tasse non pagate sull'ultimo collocamento azionario). Per non parlare del condono fiscale (con un risparmio di 160 milioni), del decreto spalmadebiti del calcio (242 milioni di risparmio in dieci anni), della salva-Rete4 (40 milioni di pubblicità all'anno) e della Gasparri-bis (1-2 miliardi di crescita potenziale in più).
Qual è la prima cosa da fare per battere un uomo così? Dialogare, of course.