Divieto di osservanza
di Marco Travaglio
Prima scena. Inaugurato a Cesenatico il monumento a Marco Pantani, morto forse per droga, forse per suicidio, in una squallida stanza d'albergo in Romagna. L'ha inaugurato la madre, che al momento della morte del figlio era in vacanza in Grecia. La targa commemorativa recita: «Campione vittima della Giustizia italiana». Insomma l'hanno ammazzato i giudici, «colpevoli» di averlo processato in base alle leggi dello Stato (molto più blande di quelle vigenti in Francia, dove gli atleti dopati vengono arrestati). Ma Pantani era un Vip. Dunque legibus solutus. Non risulta che il comune di Cesenatico abbia obiettato nulla a questa vergogna. Un po' come ad Aulla, dove il monumento a Craxi «vittima dei giudici» l'ha voluta il sindaco.
Seconda scena. Nell'Italia del proibizionismo antifumo - rivela Mario Calabresi su Repubblica - c'è un solo locale pubblico dove si può liberamente fumare: Palazzo Chigi. Ovvero il luogo dov'è nato il divieto. Ministri e sottosegretari continuano allegramente a tirare una sigaretta dopo l'altra, con tanto di posacenere di Stato. Cioè continuano a fare ciò che proibiscono agli altri cittadini. Lo fa il vicepremier Fini, lo fa il cosiddetto ministro Calderoli, lo fa il responsabile (si fa sempre per dire) della Sanità Storace. Calderoli, come i bambini dell'asilo, dà la colpa al vicino: «Vedo fumare Storace e viene voglia anche a me». Replica Storace: «Sto provando a smettere. Quanto ai colleghi, non spetta a me bacchettarli. Non sono mica il loro guardiano». Strano, perché la legge ha trasformato in guardiani migliaia di baristi e ristoratori, costretti a minacciare gli avventori con cicca di chiamare la forza pubblica. Chi è il responsabile dell'osservanza della legge a Palazzo Chigi? Lorsignori non si pongono il problema. Il nuovo miracolo italiano ci ha trascinati indietro di 250 anni, a prima dello Stato moderno, quando l'Occidente cominciò a distinguersi dall'Oriente perché i sovrani furono tenuti a rispettare almeno le leggi che approvavano. D'altronde lorsignori sono i figli e i figliocci della classe politica che nel 1974 e nell'81 varò le leggi sul finanziamento dei partiti, per poi violarle selvaggiamente e meravigliarsi se un giudice li chiamava a rispettarle. Una classe politica che denuncia chiunque osi criticarla, ma pretende di insultare chicchessia trincerandosi dietro l'insindacabilità. E alla fine saluta, alla maniera di Bellachioma, col dito medio alzato.
Terza scena. Sit-in di giuristi padani a Bergamo contro il processo a Oriana Fallaci, alla presenza dell'ingegner ministro Castelli. Questi non fuma, ma denuncia come un turco. Trascina dinanzi al Csm i migliori magistrati d'Italia, come Colombo e la Boccassini, «rei» di tener segreto un fascicolo segreto agli imputati Berlusconi e Previti che pretenderebbero di darci un'occhiata (per loro il segreto è pubblico). Ma quando viene denunciato qualche suo amico, allora strilla come una vergine violata. «Noi cristiani - delirava a Bergamo il ministro sposato con rito celtico, cioè pagano - abbiamo metabolizzato da secoli i principi di libertà, mentre i musulmani intolleranti ricorrono alla denuncia per colpire chi non la pensa come loro». Poi chiedeva l'immediata «abolizione dei reati di opinione, previsti da un codice fascista». E domandava: «Perché non siamo ancora riusciti ad abrogarli?». Non si capisce con chi ce l'avesse, visto che sventuratamente il ministro della Giustizia è lui, con una maggioranza di 100 voti alla Camera. Anziché prendersela con se stesso ed, eventualmente, con madre natura, lo sventurato si scagliava contro «il pensiero unico» della sinistra, che c'entra come i cavoli a merenda. La Fallaci, in compenso, non c'era. Secondo il Corriere, sarebbe «in esilio a New York» (chi l'abbia esiliata e perché non si sa). Ma, tramite il Foglio, ha preannunciato che in aula non comparirà mai: «Non degnerò i giudici della mia presenza». Pare che non intenda degnare nemmeno quelli che importuna da due anni perché processino Massimo Fini, reo di aver scritto male di lei. Ora si attende un sit-in del cosiddetto Castelli in favore di Fini (Massimo). E poi una sfilata di camicie verdi a difesa di Franca Rame, ingiustamente processata per aver dato del «pirla» a un ministro intollerante, dunque probabilmente musulmano, che l'ha denunciata per colpire chi non la pensa come lui. Un certo Castelli.