Bologna Insegna
di Antonio Padellaro
L’elettore dell’Unione che giovedì sera si fosse sintonizzato con la trasmissione «Otto e mezzo» avrebbe, probabilmente, avvertito un vago senso di panico a vedere come se le suonavano Sergio Cofferati, sindaco Ds di Bologna e Franco Giordano, numero due di Rifondazione comunista. Intendiamoci, televisivamente parlando un duello spettacolare tanto che Giuliano Ferrara, appagato come un topo nel formaggio non poteva a un certo punto trattenersi dall’osservare come quello scontro a sinistra stesse superando ogni sua più rosea previsione. Ferrara, che oltre a essere il demiurgo della trasmissione è anche, dichiaratamente, un uomo di parte (dell’altra parte), vedeva infatti avverarsi nella spazientita discussione Cofferati-Giordano il sogno preferito di ogni uomo di destra. Ovvero dimostrare che la sinistra cosiddetta radicale e la sinistra cosiddetta riformista non possono, all’atto pratico, mettersi d’accordo su come governare non solo città importanti ma l’intero Paese.
Non entreremo nel merito delle critiche rivolte al primo cittadino di Bologna che riguardano specifiche situazioni locali. Può darsi che Cofferati stia affrontando con eccessiva rigidità alcune emergenze sociali; ma gli argomenti del suo accusatore non sono apparsi così convincenti da giustificare le accuse di moderatismo che rivolte a colui che soltanto due anni fa era l’uomo simbolo di movimenti e girotondi appiano oggi francamente paradossali. Né ripeteremo che se a Bologna qualcosa non va, nel resto delle Regioni, delle Province e dei Comuni conquistati dall’Unione i partiti governano in armonia perché questa sarebbe una considerazione retorica fine a stessa; mentre, invece, quel che accade sotto le due torri se analizzato serenamente può rivelarsi una lezione salutare per il centrosinistra tutto.
Se la lezione Cofferati deve essere tale, allora dobbiamo osservarla da tutti i lati, anche i meno entusiasmanti. Prima domanda: esiste o no una certo disagio tra le forze della stessa maggioranza su punti programmatici rilevanti? Risposta al momento problematica, se si guarda al quadro nazionale visto che attorno al programma dell’Unione fervono i lavori di un cantiere (o se si vuole di una Fabbrica) e ponteggi e impalcature non permettono ancora di osservare in forma compiuta i contenuti del governo che sarà.
Ciò non toglie che onde evitare di ripetere, non il caso Bologna ma la catastrofe Prodi-Bertinotti del ‘98 sulle 35 ore, prima di chiedere un voto per governare l’Italia sarebbe consigliabile stringere accordi effettivi su punti decisivi del programma. Se, insomma, bisogna fare i conti con il partito della Rifondazione comunista non è meglio farli subito?
Bertinotti, per esempio, chiede la patrimoniale sulle rendite finanziarie. La Margherita è d’accordo? E sull’Iraq? E sui rapporti con l’America di Bush? Ma se il demonio si nasconde nei particolari, ovvero sulle questioni impreviste, poiché parliamo di un programma di governo non delle pagine gialle, allora sarebbe meglio fissare qualche criterio di scelta. A Bologna il Prc lamenta il brusco sgombero degli immigrati che occupano case e una sorta di proibizionismo sugli alcolici applicato dopo le nove di sera, che per le tribù giovanili della città equivale a una dichiarazione di guerra. Cofferati dice di sentirsi obbligato a rispettare la legge. Chi lo contesta da sinistra risponde che se si trattava di avere un sindaco tutto legge e ordine allora era meglio tenersi Guazzaloca. Un compromesso è sempre possibile, come dimostra la gestione di analoghe emergenze sociali a Roma, Napoli o Firenze. Ma se Rifondazione avrà suoi ministri nel prossimo governo potrà considerare l’osservanza delle leggi della repubblica un optional? Questa ci va bene, questa meno?
Strettamente connesso alla formulazione programma c’è il problema della coalizione, ovvero come tenere insieme nove partiti senza dovere affrontare una trattativa infinita su questo e su quello, senza le fibrillazioni di chi sente trascurato, senza i ricatti di chi minaccia continuamente di passare al nemico. Questione davvero spinosa in quel finto bipolarismo dominato dalla logica proporzionale che è il sistema italiano. Una soluzione il centrosinistra l’ha tentata con il progetto di una Federazione Ds, Margherita, Sdi, Repubblicani europei voluto da Romano Prodi e sancito con tanto di congressi e convenzioni. L’esigenza di superare l’estrema frantumazione della coalizione e di creare una sorta di baricentro, di nucleo forte, mettendo insieme le forze del riformismo italiano, quelle di ispirazione socialista, cattolica e laica è stato il progetto intorno al quale l’Unione si è cementata e ha stravinto nell’ultimo anno. Poi, soprattutto nella Margherita, qualcuno si è convinto che andando da soli si prendono più voti e che, oltretutto, la Fed nasconderebbe l’idea perversa di un partito unico. Un modo strano di festeggiare le ripetute affermazioni elettorali e proprio quando l’avversario, ormai a pezzi, appare alla vigilia del tracollo definitivo. Ieri sera, Berlusconi, per la prima volta, ha ammesso la gravità della situazione economica e l’impossibilità di rinnovare i contratti con milioni di lavoratori. Forse non tutti hanno capito che bisogna prepararsi ad affrontare l’emergenza di un Paese in ginocchio. Oppure si preferisce andare in nove da Ferrara, a litigare?