Costituzione europea, francesi in crisi d’identità
di David Bidussa
L’Europa corre sul filo del rasoio. In Belgio, in Olanda, in Francia nei prossimi dieci giorni si decide la fisionomia di quella cosa che chiamiamo Europa.
A lungo l’Europa ha appartenuto alla sfera del sogno utopico o del mito politico. Ora si tratta di abbandonare l’europeismo e finalmente “costruire l’Europa”. Non sarà una passeggiata e la strada che condurrà al compimento del percorso non sarà una marcia trionfale.
Il 29 maggio la Francia, il contesto politico di maggior peso, andrà alle urne per votare l’approvazione o meno del Trattato europeo. Il clima è alquanto incerto anche se il fronte del sì, a lungo in minoranza, sembra aver decisamente recuperato terreno in questi ultimi giorni.
Se prevarranno i no, si potrebbe verificare una battuta d’arresto nel processo costruttivo dell’Europa avviato da Maastricht e consolidato dall’entrata in vigore dell’euro. Se prevarrà il fronte del sì il processo andrà avanti, ma non si potrà non tener conto della fatica e delle ansie con cui quel sì si imporrà. In caso di esito favorevole al Trattato, Chirac che ha fortemente insistito perché vi fosse una consultazione popolare, si presenterà come colui che ha permesso all’Europa di essere una realtà politica.
Tutto questo se noi ci limitiamo a un’analisi del conflitto tra europeisti “caldi” e europeisti “scettici” e, “antieuroipeisti” (in gran parte collocati o nell’estrema destra lepenista o nella sinistra radicale) e se riduciamo tutto – cosa di per sé né banale, né trascurabile – a un’analisi degli schieramenti in base alle logiche di interesse. Ma così non diamo conto della profondità della crisi che la Francia attraversa
Nella storia francese moderna l’ora della crisi è stata segnata dalla delusione o dal senso della malinconia rispetto al proprio destino.
E’ accaduto rispetto alla vittoria ottenuta al prezzo di molto sangue nel 1918 e poi non saputa rivendicare di fronte al montare della potenza tedesca sotto i panni dell’hitlerismo.
Ed è accaduto di nuovo nei giorni tristi della crisi della IV repubblica, a metà degli anni ’50, nel momento della dissoluzione del proprio impero coloniale mentre le strade di Parigi si riempivano delle folle della piccola borghesia arrabbiata che rivendicavano una dignità imperiale della Francia definitivamente perduta.
In quelle folle che si riversavano nelle strade si concentravano vari aspetti della Francia arrabbiata di queste settimane: quella che ritroviamo oggi nel Front National; una parte delle sinistre antieuropeiste che rivendicano un’identità comunitaria; lo stato d’animo di una porzione non marginale di altre sinistre che con molta riluttanza abdicano da una configurazione pubblica segnata dalla laicità delle istituzioni per imboccare una strada molto più incerta, comunque meno definita nel rapporto tra confessionalismo e sfera pubblica.
E’ probabile che ancora una volta questi diversi ritmi suonino nel ventre profondo della Francia in occasione del referendum sul consenso o meno al Trattato europeo. Non saranno gli unici. Dobbiamo prestare attenzione, infatti, anche a un ulteriore segno di incertezza e malinconia. Ce ne da spunto un film recente in grado di comunicarci la simultaneità di questi due diversi registri emotivi.
Le passeggiate al Campo di Marte, il film che Robert Guédiguian ha dedicato agli ultimi mesi della vita del Presidente François Mitterand è una spia indiziaria carica di significati. E’ il 1994. Mitterand è al termine del suo secondo mandato presidenziale. In quei mesi, e il film sembra insistere su questo aspetto, Mitterand, nel mentre è in lotta con il tumore che avanza, si trova coinvolto e sommerso in una campagna politica che lo vuole riportare a confrontarsi con la scelta, con il passaggio di campo da destra a sinistra.
Il centro del film è in una battuta sfuggente ma tagliente “Io sono l’ultimo re – afferma a un certo punto il protagonista – l’ultima figura politica, che abbia il senso del tragico. Dopo di me verranno i contabili, i funzionari, gli impolitici”.
Sullo sfondo c’è l’Europa di Maastricht, il tramonto della nazione come storia collettiva. In breve la percezione che la dimensione pure agognata dell’Europa si produrrà per via amministrativa. Alla fine il trionfo della politica come tecnica, come ingegneria istituzionale.
In questa scena che in tutto dura non più di dieci secondi probabilmente sta un possibile termometro non solo dell’ultimo Mitterand, ma anche della Francia che dovrebbe votare un testo costituzionale che avverte frigido, privo di storia, senza scelte. Un cibo precotto.
Questa condizione di malessere interiore, quest’uggia, non simboleggia il disinteresse per la politica. Al fondo cela la sensazione struggente di un domani che appare consumato in un passato, ma non corazzato di futuro. Alla fine è questo il vuoto su cui si affaccia il voto del 29 maggio. Pur indicando molte incertezze dei francesi, non è detto che non parli anche oltre la Francia. Ovvero anche a noi.